The Legend of the Briar Rose
Parole chiave: Preraffaelliti (John Everett Millais, Dante Gabriel Rossetti e William Hunt, Ford Madox Brown, William Trost Richards, William Morris, Edward Burne-Jones), Sogno, Freud, Inconscio
IL MONDO DEI PRERAFFAELLITI
di P. Moressa
(Mostra “Preraffaelliti – Rinascimento Moderno”. Forlì, Musei San Domenico, 24 febbraio – 30 giugno 2024)
Nel poemetto “The Lady of Shalott” (1833), Alfred Tennyson riprende una leggenda del ciclo arturiano; in essa, una nobile damigella, Elaine di Astolat, vive segregata nella torre costruita su un’isola vicina a Camelot. Il motivo di questa autoreclusione si lega all’idea di essere vittima di un maleficio: dovrà morire non appena guarderà verso Camelot, quando, cioè, il suo sguardo si poserà direttamente sul mondo esterno. Esso viene percepito solo attraverso uno specchio distorto, mentre la giovane tesse sopra una tela magica tutto ciò che lo specchio riflette. Le visioni deformate non consentono di definire una percezione concreta e mantengono Lady of Shalott negli stadi primitivi di contatto col mondo, poiché le allucinazioni e le rappresentazioni illusorie non lasciano spazio alla conoscenza del reale. Le accade un giorno di scorgere Lancillotto, mentre percorre a cavallo la riva del fiume: è una folgorazione.
Stanca di essere reclusa, guarda all’esterno e decide di correre il rischio di conoscere la realtà, affrontando le conseguenze della maledizione che grava su di lei. Esce, dunque, dalla torre, incide il proprio nome su una barca e si lascia trasportare dalla corrente verso Camelot: simbolo della vita vera. Durante la navigazione, Elaine sente arrivare la morte; il suo corpo giungerà esanime al castello di Camelot, dove Lancillotto constaterà la sua grazia, raccomandandola a Dio. John William Watherhouse dedicò tre dipinti alla sventurata Elaine; il più celebre è il primo, eseguito nel 1888. In esso, la dama naviga su acque luminose, consapevole del proprio destino, circondata da una natura rigogliosa e da raffinate tessiture sulla barca nera e decorata. L’attenzione non può essere distolta dal volto emaciato di Lady of Shalott in cui il fiorire della vita viene perturbato dall’imminente annuncio della morte. Il senso della leggenda propone il contrasto fra l’illusione e la realtà, introducendo il senso necessario del limite e della fine: gli appagamenti reali sono superiori a ogni immaginazione e all’onnipotenza che pretende l’immortalità. La maledizione di Lady of Shalott consiste nell’accettazione della vita vera destinata inevitabilmente a concludersi con la morte. Trasposta sul piano della creazione artistica, la leggenda illustra la dicotomia presente fra la rappresentazione di un mondo immaginario, sorta di astrazione esclusiva, e la raffigurazione concreta della realtà nella pienezza degli stimoli sensoriali.
La ricorrenza della morte come eterna cristallizzazione dell’immagine ideale e della purezza originaria è frequente nell’estetica preraffaellita e si accorda al tema della difficoltà di accettare le limitazioni e il deterioramento che il fluire del tempo comporta. Ofelia, personaggio dell’“Amleto” shakespeariano, compare in alcuni dipinti eseguiti dai membri della Confraternita, interessati a raffigurare il candore della giovane donna, travolta dai tragici fatti avvenuti alla corte danese. La follia di Ofelia diviene l’esempio di una regressione della vita psichica a forme arcaiche di adattamento determinate dal fatto che la realtà traumatica non risulta più tollerabile e viene sostituita da esperienze immaginarie o allucinatorie finalizzate a preservare la mente da intrusioni troppo dolorose.
Nei dipinti preraffaelliti la figura di Ofelia è rappresentata solitamente entro la cornice di una ambientazione naturalistica che rispecchia i moti della sua anima. Tra questi, il quadro più celebre, Ophelia di John Everett Millais (1851-52), presenta la giovane in ampie vesti, galleggiante sulle acque, estatica nella morte e circondata di fiori, il cui significato simbolico rispecchia la dolorosa vicenda da cui è stata travolta. La natura acquisisce valenze evocative e didascaliche nel dipinto: i ranuncoli indicherebbero l’ingratitudine, il ramo di salice l’amore non ricambiato, le ortiche il dolore patito, le margherite l’innocenza del cuore, i lunghi fiori purpurei la transitoria seduzione, le rose galleggianti la bellezza giovanile, la ghirlanda di violette la casta fedeltà, i nontiscordardime la memoria durevole, i papaveri il sonno eterno.
Edward Burne-Jones è autore della serie The legend of Briar Rose (1871-73) ispirata alla Bella addormentata dei fratelli Grimm (1812). I pannelli descrivono lo svolgimento della vicenda culminante nell’arrivo del principe entro il roveto che ha avvinto i personaggi caduti in un sonno secolare. Al di là del significato psicologico della favola, dove la figlia del re, vittima di una maledizione, attende il bacio del cavaliere che la risvegli alla vita e all’amore, ciò che dei dipinti colpisce è il raffinatissimo intreccio tra i soggetti e i rovi secondo una trama narrativa che rende la natura non solo un fondale prezioso, ma la eleva anche a protagonista della scena.
Uomo e natura sono parte di un sogno di cui, attraverso la superficie del dipinto, possiamo solo cogliere i riflessi: necessità di un tempo elaborativo affidato all’inconscio che prepara la mente ad accogliere le inevitabili trasformazioni dello sviluppo. Da questo punto di vista, la stagione preraffaellita non appare un periodo di fissità entro il passato, ma uno stato dinamico capace di portare novità nel presente. Con tale spirito, venne intrapresa da John Ruskin nel 1878 l’esperienza della Gilda di San Giorgio: un’organizzazione che, se da un lato apparve utopica fin dal suo sorgere, dall’altro dichiarò l’intento di rendere la Gran Bretagna un luogo più felice. Di fronte al valore assegnato al profitto commerciale e agli incrementi della produzione, il critico intese sottolineare il ruolo della bellezza e del benessere psichico, economico, culturale da accrescere in tutti gli strati sociali. Ruskin volle, per questo, promuovere l’educazione artistica, il lavoro artigianale e l’economia rurale. Attraverso il recupero delle buone pratiche diffuse all’interno della società medioevale, egli sostenne un modello alternativo al capitalismo industriale per migliorare le condizioni di vita dei singoli individui. Le comunità di San Giorgio dovevano vivere dell’economia agricola e dei prodotti manuali; in esse erano incluse scuole, biblioteche e gallerie d’arte. Il progetto della Gilda si avverò solo in parte, a causa di un crollo psichico del fondatore, ma trovò comunque prosecuzione nel tempo.
E’ insito nel naturalismo dei Preraffaelliti un concetto di fondo: la natura risulta lo spazio per il recupero delle radici emotive e culturali che legano l’arte al passato e alla profonda essenza dell’individuo. Nella congiunzione con gli artisti medioevali, la natura, sempre uguale a se stessa, diviene filo narrativo comune e sfondo variamente interpretato. Si può parlare per i Preraffaelliti di realismo simbolico o di verità in forma di figure, per cui la rappresentazione non risulta né realistica né astratta, ma appare semplicemente una presentazione figurale della realtà naturalistica connessa alla lettura tipologica dei testi sacri, annunciante, cioè, gli avvenimenti futuri sulla base di quanto profetizzato nel passato. In tal modo, la natura diviene l’espressione nel tempo presente del disegno divino, riflesso di una doppia verità, frutto della costante compresenza di naturale e sovrasensibile, di temporalità ed eternità. Spira nei dipinti preraffaelliti la continua presenza del sacro, manifestazione non solo di un’armonia ideale, ma anche stile ispiratore dell’etica quotidiana per gli appartenenti alla confraternita. La puntigliosa raffigurazione di piante, individui, oggetti, tessiture esprime la ricerca di una cura assoluta dell’ambientazione e del vissuto soggettivo come tensione verso la sapienza ispirata alle leggi divine, dalle quali gli artisti non vollero mai distanziarsi.
I fondamenti estetici dell’arte preraffaellita risiedono in una serie di acquisizioni legate al recupero dei primitivi italiani, dove purezza, colore e intensità disegnano un mondo ideale. Il rifiuto dell’estetica praticata nelle accademie vittoriane stimolò l’ingresso diretto al mondo dei sentimenti, destinati a trovare sulla tela una esplicita rappresentazione. Abbiamo visto come la fonte della preziosità figurativa e dell’indagine minuziosa risultasse un compito derivante da intenti sacri; allo stesso tempo, il modello rappresentativo appare intriso di una elevata potenza espressiva finalizzata a cogliere nuove verità dal soggetto scelto. Ne La Luce del Mondo, dipinto di William Holman Hunt (1853-54), l’autore presenta Cristo nell’atto di bussare a una porta chiusa da tempo e ricoperta di erbacce. Realizzato in una capanna nella contea del Surrey, il quadro reca in sé la doppia radice estetica dei Preraffaelliti: realismo e simbolismo sviluppati attraverso un contesto cromatico intenso e avvincente. La porta chiusa e priva di maniglia esterna rappresenta la mente ostinatamente serrata, le erbacce indicano le omissioni quotidiane e gli ostacoli al bene per l’anima, il frutteto coincide con lo spazio edenico delle delizie, il pipistrello che vola nell’oscurità manifesta l’ignoranza di chi si chiude alla luce, l’abito di Cristo contiene il segno della regalità, mentre la lampada rischiara le tenebre che gravano sull’anima. L’estetica preraffaellita non è mai scevra da un intento etico. Prendiamo l’opera di Dante Gabriel Rossetti; in essa circola l’idea di una costante fedeltà al sentimento amoroso, che l’artista trasfuse nella propria vita. Alla morte della moglie, Elizabeth Siddal, egli volle seppellire con lei i propri testi poetici, salvo riesumarli dietro le insistenze degli amici. Vibra nell’arte rossettiana una femminilità potente e carica di desiderio destinato a essere conservato come eterna memoria del presente. La Vedova romana, Proserpina, Circe, Lilith, Pandora: queste figure enigmatiche, a tratti oscure, sono tutte portatrici di una passione che in ciascuna si rende afflato divino verso l’eternità. Il culmine è raggiunto con la figura di Beatrice, ove l’interpretazione degli scritti danteschi consente di creare una presenza emblematica derivata dall’idealizzazione del soggetto e allo stesso tempo carica di una sensualità terrena. Col quadro Beata Beatrix (1872), Rossetti intende andare oltre l’enunciazione fatta dal poeta nella “Vita Nova” circa i sentimenti legati alla sua morte; per questo, rappresenta la donna in uno stato di trance spirituale intimamente connessa alla visione di Dio, mentre il fondo del dipinto è denso di significati allegorici, mostrando le figure di Dante e di Cupido. L’ispirazione mette qui il pittore sullo stesso piano del poeta, in quanto Beatrice viene accostata alla figura della Siddal, la moglie dell’artista scomparsa nel 1862 in seguito a una assunzione eccessiva di laudano (oppioide impiegato come sedativo della tosse); per questo, un colombo le reca, simbolo del martirio, il papavero da cui viene tratto l’oppio. Linguaggio per iniziati appare a tratti l’estetica preraffaellita, così come venne espresso nel titolo della loro rivista: “The Germ” (1850), il germoglio di nuovi pensieri sull’arte e la letteratura.
Fu consuetudine dei Preraffaelliti accostare testi scritti alle loro opere per completarne il senso espressivo o per togliere dubbi sui percorsi dell’ispirazione. Significativi appaiono gli scritti poetici dello stesso Rossetti, ma ancor più intensa ed esclusiva è la poetica di sua sorella Christina nei cui versi circola spesso, accanto ai richiami a Dante e a Petrarca, il senso potente di una dicotomia fra anima e corpo, fra tensioni spirituali e amore terreno.
Erede del positivismo sociale, la ricerca filosofica in Inghilterra faceva presagire la Seconda rivoluzione industriale. I mutamenti nella società appaiono il riflesso di trasformazioni del pensiero, dove spicca John Stuart Mill, autore dei “Princìpi di economia politica” (1848). Egli auspicava che fossero applicate leggi naturali finalizzate al conseguimento di un utile per l’individuo senza limitazioni per la felicità soggettiva. Venivano ripresi i concetti dell’utilitarismo formulati da Jeremy Bentham che intendeva l’utile come ciò che, producendo vantaggio, rendesse minimo il dolore e massimo il piacere. L’utile diveniva il fondamento del principio etico sociale, mentre la somma delle singole utilità individuali era presa a misura del benessere comune. Seguendo un principio egualitario, Bentham auspicava “il massimo della felicità per il maggior numero di persone”, mentre la giustezza dei comportamenti era vincolata al carattere di incremento della stessa felicità. Di conseguenza, i fondamenti etici del comportamento venivano sovvertiti in nome della possibilità di praticare atti (perfino l’omicidio) giustificabili se efficaci a procurare un aumento del benessere collettivo. Herbert Spencer, sostenitore dell’evoluzionismo sociale, teorizzò un ruolo dello Stato del tutto avulso dai compiti consueti e totalizzanti, delegando all’istituzione quelle sole funzioni (istruzione, difesa, sanità) che l’individuo singolarmente non poteva svolgere. Se la riflessione si mantenne puramente teorica, la società coeva ne risultò profondamente influenzata col progredire di istanze produttive e individualiste che toglievano valore alla spiritualità, ai fondamenti religiosi, al senso di cooperazione e alla comune elevazione dello spirito.
La riunione degli artisti preraffaelliti in una fraternità non solo riprendeva il tema delle confraternite medioevali, ma sviluppava anche il senso di una collettività non legata all’utile e al profitto, ma tesa all’affermazione di stili di vita fondati sui medesimi criteri della pratica artistica. L’artista partecipava, perciò, alla costruzione collettiva di una memoria fondata sul recupero di antichi valori destinati a essere trasfusi nel tempo presente. Questo non si percepì soltanto dalle realizzazioni pittoriche o letterarie, ma divenne anche un riflesso estetico quotidiano che si diffuse agli oggetti d’arredo, al mobilio, alle suppellettili, all’architettura. Il recupero e la riproposta di forme gotiche nelle costruzioni, il restauro conservativo, l’ispirazione a una purezza delle linee e dei costrutti determinarono il formarsi di panorami urbani armonici, sorta di sogno estetico che contrastava con l’essenzialità e la durezza di forme pensate per gli edifici industriali. Fu ripreso il tema romantico del valore assegnato ai sentimenti, contrapposti alla fredda logica del potere e della ragion di Stato. Un esempio letterario è il poema “My Last Duchess” (1842) in cui Robert Browning porta in scena la figura di Alfonso II d’Este, signore rinascimentale di Ferrara, descritto come un duro e freddo tiranno, avido collezionista d’arte, che ammette di aver comandato l’omicidio della propria consorte, Lucrezia de’ Medici, troppo giovane e ingenua per partecipare ai giochi del potere e soprattutto di lignaggio inferiore al suo per sedere sul trono ducale. L’arida e perversa ragion di Stato viene additata come il pesante limite dell’utilitarismo, incapace di sentimenti, lontano da ogni spiritualità, estraneo alla percezione dei valori insiti nell’arte.
Risale al periodo 1915-1920 la realizzazione da parte di Frederick Cavley Robinson di quattro pannelli per il Middlesex Hospital: Acts of Mercy. In essi viene presentata, con atmosfere rarefatte e colori di tonalità leggera, la vita all’interno dell’ente destinato ad accogliere fanciulle orfane e ad assistere feriti di guerra e malati comuni. Edificato nel quartiere londinese di Fitzrovia, l’ospedale è subito identificabile come uno spazio dotato di vocazioni affettive e spirituali. Quieto è il clima del refettorio ove le ragazze, vestite di un’identica divisa, consumano la colazione. La citazione di Antonio Canova, tratta da una delle sculture eseguite per la tomba di papa Clemente XIII, offre rimandi all’arte antica da cui i pannelli traggono ascendenza. Compare a tarda sera il medico, ieratica presenza capace di illuminare la scena mentre riceve il ringraziamento devoto dalla madre di una bambina guarita. Si avverte nell’opera la misura di maestri come Giotto e Andrea Mantegna; vi spira la calma atmosfera e la rarefatta spazialità delle pitture di Piero della Francesca, temperata dal contatto col simbolismo di Puvis de Chavannes, col post-impressionismo dei Nabis, col naturalismo di Maurice Denis. L’ospedale appare un’oasi di serenità entro il fluire continuo della vita quotidiana che pulsa nel quartiere. Il rigore e il progresso della scienza si affiancano all’umanità con cui vengono erogate l’assistenza e la cura: la risposta artistica ai modelli della società utilitaristica assume livelli di rilevante valore e di completezza.
Negli arazzi dedicati al Santo Graal si realizzò la collaborazione dei due artisti incaricati di eseguire il disegno, Edward Burne-Jones e William Morris (1890-93), con la manifattura Morris & co. (1898-99). I quattro pannelli monumentali portano in scena la più grande delle vicende appartenenti ciclo arturiano. La ricerca del Graal (coppa con cui Cristo celebrò l’ultima cena e Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue sgorgato dal suo costato) richiama uno dei fondamenti della Confraternita preraffaellita: far coincidere un’estetica preziosa con la sacralità dell’impegno artistico. La regina Ginevra, le dame di corte, i cavalieri della Tavola Rotonda appartengono a un mondo sospeso fra il cielo e la terra; alla loro vicenda partecipano gli angeli, presenze determinanti a garantire il successo dell’impresa, che può essere ottenuta solo grazie alla certezza della fede, alla purezza del cuore, alla costanza dell’impegno. Per questa realizzazione, le tecniche della moderna tessitura furono messe al servizio dell’estetica tratta dall’arte antica; il risultato è una mirabile testimonianza dell’intreccio fecondo fra progresso del presente e universalità del passato.
Una linea di pensiero innovativa si sviluppò in quegli anni sotto l’influsso delle scoperte di Sigmund Freud che, attraverso la definizione di “inconscio”, descrisse un modello complesso della mente e delle dinamiche psichiche. Il valore dato al sogno, come “via regia” per accedere all’inconscio (“L’interpretazione dei sogni”, 1899) aprì scenari inconsueti, che, attraverso l’esplorazione del mondo interno, stabilirono connessioni con la realtà esterna, arricchendola di significati. La soggettività assunse un valore determinante per lo sviluppo armonico dell’individuo e per la nascita di adeguate relazioni sociali. Nel campo artistico, la complessità del funzionamento mentale e la considerazione del pluralismo espressivo (aspetti delineati dalla psicoanalisi) trovavano coincidenze con gli sviluppi compiuti dai Preraffaelliti, dediti all’ascolto interiore delle emozioni e al recupero del passato come spazio del desiderio e del sentimento. L’inconscio è atemporale; allo stesso modo, il ritorno all’arte primitiva colloca i Preraffaelliti al di fuori del tempo con la costante attualizzazione delle radici psichiche ed emotive dell’autentica conoscenza e del puro sentire comuni a tutti gli esseri umani.
BIBLIOGRAFIA
Laura Falqui. La Gemma – Estetismo ed esoterismo nei Preraffaelliti. Il Cerchio iniziative editoriali, Rimini, 1994.
Sigmund Freud (1899). L’interpretazione dei sogni. OSF 3. Bollati Boringhieri, Torino, 1989.
John Ruskin (1851). Turner e i Preraffaelliti (a cura di Giovanni Leoni). Abscondita, Milano, 2019.