A cura di Mirella Galeota
In terrazza
Maggio spacca la terra, in latenza l’immagine
sonora si riveste di vento
Non ho età sono sempre stata.
(A.M. Galdo, Napoli 2001)
Nell’organizzare la rubrica adolescenza per il sito SPI sono tornati alla mente tanti analisti, nell’ambito della Società Psicoanalitica Italiana, che hanno contribuito alla ricerca nel campo della psicoanalisi dei bambini e degli adolescenti. Naturalmente non potevamo non soffermarci sulla professoressa Annamaria Galdo.
Rappresenta una pioniera della psicoanalisi infantile e degli adolescenti e, per molti anni, è stata l’unica psicoanalista con tale specificità presso il Centro Napoletano di Psicoanalisi.
L’intervista è stata realizzata ripercorrendo alcune tappe della sua vita (nota-1) e, attraverso una rivisitazione di un lungo arco di tempo, è stato possibile sostare su aspetti della vita professionale e sul modo di essere analisti.
Già nell’articolo del 2003 (riportato in nota) Annamaria Galdo affermava: “….le problematiche personali fanno parte del nostro essere psicoanalisti e durante la seduta il riemergere dell’inconscio non è inaspettato. Noi offriamo ai nostri pazienti fondamentalmente noi stessi. Le qualità dello psicoanalista io credo che non si apprendano, quello che impariamo è come usare se stessi e come ricercare e mantenere le modalità e le condizioni che ci permettono di curare. Non avrei potuto portare avanti per ore, giorni ed anni un dialogo continuo a più livelli con me stessa e con l’altro, se non mi fossi dotata negli anni di quello che chiamerei setting personale, quasi una seconda pelle, valorizzando e riconoscendo anche la necessità dell’apporto di un ambiente affine e stimolante”.
La narrazione, nel tempo dell’intervista, ha assunto lo stesso ritmo lento e conciliante la riflessione della sua sedia a dondolo, scelta all’inizio della sua professione di analista, ritmo che ha scandito anche i nostri incontri e lo scorrere del tempo attraverso gli avvenimenti della sua vita che si intersecano e si sostanziano con quella dei vari pazienti. Questi vengono richiamati alla memoria, quasi come libere associazioni riprendendo tappe della sua formazione. Una formazione sognata prima di tutto come analista infantile e ricercata con costanza e determinazione.
Ricorda che per poter accedere al training b/a, nella Società Psicoanalitica Italiana, bisognava essere già psicoanalisti per adulti o essere in procinto di diventarlo, cioè bisognava aver acquisito una preparazione da psicoanalisti.
Proprio per promuovere la specificità di questo training collaborò fin dall’inizio con Mauro Morra e Tonia Cancrini, sostenitori del training di psicoanalisi b/a.
Già precedentemente aveva fatto parte del gruppo di discussione e supervisione per terapie b/a costituito da Adda Corti.
Come attraverso libere associazioni Annamaria Galdo ritorna sul suo desiderio iniziale di diventare psicoanalista infantile: “la mia formazione in tal senso fu organizzata autonomamente, seguendo scelte personali condizionate spesso dalla casualità degli incontri”. Infatti inizialmente, con una borsa di studio in Svizzera, conferitale “dall’Association pour les enfants victimes de la guerre” frequentò corsi di psicologia infantile tenuti da Piaget e da altri docenti.
Frequentò anche, per circa 3 anni, il Centro Psicopedagogico di Govanni Bollea e iniziò contemporaneamente una propria formazione psicoanalitica con Perrotti e Servadio.
Nel 1955 vinse una borsa di studio per frequentare i corsi clinici di Lebovici e Diaktin nell’ospedale Saint -Anne di Parigi. Successivamente, sempre come borsista, lavorò un anno negli Stati Uniti come psicoterapeuta infantile, presso il Child Psychotherapy Departement del Massachusset Hospital di Boston.
Frequentò i seminari clinici e teorici dell’Istituto di Psicoanalisi di Boston usufruendo della supervisione di psicoanalisti infantili e dove conobbe anche Helene Deutsch e la sua famiglia. A Boston seguì in psicoterapia, tra gli altri casi, una bambina di 11 anni che aveva avuto il sintomo “della gamba caduta”.
Naturalmente tutti questi spostamenti e la conflittualità che viveva all’epoca la Società Psicoanalitica Italiana resero più complesso il suo training di psicoanalista che in ogni modo terminò positivamente con il riconoscimento di socio della SPI da parte di una commissione dell’IPA franco-svizzera e di ordinario con la discussione di un caso di psicoanalisi di un bambino psicotico. Nel 2002, dopo circa 40 anni l’IPA l’ha riconosciuta come Child and Adolescent Psychoanalist.
Grazie alla sua specificità di psicoanalista infantile, nel corso della sua vita, ha collaborato con il gruppo di psicoterapeuti della Tavistock Clinic di Londra e con Gianna Polacco fondando a Roma un centro di formazione di psicoterapeuti infantili. Tale collaborazione permise alla Galdo di partecipare alla formazione di un primo gruppo di psicoterapeuti infantili napoletani sempre seguendo l’orientamento teorico-clinico dell’Istituto Tavistok di Londra. Il suo contributo fu di supervisore e di conduttore di seminari teorico-clinici. Tra gli psicoanalisti inglesi che coadiuvarono il suo lavoro, è da ricordare la partecipazione costante del dottore Donald Meltzer e della dottoressa Martha Harris.
La partecipazione attiva di Anna Maria Galdo alla AIPPI, Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile, è stata costante fino a circa il 2005 e il suo interesse come psicoanalista infantile si è rivolto principalmente alla terapia dei bambini piccoli ed in particolare all’autismo.
Nel 1970, divenuta professore aggregato e, successivamente, ordinario con l’insegnamento di Psicologia Dinamica, presso l’Università Federico II di Napoli, costituì, con l’apporto dei ricercatori alla sua cattedra (tutti psicologi- psicoterapeuti), un Centro di Consultazione e psicoterapia per bambini e adolescenti che dopo il 1980, per esigenze universitarie, fu trasformato in un Centro di Consultazione clinica per gli studenti universitari.
Queste le tappe salienti, ma, tra le tante, emerge una domanda: da cosa proviene l’interesse per la psicoanalisi infantile e per gli adolescenti? E’ forse un caso?
Risponde: “niente è casuale…facevo la psicoanalista di adulti per diventare “infantile”. Era un modo per costituire un feed-back. Poi ero vissuta durante la guerra, avevo assistito alla distruzione. Avevo lavorato per e con i bambini vittime della guerra. Per me questo era stato determinante per la scelta di diventare psicoanalista. Poi, proprio nel riflettere sulle problematiche dei bambini vittime di guerra, non ho più abbandonato l’interesse per la psicopatologia infantile e per la sua terapia. Questo ha influito su tutta la mia formazione di psicoanalista e sulla mia professionalità che ha acquistato in questo senso e per quell’epoca caratteristiche specifiche e per la mia città anche uniche”.
Aver coltivato anche l’interesse universitario ha costituito la possibilità di sentire una identità più riconosciuta di fronte alla società, come un’esigenza interna, soprattutto relativamente all’identità femminile nel contesto del suo tempo.
Ciò che mi viene di sottolineare è la fiducia che Annamaria Galdo pone costantemente nel metodo analitico e la fiducia nel proprio setting interno che rappresentano (così dichiara) il vero sostegno dello psicanalista, fantasmi di continuità e protezione presenti anche quando all’esterno della stanza sono andati perduti. E’ proprio il setting interno che la qualifica psicoanalista e che, attraverso il silenzio, l’ascolto e la fiducia la accompagna e la prepara alle novità del¬l’in¬¬contro, permette l’irrompere delle emozioni, la comprensione e la loro modulazione non solo con il paziente adulto ma soprattutto nelle analisi dei bambini e degli adolescenti che consentono di esperire l’irruzione repentina dell’inconscio.
Afferma Anna Maria Galdo:“L’unicità della mia formazione, all’epoca, si accompagnava ad una particolare idealizzazione della mia persona che dava alle mie parole ed alla mia funzione un’autorevolezza troppo acritica che ostacolava lo svolgersi del percorso psicoanalitico.
Da molti anni non prendo più bambini, né adolescenti in terapia, mi sembrava che il mio fisico non mi consentisse più di seguire la necessità del bambino di esprimersi liberamente con il proprio corpo. Temevo di non saper più vivere in diretta con il bambino come per lungo tempo avevo fatto. Infatti, la catastrofe può raggiungerlo improvvisamente e le sue richieste di contenimento anche a livello di gioco sono immediate.
Ho continuato e continuo con molto interesse le supervisioni di psicoterapie infantili e di adolescenti. Ho bisogno della mediazione del racconto del terapeuta così come accade anche nell’analisi degli adulti, per essere in sintonia con le difficoltà gravi e meno gravi del bambino e partecipare al suo vissuto, in questo modo mi avvicino alla sua sofferenza ed al suo gioco e so parlare con lui.
Sentire di non avere più la possibilità di vivere direttamente all’unisono con le emozioni e le angosce del bambino e dell’adolescente è stato per me un mutamento importante che ho attribuito al passaggio di età, ma anche ad un diverso orientamento dei miei interessi.
Nel corso della docenza universitaria prioritario è stato per me trasmettere agli studenti il discorso psicoanalitico e centrale era diventato il problema della trasmissione culturale e uno stile di pensiero.
Anche con i pazienti c’è trasmissione di cultura, ma con loro la mediazione compiuta dal linguaggio è fortemente legata ad evocazioni emotive, è infatti una trasmissione di situazioni profondamente coinvolgenti. Tutto ciò è ancor più valido nella relazione analitica con bambini e con adolescenti: le emozioni non vengono mediate dal linguaggio verbale ma irrompono nel corpo e attraverso il corpo.”
Tra gli interessi che Annamaria Galdo ha coltivato nell’ambito della ricerca psicoanalitica ricordiamo le problematiche riguardanti la separazione, lo sviluppo del linguaggio e la trasformazione della relazione primaria con contributi, tra gli altri, sul significato delle parole e sull’origine dell’amore per il padre. Tali contributi sono stati presentati in convegni e giornate di studio internazionali(nota-2) .
Evidentemente dall’interesse per lo sviluppo del linguaggio e sul significato delle parole Annamaria Galdo ha scoperto un nuovo modo per dire le cose: la poesia.
Nel 2003 ha pubblicato un libro di poesie “40 poesie” con otto disegni di Ernesto Tatafiore. La prima poesia si intitola: “Ottanta sono gli anni”.
Sul retro della copertina è riportata una frase di Pier Paolo Pasolini: “alcune cose si vivono soltanto, o se si dicono, si dicono in poesia”.
Attualmente è l’analista più anziana con funzioni di training nella Società Psicoanalitica Italiana e rappresenta un saldo punto di riferimento soprattutto per gli analisti del Centro Napoletano di Psicoanalisi, con cui collabora all’interno di gruppi di ricerca.
Ottanta sono gli anni
6 dicembre 2001
La palma ricca
cresce nell’abbraccio
di una cipressa antica
oscura lo spazio
ed è ricordo di queste sequoie lontane.
Il pensiero si estende
in rami millenari
nel verde del silenzio
gli uomini sono insetti vivi
hanno passi soffici e veloci.
La parola è terra l’erba la ricopre.
Note:
1-A tale scopo si è anche tenuto presente un articolo pubblicato sulla rivista Interazioni – FrancoAngeli edizioni Milano 2003
2-Ricordo e narrazione nella clinica psicoanalitica in Rappresentazioni e narrazioni (a cura di Ammaniti M.; Stern D.N.)- Editori Laterza – Bari-1997
L’immaginario nella pratica analitica in Fantasia e realtà nelle relazioni interpersonali (a cura di Ammaniti M.; Stern D.N.) – Editori Laterza – Bari-1995
L’origine dell’amore per il padre, in Psicoanalisi dell’amore (a cura di Ammaniti M.; Stern D.N.) Laterza, Bari 1993