Leggendo in questi giorni sulla stampa gli articoli dedicati a Mario Lodi, il maestro elementare e scrittore morto il 2 marzo all’età di 92 anni, la mia attenzione è stata catturata da queste sue parole, tratte da una intervista rilasciata qualche anno fa “Tra le prime cose che chiedevo ai miei bambini è di darsi da fare assieme per rendere la loro aula più accogliente: la si fa bella con i contributi di tutti, perché così diventa casa e la si rispetta. E’ il nostro antidoto contro il vandalismo”. (Famiglia Cristiana. it 3 marzo 2014).
Rintracciare nel pensiero di Mario Lodi questo richiamo alla funzione educativa della bellezza, della cura dei luoghi , riporta alla mente al negativo l’immagine delle strade di certe periferie o di certe città cresciute mostruosamente, per esempio nel nostro Sud, dove è inevitabile pensare che in tanta mancanza di bellezza non può che radicarsi l’odio, ma dove pure la speranza si apre in una piantina ben curata sul davanzale di una finestra.
La ricerca per Mario Lodi non si è certo fermata nelle aule scolastiche. Una volta conclusa la sua attività di maestro propriamente detto, egli ha continuato fino alla fine a lavorare per i bambini e le bambine e per la scuola. Sarebbe lungo ricordarne tutte le attività.
Nel novembre 1989 con i proventi del Premio Internazionale LEGO, conferito a “personalità ed enti che abbiano dato un contributo eccezionale al miglioramento della qualità di vita dei bambini”, Lodi ha fondato in una cascina a Drizzona, la Casa delle Arti e del Gioco: un laboratorio dove si sperimentano, con la guida di esperti, tutti i linguaggi dell’uomo, compresi quelli più attuali.
In questo laboratorio la creatività infantile ha trovato un luogo di riconoscimento e valorizzazione, tanto che nella stessa sede sorge una Pinacoteca dell’età evolutiva.
La bellezza, che evidentemente il maestro considerava necessaria per nutrire la mente dei bambini, non va tuttavia “data” , con tutto il carico di conflitti che questo comporta, ma costruita insieme, con il lavoro comune, così come la conoscenza non può essere servita ai bambini come una minestra riscaldata, ma va costruita in modo attivo, partendo dall’esperienza dei sensi.
Non è questo forse anche quanto può accadere in una seduta psicoanalitica, quando analista e paziente, insieme, sperimentano la bellezza di una condivisa costruzione di senso?
Per concludere, vorrei riprendere queste parole di Mario Lodi dal racconto “La magia dell’inverno”:
“Sul piano del focolare posava un po’ di carta, sopra la carta metteva dei ramoscelli secchi ben ordinati, e su questi qualche pezzo di legno più grosso.
Poi prendeva da una scatolina uno steccolino di legno e zac! lo strofinava e nasceva all’improwiso una fiammella. Awicinava la fiammella alla carta e subito si sprigionava il fuoco.
Il fuoco, con le sue fiamme dai colori diversi, era per me un mistero.
Osservavo a lungo, sotto il paiolo della polenta, mentre la mamma rimestava la farina, le lunghe fiamme che salivano da ogni parte e parevano vive, con quei colori mai uguali: rosso, violetto, giallo e persino verde e azzurro. ..”
Lo sguardo bambino affascinato dal fuoco mi fa tornare in mente quanto diceva una maestra che mi è cara: “i bambini non sono vasi da riempire ma fuochi da accendere”. Di fuochi di passione credo che Mario Lodi ne abbia accesi molti, dentro e fuori le aule scolastiche.
8 marzo 2014