Parole chiave: Nonluoghi, Antropologia, Spiweb
Marc Augé, la solitudine dei nonluoghi
di Davide D’Alessandro
Se liquido è la parola magica che ha consegnato Zygmunt Bauman alla popolarità internazionale, non luoghi, non-luoghi, nonluoghi (scrivetelo come volete) è il neologismo che ha consentito a Marc Augé di finire oggi su tutte le prime pagine dei giornali, avendoci lasciati ieri all’età di 87 anni. In realtà, il sociologo polacco d’Inghilterra e l’antropologo francese hanno studiato, detto e scritto molto di più per essere ridotti a una parola, a uno slogan, a un neologismo, ma tant’è, è la surmodernità, bellezza!
Se siamo tutti connessi e nessuno in relazione, se attraversiamo stazioni, centri commerciali, metropolitane, aeroporti, dove tutto è veloce e impersonale, se Google diventa la consultazione rapidissima per cogliere in due battute la portata e l’essenza di un autore, che c’importa di andare a leggere “Un etnologo al bistrot”, “Un etnologo nel metrò”, “Nonluoghi”, “Momenti di felicità” e tanto altro ancora?
Augé, basta la parola! verrebbe da dire parafrasando Falqui. In realtà, attraverso i nonluoghi, dovremmo fare i conti con la solitudine dell’umano, con il dolore dell’umano che, ha scritto Umberto Saba, “è eterno, ha una voce e non varia”. Di quella voce, non della voce di Vox, dovremmo metterci in ascolto e comprendere come si sia sciolta la comunità, come siano venuti meno i legami, la durata dei rapporti, come il narcisismo individualista abbia surclassato l’attenzione verso l’altro.
Augé si era anche divertito a scrivere Genio del paganesimo, in contrapposizione al Genio del Cristianesimo di Chateaubriand e, con Le tre parole che cambiarono il mondo, si era spinto persino a immaginare Papa Francesco sul balcone di piazza San Pietro ad annunciare che Dio non esiste.
Ma se Dio non esiste, è stato detto, tutto è possibile. Il problema, se non esiste, è come ricercare, all’interno del tutto è possibile, le condizioni minime per dividere questo pezzetto di terra non ammazzandosi l’un l’altro, non fagocitandosi l’un l’altro, non consumandosi l’un l’altro, poiché consumando consumando ci si consuma, ci si annichilisce.
Bauman e Augé hanno prersentato al lettore una fotografia piuttosto esatta, anche se non sempre coerente, di un mondo che, se da un lato esalta l’ambizione sfrenata e la ricchezza, dall’altro tralascia gli esclusi, gli scarti, coloro che non ce la fanno a salire sul tram della vita.
Bauman e Augé non ci sono più. Tocca ad altri continuare a studiare, a fornire indicazioni, non slogan, per affrontare un futuro che è oggi, non domani. Salvatore Quasimodo, prima del sociologo e dell’antropologo, aveva compreso che “ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”.
Forse ci resta quel sole. Forse. Insieme ai poeti.