Giorello – La filosofia, il pensiero critico e la libertà
Giorgio Mattana
È morto Giulio Giorello, filosofo della scienza, intellettuale e spirito libero. Dagli anni Settanta è stato uno dei maggiori rappresentanti del pensiero critico sulla scena italiana. Allievo di Ludovico Geymonat, primo docente italiano di filosofia della scienza, ne aveva ereditato la cattedra alla Statale di Milano. Erano anni di forti contrapposizioni politiche, di duri scontri ideologici, ma anche di grandi fermenti culturali. La Statale e la Casa della Cultura di Milano ne erano uno dei teatri principali. Dopo la l’introduzione del marxismo, della fenomenologia e dell’esistenzialismo a opera di Antonio Banfi e di Enzo Paci, accanto ai rigorosi insegnamenti di storia della filosofia di Mario Dal Pra, si facevano strada nei corsi universitari l’ermeneutica e la filosofia della scienza. Di avere introdotto quest’ultima in Italia il merito principale va naturalmente a Geymonat, il primo a rompere con la svalutazione crociana e gentiliana delle scienze della natura a in nome della filosofia come scienza del «concetto puro». È noto il giudizio di Benedetto Croce sulle teorie scientifiche come «ricette di cucina», meri strumenti di calcolo privi di reale valore conoscitivo. Eppure un merito non secondario nel promuovere la riflessione sul metodo scientifico va riconosciuto anche a Giorello, figura di spicco del brillante drappello degli allievi di Geymonat. In cattedra a trentatré anni, laureato in filosofia e in matematica, docente in vari atenei e infine a Milano, Giorello ha proseguito sulla strada del maestro importando nel nostro paese la riflessione epistemologica novecentesca nata dalla crisi del neopositivismo inizialmente abbracciato da Geymonat.
Ed è proprio la parola «crisi» a dominare quegli anni: crisi dei fondamenti, crisi della ragione, crisi della logica, crisi della matematica, crisi della fisica classica. La riflessione sulla relatività einsteiniana e sulla meccanica quantistica, combinata con le idee di Ernst Mach e di Ludwig Wittgenstein, era naturalmente centrale anche nel neopositivismo, movimento molto più raffinato e complesso di come talvolta lo si usa raffigurare, peraltro inizialmente molto favorevole alla psicoanalisi. Eppure dalla rivoluzione scientifica novecentesca le conclusioni più radicali non le trassero i neopositivisti, ma Karl Popper, Thomas Kuhn, Imre Lakatos e Paul Feyerabend. Ed è stato proprio Giorello, o è stato anche e soprattutto Giorello, ad aver fatto conoscere questi Autori nel nostro paese, il che significa aver modificato l’immagine classica, positivistica e neopositivistica, della scienza come sapere certo e verificabile, che procede linearmente per accumuli successivi, promuovendo quel pensiero critico e antidogmatico che è a sua volta il nucleo del progresso scientifico. È in nome del metodo critico, che si accompagna in lui a una buona dose di impertinenza e di «spirito» critico, che Giorello si allontana dal marxismo e in particolare dal materialismo dialettico che Geymonat aveva progressivamente sostituito alle sue iniziali simpatie neopositivistiche. Egli si avvicina così prima a Popper, poi a Kuhn, a Lakatos e a Feyerabend, il più antidogmatico, stimolante e provocatorio dei quattro, senza dimenticare gli italiani Federigo Enriques e Giovanni Vailati, Larry Laudan e altri pensatori relativamente meno noti. La rivoluzione scientifica novecentesca, ma anche la precedente la scoperta delle geometrie non-euclidee, che tanta parte avranno nella teoria della relatività generale, ha messo in crisi la ragione classica che scopre e rivela una volta per tutte le leggi che governano il mondo. Si fa strada un sapere «senza fondamenti», senza basi certe, indiscutibili, fissate in modo definitivo. Sulla scena c’è anche la psicoanalisi, altra incarnazione del pensiero critico che contribuisce a sgretolare le certezze positivisitche, inducendo a scrutare le motivazioni e le macchie cieche dell’osservatore che dovrebbe scrutare in modo neutrale la natura.
Giorello contribuisce così a promuovere una visione più critica e matura della scienza, lontana tanto dal pregiudiziale rifiuto idealistico quanto dalla dogmatica concezione positivistica, diffondendo modelli di razionalità nuovi, compatibili con un sapere senza fondamenti assoluti. Il primo riferimento è Popper, che propone una vera e propria rivoluzione epistemologica discutendo la tradizionale immagine induttivistica del metodo scientifico e facendo del «principio di falsificazione» l’essenza del metodo scientifico. Tratto distintivo delle ipotesi scientifiche non è la verificabilità, la possibilità di essere dimostrate vere, ma proprio l’opposto: a differenza dei miti e dei dogmi le ipotesi scientifiche si espongono alla critica e possono essere smentite da esperimenti e osservazioni. La loro scientificità risiede nella controllabilità, nel fatto che se ne può saggiare il potere conoscitivo; per sapere se ne possiedono bisogna sottoporle a severi controlli, a test rigorosi nei quali possono reggersi o cadere, ossia a severi tentativi di falsificazione. Se li superano con successo sono provvisoriamente «corroborate», ma anche le teorie più accreditate sono sempre smentibili da future osservazioni ed esperimenti.
È noto che lo stesso Popper è stato considerato un rappresentante della ragione «forte», con la sua difesa della razionalità della scienza, la sua concezione normativa del metodo delle congetture e delle confutazioni e la sua teoria del progresso scientifico come avvicinamento alla verità. Non è forse altrettanto noto che Lakatos, Kuhn e Feyerabend, che ne metteranno anche radicalmente in discussione le tesi, sono tutti «figli» suoi, che ne porteranno alle estreme conseguenze la critica della concezione verificazionista e la tesi che le nostre osservazioni sono impregnate di teoria. La traduzione e la cura del volume Critica e crescita della conoscenza (1993) di Lakatos e Musgrave, che nel modo migliore documenta tali sviluppi post-popperiani e la nascita della «nuova filosofia della scienza», è forse la migliore testimonianza del ruolo svolto da Giorello nell’avvicinare alla cultura italiana queste nuove e rivoluzionarie idee sulla struttura e la dinamica della scienza.
Giorello ha scritto e curato molti libri, per non parlare degli articoli, delle relazioni ai congressi, degli interventi sulla carta stampata e delle interviste. Fra i testi dedicati alla filosofia e alla storia della matematica si ricordano i Saggi di storia della matematica (1974), Il pensiero matematico e l’infinito (1982) e Lo spettro e il libertino. Teologia, matematica, libero pensiero (1985). Devono inoltre essere menzionate almeno due importanti opere di argomento epistemologico: il volume Introduzione alla filosofia della scienza (1994) curato e scritto con alcuni colleghi e La filosofia della scienza nel XX secolo scritto con Donald Gillies (1995). Esse contengono approfondite analisi critiche del falsificazionismo popperiano, della teoria kuhniana delle rivoluzioni scientifiche, della metodologia lakatosiana dei programmi di ricerca, dell’anarchismo metodologico feyerabendiano e di molto altro. Ogni modello è considerato con la massima attenzione, ma nessuno è venerato e nessuno si salva da approfondite analisi critiche. Prima affascinato dal fallibilismo di Popper e dalla sua difesa della società aperta contro il totalitarismo e i suoi profeti, fra i quali il filosofo austriaco notoriamente annoverava Platone, Giorello si è poi avvicinato a pensatori più relativisti fino a simpatizzare con l’anarchismo metodologico di Feyerabend. È il relativismo il grande approdo degli ultimi anni, rivendicato con forza e considerato l’equivalente epistemologico della libertà.
L’altro tratto peculiare di Giorello, accanto alla sua grande versatilità culturale e alla molteplicità dei suoi interessi, dalla matematica, alla fisica, alle neuroscienze, alla letteratura, all’arte e ai fumetti, è stato un coerente, tollerante e al tempo stesso intransigente laicismo, prima declinato come agnosticismo e poi come ateismo. Di nessuna chiesa. La libertà del laico (2005) e Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (2010) sono i testi di riferimento di quest’altra dimensione del suo pensiero, che è poi l’altra faccia di quell’atteggiamento critico e antidogmatico in cui si esprime l’essenza della sua posizione epistemologica. Si tratta dell’applicazione alle tematiche esistenziali e metafisiche di quel relativismo tollerante e moderato che deriva dalla consapevolezza dell’assenza di fondamenti certi del nostro sapere. Giorello rivendica la libertà di proclamare la non appartenenza ad alcuna chiesa e di concepire l’agnosticismo non per «sottrazione» rispetto alla fede, ma come posizione intellettuale basata su solidi, benché consapevolmente e orgogliosamente non assoluti, argomenti filosofici e scientifici. La lezione degli illuministi, di Spinoza, di Hume, di Russell, combinata con gli insegnamenti dell’amato John Stuart Mill, all’incrocio fra pensiero critico, scetticismo e liberalismo, rappresenta il nucleo filosofico della posizione di Giorello. Quello scientifico è costituito dalla convinzione che l’agnosticismo, che in lui inclina decisamente verso la negazione piuttosto che l’affermazione della trascendenza, sia la naturale conseguenza delle «ferite narcisistiche» che sono state inflitte all’uomo dalla conoscenza scientifica. È oggi indubbiamente più difficile pensare a un disegno divino all’origine dell’universo, a una posizione privilegiata dell’uomo nel cosmo e all’immortalità dell’anima. È più difficile perché la cosmologia ci parla di un mondo nato dal caos, dove l’ordine è locale e transitorio e dove il sistema solare è una realtà a dire poco marginale, perché l’evoluzionismo descrive la vita come un fenomeno in larga parte casuale e perché la ricerca neuroscientifica rende sempre più difficile sostenere l’indipendenza dell’«anima» dal corpo.
Il diffondersi del fondamentalismo politico-religioso, l’uso politico della fede, l’insistenza unilaterale sulle radici cristiane dell’Europa, l’attacco al darwinismo e quel fenomeno a suo giudizio altamente ipocrita che è l’«ateismo devoto», avevano recentemente convinto Giorello che l’agnosticismo non basta. Bisognava passare all’ateismo, chiaro e inequivocabile «inveramento» del primo: dalla sospensione del giudizio alla negazione. Ma l’ateismo di Giorello, consapevole del rischio di ricadere in un dogmatismo antireligioso, è «metodologico», non è basato sulla pretesa di dimostrare l’inesistenza di Dio, ma sulla legittimità di evitarne l’invocazione come fondamento della vita e dell’etica. Dostoevskij affermava con orrore che senza Dio tutto sarebbe consentito; Giorello gli risponderebbe che in nome di Dio è stato possibile fare di tutto. Difficile non cogliere l’assonanza con Etica senza fede di Paolo Flores D’Arcais (1992), basato sulla comune convinzione che solo il riconoscimento della fragilità e finitudine umana, non subordinata ad alcun valore trascendente, compreso lo stato, la nazione o la razza, potrà finalmente fare dell’uomo il fine dell’etica e della politica. Nella stessa linea di pensiero si collocano l’amicizia e la collaborazione degli ultimi vent’anni con Edoardo Boncinelli, fisico e genetista laico con il quale Giorello ha pubblicato Lo scimmione intelligente. Dio, natura e libertà (2009) e Noi che abbiamo l’animo libero. Quando Amleto incontra Cleopatra (2014).
Boncinelli E., Giorello G. (2009). Lo scimmione intelligente. Dio, natura e libertà. Longanesi, Milano.
Boncinelli E., Giorello G. (2014). Noi che abbiamo l’animo libero. Quando Amleto incontra Cleopatra. Rizzoli, Milano.
Flores D’Arcais P. (1992). Etica senza fede. Einaudi, Torino.
Giorello G. (1974). Saggi di storia della matematica. FER, Milano.
Giorello G. (1982). Il pensiero matematico e l’infinito. UNICOPLI, Milano.
Giorello G. (1985). Lo spettro e il libertino. Teologia, matematica, libero pensiero. Mondadori, Milano.
Giorello G. (1994) (a cura di). Introduzione alla filosofia della scienza. R.C.S., Milano.
Giorello G. Gilles D. (1995). La filosofia della scienza nel XX secolo. Laterza, Roma-Bari.
Giorello G. (2005). Di nessuna chiesa. La libertà del laico. Cortina, Milano.
Giorello G. (2010). Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo. Longanesi, Milano.
Lakatos I., Musgrave A. (1980). Critica e crescita della conoscenza. Feltrinelli, Milano (1993).