Parole chiave: identità, art brut, percorsi interiori, fragilità
L’arte inquieta.
L’urgenza della creazione
Paesaggi interiori, mappe, volti: 140 opere da Paul Klee ad Anselm KIefer
“Prima dell’immersione, nessun palombaro sa con che cosa risalirà in superficie”
(Max Ernst)
Recensione di Maria Antoncecchi
A Palazzo Magnani di Reggio Emilia è in corso fino al 12 marzo 2023 la mostra“ L’arte inquieta. L’urgenza della creazione” curata da Giorgio Bedoni, psichiatra docente all’Accademia di Brera insieme a Johann Feilacher direttore del Museo (art brut) Gugging di Vienna e Claudio Spadoni, psichiatra e storico dell’arte. Il percorso espositivo esplora il tema dell’identità oltrepassando il confine tra normalità e follia e mettendo a confronto i grandi maestri del novecento con esponenti dell’art brut e con opere inedite provenienti dall’archivio del San Lazzaro di Reggio Emilia. E’ importante ricordare che l’Ospedale di San Lazzaro è stato uno dei più grandi ospedali psichiatrici italiani, attivo dal 1821 fino agli anni novanta, dove è custodito un archivio storico di 28.000 produzioni artistiche realizzate da ex pazienti ricoverati per problemi psichiatrici, una delle maggiori collezioni in Europa. Come descrive Giorgio Bedoni nel catalogo della mostra si tratta di “Un percorso espositivo lungo le traiettorie delle metamorfosi moderniste, di cartografie visionarie, di linguaggi ipnotici: opere che attraversano la scena contemporanea, non rinnegano percorsi biografici duri ma intuendo la realtà viva di questo mondo ne vedono il buio e sanno affermare la luce” rispecchiando in pieno l’esperienza interiore del visitatore.
La mostra è divisa in tre sezioni: il volto metamorfico; serialità, ossessioni e monologhi interiori; cartografie, mappe e mondi visionari . Si apre con la scultura di Giacometti, “Femme debout I “ come a testimoniare la fragilità dell’essere umano. Un’immagine che ci riporta ad una corporeità assente che cerca di esistere nonostante tutto e che esprime l’irrequietezza di questo artista che di notte distruggeva le opere che creava durante il giorno.
Nella prima parte della rassegna si trovano i maestri del Novecento : Paul Klee con “il funambolo” è significativo per il suo richiamo alla precarietà della vita entrando in risonanza con la scultura di Giacometti. Si aggiungono i sogni surrealisti di Max Ernest e la serie di disegni di Jean Dubuffet che istituì, nel 1945, una nuova categoria artistica “art brut” che raggruppava le opere degli internati e degli autodidatti.
Nelle prime stanze dedicate al “Volto metamorfico” si possono vedere gli autoritratti di Zavattini che dialogano con le opere di Ligabue, espressionista tragico e coi ritratti grotteschi di donne di Pietro Ghizzardi. Interessanti gli sguardi dei volti deformati (la Vergine pazza) di Lorenzo Viani, disegnati durante il suo ricovero in clinica psichiatrica. A differenza di Viani, Gino Sandri negli anni 30/40 è l’autore di 500 ritratti manicomiali. Coglie il lato umano dei suoi compagni di sventura descrivendoli con delicatezza ed empatia come si evince dalle didascalie: ”Ambrosetti Gino, rurale dolcissimo e silenziosissimo…vittima di abbandono..” ”…ottimo burocrate milanese, demenza senile per alcol, seppi che pianse lungamente quando mi portarono a Mombello”. L’artista slovenoZoran Music, internato a Dachau, ci riporta ai campi di sterminio con i volti bianchi-cadaverici e gli sfondi nero-cenere facendoci vivere la tragedia della sua esperienza. Contemporaneo è l’autoritratto di Mattia Moreni che, nel 1986, si è rappresentato come un “mutante” metà robot e metà umano esprimendo la profonda angoscia causata in lui dagli albori della tecnologia.
Joskin Silijan, esponente serbo dell’art brut,infine, utilizza un disegno energico, dinamico ma con un linguaggio onirico
Nella seconda sezione “Serialità, ossessioni, monologhi interiori” i percorsi interiori si esprimono attraverso labirinti mentali e ripetizioni infinite come nel lavoro di Marco Raugei. Ricoverato in un reparto pediatrico della clinica psichiatrica di Firenze dall’età di 1 anno e mezzo, frequenta da giovane un laboratorio artistico da giovane ed esprime le sue ossessioni attraverso piccoli oggetti quotidiani che vengono ripetuti fino ad esaurimento spazio. Il suo lavoro è stato esposto a Losanna. Carlo Zinelli, il maggiore esponente art brut italiana, ha partecipato alla guerra di Spagna e viene rimpatriato per schizofrenia. La sua attività artistica comincia in ospedale psichiatrico esprimendo nelle sue opere i traumi della guerra. il suo lavoro attira l’attenzione di Dubeffet che acquisisce alcune sue opere che diventano parte della collezione dell’art brut di Losanna.
L’ultima sezione è dedicata al tema delle Cartografie, mappe e mondi visionari e si apre con l’arte aborigena australiana, attraverso le opere di Thomas Tjapaltjarri, una donna artista vivente e girovaga nel deserto con la sua famiglia che raffigura nei suoi lavori i disegni che i suoi antenati dipingevano sui loro corpi prima dei rituali.
Nella stessa sezione ci sono gli scudi lignei della popolazione della Nuova Guinea. Questi scudi venivano costruiti, dipinti e decorati dal guerriero stesso e diventavano parte della loro anima e dell’identità del guerriero stesso. Tra lo scudo e il suo proprietario si creava un legame speciale in quanto allo scudo venivano attribuito un potere magico. Questa prima parte intende sottolineare il legame tra identità, cultura e territorio.
L’apologo di Jorge Luis Borges :”un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto” descrive con accuratezza il senso di questa sezione e gli artisti presenti. Alighiero Boetti, artista concettuale innamorato dell’Afghanistan, riproduce la mappa di questo paese attraverso ricamatrici afghane. Emilio Isgrò, artista concettuale siciliano, scrittore, che denuncia un mondo saturo di parole cancellando parole dalla Costituzione, dalla Divina Commedia e da tantissime carte geografiche.
Graham Sutherland si immerge nella natura criticando la rappresentazione idealizzata e mostrandoci nei suoi quadri la sua crudeltà. La mostra si chiude con “La sedia elettrica” di Umberto Gervasi, artista siciliano che critica la ‘democrazia’ americana.
In conclusione credo che il visitatore possa lasciarsi attraversare dai percorsi interiori degli autori che hanno saputo trasformare tracce di sé in un linguaggio onirico nel quale psiche e soma, inconscio e conscio, esterno e interno trovano un unico spazio in cui abitare.