Cultura e Società

Luigi Leanza, bisnonno di Musatti: galeotto o patriota? A cura di R. Mariani

12/11/19

Rachele Mariani intervista il professor Renato Foschi studioso di Storia delle Scienze Psicologiche che ci rivela un aspetto poco noto della storia familiare di Cesare Musatti.

 

Luigi Leanza, bisnonno di Musatti: galeotto o patriota?

Intervista a Renato Foschi di Rachele Mariani

 

Chi era Luigi Leanza?

Luigi Leanza

Luigi Leanza era il bisnonno di Cesare Musatti. Leanza era nato sul finire del Settecento in un piccolo paese del Cilento in provincia di Salerno, San Giovanni a Piro, a ridosso del mare fra Sapri e Marina di Camerota. Un posto dove nell’Ottocento erano attive molte società segrete e cospirative. Luigi è stato un personaggio unico nel suo genere, fu condannato a morte, ma poi la pena gli venne commutata in 30 anni di ferri. Morì comunque in carcere dopo una breve malattia. Visse il suo periodo più avventuroso nella prima metà dell’Ottocento e di lui abbiamo molte notizie perché negli anni 20 del Novecento un suo nipote scrisse una biografia che conteneva informazioni, lettere e anche un suo ritratto in carcere (Luigi Leanza 1788 – 1854 documenti e ricordi di Attilio Monaco). Nel ritratto tra l’altro si nota una certa somiglianza con Cesare.

 

Quale ruolo politico ha svolto che gli è costato la pena di morte dalla quale è stato graziato?

Luigi Leanza era un militare napoleonico e un carbonaro, per questi motivi era sotto il controllo costante della polizia borbonica. Per lunghi periodi era confinato nel suo paese di origine dove poteva essere controllato più facilmente. Prima murattiano, poi con la restaurazione borbonica divenne membro attivo delle organizzazioni segrete che tentarono più volte una rivoluzione che unificasse in senso democratico l’Italia a partire dal Regno di Napoli. Nei documenti viene indicato come un repubblicano e affiancato a nomi molto noti del Risorgimento meridionale. Tutti i moti insurrezionali al sud però fallirono almeno fino all’Unità d’Italia, con la risalita di Garibaldi. Luigi fu uno dei protagonisti di questa storia fino alla rivolta del 1848 a Napoli. Il 15 maggio di quell’anno alcuni militanti più radicali erano intenzionati ad uccidere il Re Ferdinando II che non riuniva il parlamento dopo aver concesso la Costituzione. Luigi, insieme a un paio di compaesani di San Giovanni a Piro, i fratelli Palumbo, aveva organizzato la difesa delle barricate in Via Monteoliveto. Qui i deputati erano riuniti in seduta preparatoria ma non si accordavano con il Re sulle formule di giuramento. Così scoppiò la rivolta. Luigi era al centro dell’azione, la sua casa era prossima alle barricate in difesa dei deputati ed era frequentata da gran parte dei rivoluzionari dell’epoca, molti erano proprio gli eletti nel parlamento fantasma convocato da Ferdinando. I borbonici ebbero facilmente la meglio, ferirono con un calcio di fucile alla testa una figlia di Luigi e uccisero nello stesso stabile il giovane intellettuale Angelo Santilli, filosofo e poeta, animatore dei moti. Luigi ed un nipote furono latitanti e arrestati molti mesi dopo, nel marzo del 1849.

 

Musatti fornisce del suo bisnonno poche informazioni, uno dei pochi riferimenti è collegato al suo secondo nome di battesimo, cosa si può rilevare del loro rapporto da parte materna?

Cesare Musatti di cui quest’ anno ricorre il 30º dalla morte, effettivamente ci parla pochissimo del bisnonno. In “Mia sorella gemella la psicoanalisi”, scritto in tarda età, rivela che il suo secondo nome Luigi gli venne dato in ricordo di lui. Anche le informazioni raccolte dal biografo di Musatti, Reichmann, e quelle contenute nei ricordi di famiglia del figlio di Musatti, Riccardo, accennano soltanto alle imprese di Luigi, come “l’antenato galeotto”. Mentre la vicenda che lo rende protagonista accaduta per le vie di Napoli è ben conosciuta dagli storici meridionali.

Per giunta i biografi di Musatti si sono occupati per lo più del lato paterno perché era quello probabilmente più facile da ricostruire. Elia, il padre di Musatti infatti era stato deputato socialista esponente di un’importante famiglia ebrea veneziana e questo, come è noto, durante il fascismo ebbe delle conseguenze rilevanti nella vita di Cesare. In realtà, quindi, il ramo materno era molto politicizzato. La mamma e il padre di Musatti si conobbero addirittura in un ambiente radicale vicino al ministro Zanardelli con cui il padre della madre, uno dei Leanza, ovvero il nonno di Musatti, era a sua volta imparentato. Dal punto di vista della sua storia, si è soliti far riferimento ad un Musatti totalmente veneziano, espressione di una cultura esclusivamente del nord-est. Il primo nome di Musatti, Cesare, era quello di un prozio paterno del nord, uno dei primi pediatri italiani, il secondo nome però era quello di un “eroe” risorgimentale materno del sud. La madre di Musatti era infatti legata a una tradizione familiare riguardante il sud e il Risorgimento. La madre diede a Cesare il secondo nome di Luigi e, come emerge dalla biografia citata, i racconti, le gesta e la triste storia sul bisnonno erano state idealizzate dalla famiglia materna.

 

Qual era il clima dell’epoca? E come poteva essere vissuta una partecipazione politica così sovversiva?

Leggendo le storie del bisnonno di Musatti viene alla mente il film Noi Credevamo di Mario Martone, che uscì nelle sale in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Si trattava della storia di un gruppo di giovani cilentani che giurano fedeltà a Mazzini e si ritrovavano in giro per il mondo a fare i cospiratori; tutti in qualche modo avrebbero bruciato la propria esistenza per costruire un migliore futuro. Esattamente come la storia del bisnonno Luigi, anche lui rivoluzionario cilentano. Persino il nonno di Musatti, il figlio di Luigi, Francesco detto Ciccillo, a cui abbiamo accennato, si ritrova ad essere garibaldino con l’obiettivo probabilmente di vendicare il padre. La famiglia Leanza verosimilmente soffrì molto l’impegno politico di Luigi; nel Regno delle Due Sicilie infatti non era facile vivere se si era considerati membri di una famiglia di sorvegliati politici (gli attendibili) come era stato il bisnonno Luigi.

 

Che influenza può avere avuto questa storia per il giovane psicoanalista Musatti?

Bisogna tener presente che Cesare Musatti è stato uno psicoanalista sicuramente ortodosso ma molto particolare. Faccio riferimento al fatto che, come è noto, era un militante socialista e si occupava attivamente di politica. Durante l’occupazione nazifascista faceva parte delle reti clandestine di Lelio Basso. Attività molto simili a quelle del bisnonno materno. Dopo la guerra fu anche due volte consigliere comunale a Milano per il Partito socialista di unità proletaria (PSIUP). Musatti nei ricordi autobiografici non dice molto della propria famiglia; fa riferimento quasi esclusivamente al suo rapporto con il maestro, lo psicologo Benussi rispetto al quale soffriva di una sorta di senso di colpa edipico per non averlo aiutato a salvarsi dal suicidio (Benussi si suicidò all’Università di Padova, bevendo una tazza di tè al cianuro). Quando racconta le proprie esperienze familiari Musatti tende a smitizzare, minimizzare, non dà importanza al bisnonno Luigi e anche il figlio Riccardo nelle sue memorie, quando parla di Luigi etichettandolo come “l’antenato galeotto”, non rende forse giustizia alle imprese da lui condotte. Forse si può ipotizzare che Cesare non avesse riferito tutto neppure ai suoi familiari più stretti. Del resto, si può persino immaginare che per uno psicoanalista raccontare pubblicamente che un bisnonno era morto in carcere, condannato a morte e accusato di voler sovvertire un regno, significava violare le regole di neutralità e riservatezza imposte dallo stesso Freud. E sappiamo che Freud per Musatti fu probabilmente la principale figura di riferimento, forse il parente più importante.

 

Come potremmo rileggere oggi quindi la storia di questo bisnonno Luigi rispetto all’influenza sottotraccia che ha avuto per il grande Pioniere Psicoanalista?

Dal mio punto di vista possono essere accadute due cose. La prima riguarda il fatto che effettivamente Musatti non fosse consapevole dell’influenza della cultura del ramo materno sulla propria personalità. L’ha forse esclusa in quanto egli era del tutto orientato ad una lettura classica della psicoanalisi legata soprattutto all’elaborazione dell’Edipo. Effettivamente in “Curar nevrotici con la propria autoanalisi” ci parlava della sua vita solo in riferimento alla relazione con il maestro Benussi che riattivava in lui il conflitto. Credo tuttavia che attenendoci solo a quello che Musatti ci narra esplicitamente, semplificheremmo troppo le questioni. L’altra possibilità è invece che Musatti fosse molto riservato e non parlasse di dimensioni più ampie relative a come la propria famiglia avesse condizionato la sua esperienza. Cesare era il nome di un prozio pediatra, Luigi il nome di un politico, rivoluzionario. Musatti si chiamava Cesare Luigi e, in parte, ha incarnato entrambi i personaggi.

Per altro, fino a tempi recenti, in Italia avere un parente morto in carcere, seppure per cause giuste, poteva sollecitare una sorta di pregiudizio psicopatologico. Nella terra di Lombroso, il criminale poteva facilmente essere associato ad una tara ereditaria e così i membri della sua famiglia. Una “tabe” ereditaria degenerativa. Penso che Musatti fosse ben consapevole di queste dinamiche culturali. Questa storia ci dà, quindi, l’occasione di riflettere sulla complessità dei fenomeni storici e sulla genericità di alcune considerazioni critiche quando non fondate su tutti gli elementi di un puzzle. Inoltre non possiamo ignorare che spesso gli psicoanalisti sono stati maestri nel dissimulare le proprie vicende. Non avendo rivelato molto di sé e delle fonti del proprio lavoro, i pionieri della psicoanalisi hanno contribuito loro stessi a creare un alone di leggenda che non sempre è stato positivo. Tutto sommato hanno prestato il fianco a fenomeni storiografici condannabili, come quello del Freud-bashing. Mi chiedo, ad esempio, se segretarne le carte porti più danni o più benefici.

 

Renato Foschi è professore associato presso il Dipartimento di Psicologia dinamica e clinica dell’Università La Sapienza di Roma e insegna Storia delle Scienze Psicologiche e  Storia dell’Intervento Clinico.

 

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