Cultura e Società

Gli esordi della psicoanalisi in Russia

15/09/11

L’interesse verso la psicoanalisi incomincia nel primo decennio del secolo scorso e ne è testimone la rivista Psicoterapia, che vede la luce nel 1909, un anno dopo il 1. Congresso di Psicoanalisi a Salzburg. Psicoterapia è edita a Mosca dallo psichiatra Vyrubov e raccoglie i contributi dei seguaci russi di Freud. Negli stessi anni Nikolaj Ossipov, rientrato da Zurigo dove s’era formato al Burghölzli, cura la traduzione russa di alcune opere di Freud (Interpretazione dei sogni, Tre saggi della teoria sessuale, Cinque conferenze). Va ricordato che Eugen Bleuler era il direttore del Burghölzli, allora favorevole alla psicoanalisi, e vi lavoravano Jung e Abraham (il quale andò a Berlino nel 1907). E’ interessante notare che la Svizzera è stata la culla della psicoanalisi russa di allora, ma non solo, visto che diversi intellettuali russi, tra i quali Lenin, vi trovarono un ambiente stimolante, sfuggendo contemporaneamente alla repressione zarista. Ossipov riuscì ad organizzare un gruppo di discussione ad orientamento psicoanalitico a Mosca, chiamato “i piccoli venerdì”, ed aprì un centro di psicoterapia facente parte della Clinica Psichiatrica. Nel 1911 dovette però dimettersi dall’ospedale per le sue idee troppo liberali (Accerboni).

Una prima Società psicoanalitica si costituì a Mosca nel 1911, della quale fu a lungo presidente Ivan Ermakov, che si occupò anche della pubblicazione di molti lavori di Freud in russo. Della stessa Società faceva parte pure L. S. Vygotskij, il massimo esponente della scuola psicologica storico-culturale. Una seconda Società sorse più tardi a Kazan (nell’attuale Repubblica del Kazakhstan) e tra i fondatori c’era A. R. Lurija, il padre della neuropsicologia contemporanea. Entrambi furono chiamati presso l’Istituto di Psicologia di Mosca per fare ricerca ed i lavori di Lurija, in particolare, nacquero sotto una forte impronta della teoria psicoanalitica. (Angelini). Tra i primi membri della Società Psicoanalitica c’erano anche Drosnès, Wulf e Rosenthal, i quali erano già membri della Società Psicoanalitica Viennese assieme a Sabina Spielrein. M. Wulf, segretario della Società, era il primo psicoanalista russo con una formazione completa, avendo effettuato un training con Karl Abraham a Berlino. Leonid Drosnès di Odessa indirizzò a Freud nel gennaio 1910, dopo averlo brevemente trattato senza alcun risultato, Sergej Konstantinovic Pankejeff, conosciuto nel mondo psicoanalitico come “l’Uomo dei lupi”. L’analisi terminò nel luglio 1914 ed è il più lungo resoconto clinico lasciatoci da Freud.

 

Tatjana Rosenthal aveva terminato i suoi studi psichiatrici a Zurigo nel 1911 ed aveva vissuto una breve parentesi a Vienna. Le minute degli anni 1911-12 della Società Viennese riportano diversi suoi interventi. Rientrata a S. Petersburg, dove era nata, morì suicida nel 1921 a 36 anni. Nella città natale Tatjana lotta per realizzare i concetti psicoanalitici nelle istituzioni pubbliche (Accerboni). Viene nominata responsabile del policlinico per il trattamento delle psiconevrosi annesso all’Istituto di Ricerche per le Patologie cerebrali sotto la direzione del Prof. Bechterev, il quale s’interessa ai fenomeni di suggestione ed all’applicazione clinica dell’ipnosi, che aveva provato, inutilmente, sull’Uomo dei lupi. Bechterev apprezza molto il lavoro della Rosenthal, soprattutto quello con i bambini neuropatici, e le affida nell’inverno 1919-20 l’incarico di tenere delle conferenze sulla psicoanalisi interne all’Istituto. La Rosenthal riesce a sensibilizzare l’ambiente medico e quello governativo circa l’utilità sia pedagogica della psicoanalisi, che terapeutica nella patologie mentali infantili, per cui le viene affidata pure la direzione di una clinica statale per bambini mentalmente handicappati.  Attenta alla formazione degli educatori, ella propone al primo congresso panrusso dedicato al trattamento di bambini psicologicamente disadattati una risoluzione – che però non viene votata – nella quale sottolinea l’importanza che tutti i medici, educatori e psicologi prendano familiarità con la psicoanalisi. Diverse idee della Rosenthal hanno avuto una realizzazione pratica nell’Asilo Moscovita.

 

 Freud ha descritto tutto questo fervore russo intorno alla psicoanalisi in una lettera a Jung del 1912 con la famosa frase “c’è un’epidemia locale di psicoanalisi”. E due anni dopo egli scriveva  (Per la storia del movimento psicoanalitico, pag. 406): “In Russia la psicoanalisi è generalmente nota e diffusa; quasi tutti i miei scritti al pari di quelli di altri aderenti dell’analisi sono stati tradotti in russo. Ma non si è ancora giunti in Russia a una comprensione veramente approfondita delle teorie analitiche. I contributi dei medici russi sono da considerare per ora insignificanti. Solo Odessa possiede nella persona di M. Wulf un analista istruito.” Nella nota aggiunta nel 1923 a proposito della Russia specifica “Dopo la rivoluzione, in Russia il lavoro psicoanalitico è reiniziato in numerosi centri” (pag. 407). Curiosamente, più avanti Freud ricorda il telegramma di risposta di Mark Twain ad un giornale che aveva pubblicato il suo necrologio (“Notizia del mio decesso fortemente esagerata”), lo collega in modo spiritoso con l’evoluzione della psicoanalisi scrivendo: “Dopo ogni dichiarazione di morte la psicoanalisi ha acquistato nuovi seguaci e collaboratori o si è creata nuovi organi. Dichiararla morta rappresenta comunque un progresso rispetto alla congiura del silenzio” (pag. 408), che calza alla perfezione con gli eventi sovietici prima e russi dopo.

 

E’ singolare che nello stesso scritto Freud parli con ben diversa enfasi di come la psicoanalisi si stia diffondendo in altre nazioni, comunicando però nel contempo delle notizie che spesso suonano piuttosto modeste rispetto alla situazione russa. Come mai? Si potrebbe ipotizzare che Freud provasse una certa ambivalenza verso la Russia? Ci sono degli elementi che parrebbero sostenerlo. Egli era indubbiamente affascinato dalla letteratura russa, soprattutto da Dostojevskij. Si sa (secondo Laplanche e Pontalis, citato da Kadyrov) che Freud mutuò il concetto di censura dalla realtà politica dello zarismo. Inoltre, nella corrispondenza con A. Zweig, Freud espresse la sua opinione che anche i Russi non affetti da nevrosi fossero più vicini all’inconscio rispetto ai popoli  occidentali (Etkind citato da Kadyrov), quindi più sensibili forse all’analisi. Infine, un altro dettaglio non insignificante: la madre di Freud nacque nella Galizia dell’est (oggi Ucraina) e visse per qualche tempo a Odessa presso il fratello maggiore. Non meraviglia quindi che Freud proponga nel 1922, al congresso IPA di Berlino, di ammettere il gruppo moscovita, tranne poi, per intoppi amministrativi, farlo aspettare fino al congresso del 1924 a Salzburg.

 

Se la psicoanalisi suscita da subito un grande interesse presso i medici e gli intellettuali in genere, è però dopo la guerra e la rivoluzione bolscevica che le idee psicoanalitiche conoscono il loro momento di massima diffusione ed influenzano sia il pensiero filosofico che la pedagogia sovietica. La psicoanalisi è infatti giustamente percepita come una scienza nuova, dirompente e di rottura con la tradizione. Diversi seguaci della psicoanalisi sono anche partigiani della rivoluzione bolscevica, la quale si adopera per fare sorgere dalle rovine dello zarismo e della grande guerra una società diversa, equa, che possa realizzare certi valori etici e garantire un livello di vita migliore. Questa rivoluzione non può quindi essere contraria alla psicoanalisi, la quale, anzi, dovrebbe fare parte dell’assetto politico per forgiare la nuova classe, che deve essere più libera, più forte. Così  molti intellettuali bolscevichi approdano alla Società Psicoanalitica Russa, restandovi per qualche anno, come possiamo evincere scorrendo l’elenco pubblicato sul Bulletin dell’IPA. Tra questi si trova anche uno dei massimi esponenti della pedagogia sovietica, P. Blondkij. Egli era professore dell’Accademia Krupskaja per l’educazione comunista e in vari altri istituti per la formazione pedagogica dell’Università di Mosca ed inoltre, come membro del Soviet poteva contare su una vasta rete di conoscenze e di collegamenti politici (Angelini). Otto Schmidt, matematico di fama, esploratore artico e bolscevico della prima ora, fu anche un personaggio di notevole peso politico. Marito di Vera Schmidt, fu per un certo periodo  direttore delle Edizioni di Stato e si adoperò per stampare molti scritti psicoanalitici. Egli rimase, come la moglie, membro della Società Psicoanalitica Russa sino all’ultimo elenco di questa società, comparso sul Bulletin dell’IPA nel 1936. In quell’anno succede una singolare dimenticanza, a seguito della quale l’elenco dei soci (circa una ventina) della Società russa non compare sul Bulletin, ma viene pubblicato successivamente ed a parte. Che fosse questo un tentativo non riuscito per liberarsi di una compagnia diventata ormai troppo ingombrante e, soprattutto, politicizzata?

 

L’interesse verso la psicoanalisi era in Russia molto grande, come abbiamo visto. E’ interessante notare che in un mese erano state vendute duemila copie del primo volume delle Lezioni introduttive di Freud, lo sottolinea L. Nissim Momigliano, recensendo sulla Rivista il lavoro di Vera Schmidt e citando quanto scrive Jones nella biografia di Freud. Il clima cambia dopo il 1925, quando incomincia la stabilizzazione dittatoriale del potere con un rifiuto di qualsiasi novità sentita come minacciosa; ne consegue quindi un clima di terrore con la persecuzione e la deportazione in massa, visto che risulta difficile stabilire chi sia dissidente e per paura di lasciarsene scappare qualcuno si preferisce ridurre al minimo le maglie della rete. Appena possibile però i russi riprendono a leggere Freud. Così nel 1989, durante la perestrojka, quarantamila copie delle Lezioni introduttive vengono esaurite all’istante; si pubblicano inoltre a Mosca cinquecentomila copie di altre tre opere teoriche di Freud e la previsione è di pubblicare in dieci anni oltre cinquanta milioni di copie di opere psicoanalitiche (Kadyrov): l’interesse per la diffusione della psicoanalisi in Russia ha quindi da sempre anche una piccola componente di marketing!

 

Dal 1922 la Società Psicoanalitica Russa passa sotto l’egida del Ministero Sovietico dell’Educazione, viene aperto l’Istituto Psicoanalitico Statale (dal 1923-25), che ingloba anche l’asilo “Solidarietà Internazionale”  ed un ambulatorio statale di psicoanalisi (Kadyrov). Wulff è dapprima segretario della Società e poi presidente, nel 1927 emigra a Berlino, nel 1933 con Max Eitingon (di origini russe, come anche Lou Andreas Salomé ) raggiunge la Palestina e fonda lì una nuova società psicoanalitica. A Mosca Wulff svolge le funzioni di analista didatta, affiancato, per un limitato periodo, nel 1923, da Sabina Spielrein, rientrata quell’anno in Unione Sovietica. Mosca è, ad un certo momento, il terzo centro di formazione e di attività psicoanalitica, però solo Wulff, Ermakoff e Kannabich svolgono una prassi psicoanalitica. Nulla si sa del setting che seguivano, nota Kadyrov, se quindi vedevano pazienti solo pubblicamente od anche privatamente. D’altronde non si ha alcuna documentazione nemmeno del loro lavoro clinico nelle istituzioni pubbliche. Così, le uniche informazioni provengono dai giornali satirici, nei quali la psicoanalisi viene naturalmente sbeffeggiata ed osteggiata. In questi quesiti del “giovane” Kadyrov riguardanti gli eventuali “padri” della psicoanalisi russa, ci sembra di potere notare una sofferta ricerca delle proprie origini, più precisamente proprio di una traccia che possa portare, tra le memorie traumatiche, alla scoperta di un sigillo nascosto, una specie di imprimatur alla nuova generazione di psicoanalisti russi.

 

Come abbiamo visto, a Mosca venne aperto un asilo infantile residenziale, il primo di questo tipo in Europa, con l’intento di applicare i principi psicoanalitici ad alcuni bambini in modo da aiutare la crescita di persone nuove secondo lo spirito rivoluzionario. L’asilo era diretto da Vera Schmidt, membro della Società Psicoanalitica Russa.

 

Vera Fedorovna Yanitskaja nasce nel 1889 a Starokonstantinov nella provincia di Odessa e muore a Mosca nel 1937 per un tumore tiroideo. I genitori erano medici, sembra che la madre, la quale si occupava di bambini affetti da problemi neurologici, avesse avuto una grande influenza sulla figlia e sulla sua decisione di dedicarsi all’insegnamento dopo avere terminato gli studi di pedagogia a St. Petersburg. Nel 1913 Vera sposa Otto Schmidt, matematico, che acquista con l’avvento della rivoluzione bolscevica un grande peso politico, oltre ad occupare anche un ruolo di rilievo nell’Accademia delle Scienze. Ambedue diventano seguaci di Freud tanto da incontrarlo a Vienna nel 1923. Vera è particolarmente attiva nel movimento psicoanalitico russo,  nel 1927 occupa il posto di segretaria della Società Psicoanalitica Russa, succedendo a Lurija, il quale preferisce obbedire al partito comunista e rinnegare la propria passione passata. Ella manterrà questo ruolo anche negli anni bui della dittatura bolscevica, tanto da ricevere nel 1936 la visita del dr. Lehrman di New York per informarlo che un gruppo di quindici psicoanalisti continua ad incontrarsi regolarmente svolgendo anche attività seminariale (Glover). Così si evince dai Bulletins dell’IPA succedutisi negli anni, in contrasto con quanto afferma Pollock e cioè che Vera Schimdt avrebbe abbandonato la Società assieme a Lurija. Dalle recensioni di Clara Willard sappiamo che ha pubblicato su Imago due lavori, nei quali  si sofferma sull’importanza dell’oralità nello sviluppo normale del bambino. Così V. Schmidt  sottolinea l’apporto strutturante del succhiare il seno, il dito ed altri oggetti nell’evoluzione della personalità di un lattante, collegandolo al processo di apprendimento. Il secondo lavoro Lo sviluppo dell’istinto di sapere in un bambino porta una pregevole e dettagliata osservazione di un bambino sin dalle prime settimane di vita. Il bambino, chiamato Alik, è in realtà Volik, figlio di Vera Schmidt, e frequenta l’asilo sperimentale dall’età di diciassette mesi fino al sesto anno. La sua crescita, descritta nei diari, viene confrontata con quella di alcuni altri bambini, dalla quale si distingue “per la sua marcata tendenza alla ricerca, che al tempo stesso lo collegava molto bene alla realtà” (pag. 265). Il lavoro si lascia tuttora leggere con piacere, anche se risulta per altri versi datato e fermo a concetti psicoanalitici piuttosto semplici, dove basta dare al bambino delle risposte di realtà alle sue domande riguardanti i quesiti sessuali per soddisfare il suo istinto di sapere e facilitare una sua normale evoluzione. Il bambino assapora così, grazie alla pulsione di possesso fortemente sviluppata nella direzione conoscitiva, il senso della propria forza e potenza, rinunciando contemporaneamente al pensiero magico. Grazie poi all’asilo, dove i bambini sarebbero stati piuttosto autonomi ed indipendenti dagli adulti, Alik avrebbe vissuto il senso della forza nella realtà invece che nella fantasia magica. Il bambino soddisfa quindi il suo istinto di sapere entrando in relazione con la realtà, sentendosi contemporaneamente potente. Viene così sottolineata l’importanza che l’istinto di possesso si trasformi in istinto di sapere. Al contrario invece, “una repressione troppo precoce e troppo forte degli impulsi motori (erotismo muscolare) e dell’aggressività porta quindi ad un rafforzamento del piacere tattile erotico-cutaneo a spese dell’istinto di sapere” (pag. 305), che richiama alla mente i lavori di Eugenio Gaddini, sia quelli riguardanti l’energia aggressiva sia soprattutto i suoi concetti teorici sull’area psicosensoriale e quella psicoorale.

 

 E. Klein in un suo lavoro sugli aspetti psicoanalitici dei problemi scolastici (1949), nel quale sviluppa il tema della curiosità, una componente della pulsione istintuale, che darebbe una grande energia al processo di apprendimento, cita i lavori della Schmidt, in particolare la sua tesi che la curiosità si costruisca e venga rinforzata dai fattori orali, i quali influirebbero anche sull’inibizione intellettiva.

 

Vera Schmidt è però nota soprattutto per il suo lavoro nell’asilo sperimentale di Mosca. Mentre l’esperienza era in corso, ella ne parlò ripetutamente alla Società Psicoanalitica di Mosca, ma anche di Berlino nell’ottobre 1923, come risulta dai vari Bulletin. Ma vediamo che cosa ne scrive la stessa Schmidt. L’asilo sperimentale serviva come punto di osservazione dei bambini, ma anche per “cercare nuove vie educative sulla base delle conoscenze psicoanalitiche” (pag. 241). Aperto nell’agosto 1921 in una villa messa a disposizione dal governo, mentre il Commissariato popolare per l’istruzione assicurava la copertura finanziaria, era annesso all’Istituto neuropsicologico di Mosca con a capo il prof. Ermakov. All’inizio ospitava trenta bambini: sei da un anno ad un anno e mezzo di età; nove bambini di 2-3 anni e quindici bambini di quattro-cinque anni. I bambini appartenevano a tutte le classi sociali.

 

 Dopo tre mesi erano sorte delle voci circa un eccitamento sessuale al quale sarebbero stati sottoposti i bambini, per cui l’asilo venne privato del finanziamento statale. Successivamente anche l’Istituto neuropsicologico, alla cui direzione era stato nominato un avversario della psicoanalisi, tolse il proprio finanziamento. L’asilo era quindi sul punto di chiudere l’attività, quando venne in soccorso – nell’aprile del 1922 sino a tutto il 1924 – il sindacato dei minatori tedeschi Union, il quale lo riforniva di generi alimentari, mentre i minatori russi provvedevano al combustibile. Così venne rinominato Asilo sperimentale Solidarietà internazionale. I bambini furono ridotti a dodici, cinque maschi e sette femmine, suddivisi in due gruppi. Al primo appartenevano i bambini di tre anni – tre anni e mezzo; al secondo i bambini di quattro – cinque anni. Ogni gruppo aveva a disposizione due stanze con giardino della bella villa, delle quali una serviva come camera da letto, l’altra invece per i giochi e come camera da pranzo. Alcuni bambini erano orfani di entrambi i genitori oppure di uno solo, ma tutti vivevano nell’asilo. Essi erano seguiti da tre educatrici che si alternavano ogni sei ore. Tra i compiti di queste rientrava anche la redazione di profili caratteriali e di diari su tutte le attività del singolo bambino, anche di quelle corporali collegate quindi all’educazione della pulizia. Le educatrici avrebbero dovuto “essere in grado di riconoscere i derivati dell’inconscio infantile, di interpretarli e distinguerli dalle manifestazioni coscienti”. Il bambino doveva essere aiutato a superare gli impulsi che provenivano dal suo inconscio e di fronte ai quali si sentiva impotente, perché così acquistava una coscienza di forza. Egli andava aiutato a comprendere gradualmente le condizioni reali del mondo esterno, superando il principio di piacere e sostituendolo con quello di realtà. Il lavoro educativo doveva tenere conto delle fasi pregenitali dello sviluppo che normalmente vengono solo accennate, scrive Schmidt, senza rendersi decisamente evidenti. Andava rispettato lo sviluppo sessuale del bambino evitando un’inibizione evolutiva, ma cercando di stimolare “una continua realizzazione di sublimazioni”. L’educatrice doveva cercare di costruire un legame con il bambino, così si sarebbe innestato il meccanismo del transfert, e doveva svolgere una continua analisi su se stessa in modo da facilitare l’insorgere di un legame positivo. Spesso si era notato che una reazione abnorme in un bambino era dovuta all’incapacità dell’educatrice di comprendere e di accettare un certo comportamento corrispondendovi in modo adeguato.

 

L’educazione incomincia dai primi giorni di vita del bambino, visto che l’allattamento è così importante, scrive Schmidt. L’educatore deve basarsi sul materiale che deriva dall’osservazione del bambino, non da riflessioni teoriche, e deve tenere conto delle particolarità individuali. Egli non deve fare delle valutazioni soggettive delle manifestazioni del bambino. Il successo di un’educazione dipende dal legame che si instaura tra bambino ed educatore, dalla crescita in una comunità di coetanei, dalla creazione di condizioni esterne favorevoli, compreso un ambiente pedagogicamente sano. I compiti educativi principali nei primi anni di vita sono: l’adattamento graduale alle esigenze di realtà, la padronanza dei processi escretori e la sublimazione degli impulsi sessuali infantili.

 

Nell’asilo non ci sono punizioni. L’educatrice non valuta soggettivamente, non esprime elogio o biasimo, ma giudica solo l’operato del bambino: così valuta bella una casa costruita dal bambino (e non dice al bambino che è bravo), oppure se c’è una zuffa parla del dolore che l’aggressore ha provocato all’avversario. L’educatrice deve osservare la massima riservatezza alla presenza dei bambini, non deve mai fare delle osservazioni sul loro carattere e deve essere misurata nelle manifestazioni di tenerezza. E’ sempre per amore verso l’educatrice che il bambino rinuncia a certi soddisfacimenti pulsionali e ciò avviene in modo più duraturo, visto che egli stesso ad imporselo. Anche per quanto riguarda il controllo sfinterico, il bambino smette di sporcarsi perché lentamente sperimenta che può  rimanere pulito.

 

Da tutto ciò emerge il ruolo fondamentale svolto dall’educatrice “di formazione analitica”, in grado quindi di svolgere su se stessa un continuo lavoro di autoanalisi che le permette di non perdere il contatto con i bambini. Le diverse parti dello scritto concernenti il lavoro delle educatrici sono particolarmente importanti e quanto mai attuali. Leggendole, mi è venuto da pensare ripetutamente che la Schmidt avesse fatto un suo personale percorso analitico, tante sono le analogie con quello che dovrebbe essere un atteggiamento analitico. E’ molto probabile d’altronde che Wulf durante il suo soggiorno in Russia svolgesse delle psicoanalisi tra i membri ed i suoi collaboratori.

 

Come abbiamo già detto, i bambini vivevano all’asilo ed i genitori venivano a trovarli alla domenica, certe volte se li portavano anche a casa, ma i bambini, sottolinea la Schmidt, si congedavano sempre senza lacrime. Molti bambini chiamavano però l’educatrice mamma!  Così, scrive la Schmidt: “I bambini non conoscono alcuna autorità parentale, potere parentale e simili. Per loro il padre e la madre sono esseri ideali, belli e amati. Non è da escludere che questi buoni rapporti fra genitori e bambini si possano stabilire soltanto là dove l’educazione si svolge al di fuori della famiglia,” evidenziando così il grande limite di quest’esperienza, senza esserne consapevole. Mi sembra però di potere affermare che simili aspettative, anche se molto mascherate, siano presenti nella società attuale, gravando con il loro peso di responsabilità negato sulle istituzioni scolastiche di tutti i livelli.

 

Certi principi pedagogici della Schmidt rimandano alla teorizzazione del pedagogista tedesco Friedrich Froebel, il quale sosteneva un approccio individualizzato all’apprendimento attraverso l’incoraggiamento del bambino a scoprire da solo la realtà ed il mondo, e sono tuttora attuali. L’aspetto residenziale dell’asilo non era però un’eccezionalità per quei tempi, lo stesso procedimento venne infatti seguito anche nel caso della Malting House School (Graham), per i bambini che provenivano da fuori Cambridge. Questa scuola, che si occupava anche di bambini in età di asilo, fu diretta da Susan Isaacs dall’apertura nell’autunno 1924 sino al 1927 e chiuse definitivamente i battenti nel 1929. Nel 1927 incominciava invece per alcuni bambini viennesi l’avventura della Hietzing Schule conclusasi nel 1932, che non prevedeva una struttura residenziale (Houssier, Midgley).

 

Nel caso moscovita si trattava di una scelta educativa, dapprima lo stato e poi il tecnico che si sostituisce alla famiglia. Indubbiamente la Schmidt conosceva i lavori di August Aichorn e di Siegfried Bernfeld, che ella anche cita, ma il modello operativo dell’asilo era diverso dalle esperienze viennesi, a differenza di quanto sostiene Miller.

 

Per terminare riprendo la recensione di Nissim del lavoro di  Vera Schmidt. L. Nissim si interroga sulle cause dell’oblio caduto su un’esperienza così interessante e ricorda che “anche Anna Freud, nel recente discorso, “Una breve storia dell’analisi del bambino”, tenuto a Topeka nel 1966, omette di citare Vera Schmidt e le sue iniziative, proprio quando, ricordando gli inizi del lavoro in questo campo negli anni ‘20, rende omaggio ai primi coraggiosi pionieri che lavorarono coi bambini, sia in senso terapeutico vero e proprio, sia estendendo la propria attività al campo pedagogico, fondando varie nursery schools di ispirazione analitica.”

 

Possiamo chiederci: ancora una questione di filiazione?

 

 

 

( presentato al Centro Veneto di Psicoanalisi)

Vlasta Polojaz

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