L’anestetizzatore e il paradigma maniacale dell’esistenza
Sarantis Thanopulos
Parole chiave: Berlusconi, Mania, Freud
Il fatto che Silvio Berlusconi abbia dominato la scena politica italiana negli ultimi trent’anni, usando spregiudicatamente il suo enorme potere nel campo dell’informazione, e sfruttando il vento del neoliberismo che dai tempi di Reagan e di Thatcher sta spazzando via ogni genere di legame solidale, non spiega tuttavia la sua longevità al potere e l’ostinazione della sua presenza nell’immaginario collettivo. Il nucleo del suo successo, che lascerà tracce durature nella mentalità collettiva, e estenderà i suoi effetti a una percezione distorta della res publica, sta nell’avere ottenuto una rapida identificazione con il suo modo di pensare e di sentire. Ben più importante dell’uso sapiente che Berlusconi ha fatto del consenso – un uso psicologico più che politico – è stato il matrimonio del suo inconscio con quello della collettività. Per primi gli avversari ne hanno subito la fascinazione: mentre contestavano i suoi fini, si immedesimavano con le sue “moderne” strategie di comunicazione, e con la spregiudicatezza del suo agire.
Berlusconi ha convinto i suoi sostenitori, o dissuaso gli avversari, che sembravano considerarlo imbattibile, grazie all’attrazione esercitata, in tempi di scoraggiamento diffuso, da un nodo psichico irrisolto: la sua occultata dimensione depressiva, dalla quale si è difeso tutta la vita. Proprio questa gli ha garantito la disponibilità di una rete collettiva solidale e diffusa, perché subliminalmente identificata.
Dalla sua depressione Berlusconi ha tratto l’arma più forte, rifiutandosi di riconoscerla e di prendersene cura e adoperandosi invece a rovesciarla in quel sistematico agire maniacale, che ha lavorato all’eccitante conquista del potere.
L’instancabile, ossessivo inseguimento della performance ha estromesso dalla vita di Berlusconi la capacità di sostare nelle sue esperienze e nelle sue azioni quel tanto da rendergliele riconoscibili: è così che è diventato un maestro di vita, a volte simpatico a volte cattivo, sempre persuasivo.
Freud spiegava come ogni reazione maniacale sia funzionale
al risparmio psichico necessario all’elaborazione del dolore: una grande quantità di energia si rende così disponibile, generando un ingannevole senso di vitalità e di euforia. Di questa dinamica Berlusconi è stato un potente paradigma calato nella nostra realtà, ciò che gli ha permesso di funzionare come euforizzante collettivo, in gran parte inconscio, e comunque capace di indurre potenti meccanismi di imitazione. Con il suo ottimismo posticcio, ha fatto credere che tutto si potesse risolvere, bastava solo schierarsi a suo favore. È stato un potente strumento di diniego del lutto, una forza contraria alla elaborazione della perdita delle nostre certezze, quelle su cui avevamo fondato l’ideale di un progressivo sviluppo del benessere e della democrazia. Agendo come una sostanza stupefacente, è diventato l’artefice e insieme la vittima di un mercato fondato sulla domanda di venire anestetizzati. Ha cercato di tacitare la ferita del nostro rapporto con ogni forma di alterità, cullandoci nell’inganno che sia possibile evitare la fatica di una convivenza con l’altro, e inducendoci così a seminare in noi false promesse, di cui rischiamo di raccoglierne ancora a lungo le rovine.