Jean-Luc Nancy
Per Jean-Luc Nancy
Cristiana Cimino
Se n’è andato il 23 agosto Jean-Luc Nancy. Era nato a Bordeaux nel 1940 e aveva insegnato come professore emerito di filosofia a Strasburgo per la maggior parte della sua vita. Impegnato su molti fronti, è stato uno scrittore molto prolifico (ricordo il suo ultimo libro sul Sars-CoV-2: Un virus troppo umano), allievo e compagno di strada di Derrida, era tra i più autorevoli filosofi viventi anche se a lui, immagino, non sarebbe piaciuta questa etichetta.
Nancy era uno di quegli intellettuali, non solo filosofi (certamente Foucault, ma anche Barthes, Deleuze, Derrida, Badiou ecc.) che aveva interpellato la psicoanalisi (Freud e Lacan) non in modo costante ma certo significativo. Il suo primo libro tradotto in italiano fu, in effetti, Il titolo della lettera (1975, Astrolabio), una rigorosa lettura di un testo lacaniano (a cura di Sergio Benvenuto e con una sua raffinata introduzione.)
Ricordo qui la polemica con Lacan (un po’ come era stato per Derrida) che Nancy accusa di inscriversi in una tradizione che lega il desiderio alla mancanza e, invece, afferma il “c’è” del rapporto sessuale, in opposizione all’enunciazione lacaniana (“il n’y a pas de rapport sexuel”), affidando ai corpi e al loro incidentale toccarsi e godersi l’unico amore a cui ambire (L’”il y a” du rapport sexuel, 2000). L’unico mezzo attraverso il quale questo “il y a” si può dare è il corpo, svincolato da ogni idea di sostanza o di ambizione di unità. E infatti Nancy è considerato, tra le molte altre cose, il filosofo del corpo. Effettivamente scriveva non del corpo, ma il corpo, come lui stesso amava dire, i corpi: corpi nudi, corpi stranieri, corpi goduti, corpi esposti. Nello scrivere il corpo (come lui ha fatto, in infiniti modi possibili) si tratta, secondo lui, di toccarlo, di raggiungerlo, anziché significarlo. Il tocco è ciò che non ha ambizioni di governare, penetrare ciò che non è penetrabile, assumerne la parzialità (qui Lacan avrebbe detto: “il n’y a pas de rapport sexuel”, che fa capire quanto i rapporti tra i due pensieri siano complessi) e l’irriducibilità, facendone l’unico supporto dell’esistenza stessa. Qui ci sono echi dell’ultimo Lacan, quello che insiste sull’Uno del godimento, ultimo avamposto delle significazioni. E’ del 1995 Corpus (1995), un testo criptico, poetico, appassionante e disorientante proprio come la riflessione filosofica deve essere.
Nancy, nel 1992, era stato sottoposto ad un trapianto di cuore. Dal travaglio che accompagna quell’esperienza nascerà L’intruso (2000), un libro piuttosto impressionante in cui lo straniero, di cui Nancy aveva fatto uno dei cardini del proprio pensiero, radicalizzando ulteriormente la traccia derridiana, diventa intruso proprio per non perdere la sua estraneità, con tutte le ambiguità del caso. E lui l’intruso ce l’aveva nel petto. Difficile immaginare una contingenza più efficace che possa dire di un pensiero e della sua pratica inscindibile, in questo il caso l’evento stesso che Nancy ha fronteggiato. L’estraneità alla propria identità (quanto psicoanalitica!) si incarna in un’incisione che trattiene l’intruso all’interno del corpo, corpo estraneo che si insedia “al cuore” di ciò che dovrebbe essere più familiare, proprio il corpo. Un’intrusione che ci ricorda la continua effrazione di senso che la vita costituisce.
La prospettiva di Nancy ci convoca ad una presenza che non guardi e non si illuda su altrove se non quello del corpo dell’altro e del proprio, altrettanto estraneo e a ciò che può accadere tra di essi. Corpi che (si) toccano e godono in equilibrio sempre precario, sfiorando e misurando i limiti senza pretendere di violarli o di ignorarli. La rinuncia alla rapacità a favore del muoversi su quel tra che è una infinita soglia sulla quale ci si muove sempre vacillando, porterà a scoprire una reale alterità in qualsiasi forma si presenti (corpo di: animale umano, animale non umano, donna, migrante, ecc.)? Nancy sembra augurarselo, o meglio, pensa che sia l’unica via che ci salverà da una catastrofe. Non sembra così avventuroso dire che qui troviamo qualcosa del Seminario XX di Lacan, anche se Nancy sembra non solo convinto che si debba parlare di ciò di cui non si può parlare (come Lacan, a differenza di Wittgenstein), ma a suo modo ancora più determinato a rendere praticabile una condivisione dell’incondivisibile (che non si fonde, non si unisce), e una assunzione dell’estraneità come oltre la quale non troviamo niente (e il vuoto può farsi insostenibile) se non, ancora, la stessa estraneità.