(Freud tra Jung e Sabina)
Franco
Scalzone
già pubblicato online
su Psychomedia.it PM, Area "Argomenti di
Psicoanalisi", il
1 Luglio 2002,
"Vivere vicino alle persone è sempre difficile,
davanti ad altri occhi."
(J.G. Rosa 1963, p. 148)
Antefatto
In questo lavoro
vorrei trattare dei pericoli insiti nella terapia psicoanalitica utilizzando
l’affare Jung-Freud-Spielrein dal vertice osservativo della diade concettuale
simmetria/asimmetria, quale importante fattore per evidenziare alcuni aspetti
che caratterizzano le dinamiche intra-soggettive e le relazionali inter-soggettive
tra le persone, rinvenibili anche nei rapporti terapeutici. Il sottotitolo del
lavoro scambia l’ordine degli attori rispetto a quello del lavoro di
Carotenuto; ciò allo scopo di evidenziare un maggiore interesse per la
centralità della figura di Freud.
Inizierò
dalla lettura del libro Diario di una segreta simmetria (1999) di Aldo
Carotenuto, un analista di scuola junghiana il quale alcuni anni orsono venne
in possesso di un diario di Sabina Spielrein e di alcune sue lettere a Jung che
giacevano nell’archivio di Édouard Claparède, sito negli
scantinati dell’Istituto di Psicologia di Ginevra. Egli li pubblicò facendoli
precedere da una sua Introduzione e da un lungo saggio dal titolo Diario
di una segreta simmetria. In seguito Bruno Bettelheim scrisse un saggio
critico sull’argomento intitolato Scandalo in famiglia al quale
Carotenuto replicò con un altro saggio dal titolo Ancora su Sabina Spielrein, tutti pubblicati nello stesso volume.
In
tal modo, utilizzando i commenti di più autori, ne risulterà una sorta di invenzione
a più voci tra loro armonicamente intrecciate: una polifonia che comporterà
per il lettore uno piccolo sforzo di attenzione.
Premessa
Mi
limito per ora a dare una definizione dei termini "simmetria", "asimmetria" (o
"complementarità"), limitatamente a ciò che attiene alla comunicazione umana.
Applicherò in seguito questi concetti agli aspetti delle relazioni
interpersonali e in particolare a quelle che intercorsero tra i tre
protagonisti della nostra storia.
Seguendo
gli autori della Pragmatica della comunicazione umana (1967) chiamiamo "interazione
simmetrica" quella caratterizzata dall’uguaglianza e dalla "minimizzazione"
della differenza, mentre il processo opposto caratterizza l’"interazione
complementare", quella in cui si hanno due diverse posizioni: un partner assume
la posizione che è stata descritta in vario modo come superiore, primaria o one-up,
mentre l’altro tiene la posizione corrispondente: inferiore, secondaria o one-down.
Inoltre in una relazione simmetrica è sempre presente il pericolo che si
inneschi la competitività; questa è una tendenza a cui si deve la
qualità tipica di escalation dell’interazione simmetrica una volta che
si sia perduta la stabilità del sistema e che sia sopraggiunta una cosiddetta runaway, dovuta all’amplificazione incontrollata di
una deviazione. Possiamo pertanto dire che tutti gli scambi di
comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati
sull’uguaglianza o sulla differenza.
Il
problema della simmetria/asimmetria, però, non riguarda soltanto le relazioni
tra le persone, ma anche le relazioni interne tra le parti del Sé. Un esempio
dell’asimmetria interna al soggetto è quella determinata dalla bisessualità
(Fliess-Freud) per l’esistenza della coppia dissimmetrica femminilità/mascolinità,
o quella del puro elemento maschile/puro elemento femminile (Winnicott,
1971) se non altro perché per Freud l’elemento rimosso è sempre il femminile e
la libido è solo maschile. Segnalo anche, poiché parliamo di Jung, il suo
concetto di Animus (maschile) e di Anima (femminile); essi però
conservano poco della sessualità psicobiologica, così come la intendeva Freud,
e sono piuttosto figure controsessuali archetipiche, l’una collegata al Logos e
l’altra ad Eros. Possiamo utilmente ricordare come, secondo Matte Blanco
(1975), esistano due modalità di funzionamento mentale nei rispettivi sistemi
psichici: uno presente nell’inconscio in cui vigge una logica simmetrica,
l’altro presente nella coscienza dove vigge una logica asimmetrica espressa nella
peculiare attività del pensare per simboli. Pertanto, se vogliamo dire
qualcosa dell’inconscio (simmetrico), il quale funziona secondo il processo
primario, dobbiamo necessariamente tradurlo in pensiero espresso in linguaggio
simbolico (asimmetrico) che funzionano secondo le leggi del processo
secondario. Per questo motivo l’uomo ha una doppia natura, simmetrica/asimmetrica
o, per adoperare dei termini a noi più familiari, conscia/inconscia.
(cfr. op. cit., p. 234).
Voglio
qui ricordare che la coscienza asimmetrica emerge dalla matrice
simmetrica dell’individuo, e che questo processo è anche un modo particolare
per costruire una autorappresentazione della propria identità attraverso un
processo auto e etero-referente, nonché una rappresentazione del proprio ruolo
mediante un processo di rispecchiamento nell’altro, in primis nelle
parole e nel volto della madre (vedi Winnicott, 1971; Lacan, 1966). Per tali
ragioni il venir meno alle regole del ruolo, nel nostro caso del ruolo
analitico del terapeuta, impone sempre l’interrogarsi sulle implicazioni
tecniche e etiche dei propri comportamenti; tutte cose che vanno prese molto
sul serio e che non sono liquidabili con una superficiale "comprensione"
giustificativa né evitabili con un diniego o una rimozione, se non altro per la
loro ricaduta su tutto il sistema. Non solo, ma come ci ricordano anche Gabbard
e Lester (1995) sappiamo che spesso si verifica una trasmissione
intergenerazionale degli atteggiamenti degli analisti e dei relativi punti
ciechi e, inoltre, quando evitiamo di "ricordare" la storia tende a
"ripetersi".
Una relazione a tre
Nella
vicenda Jung-Freud-Spielrein, e solo al fine di essere schematici, possiamo
considerare alcuni aspetti delle relazioni tra i tre attori; relazioni che
peraltro si svilupparono ai differenti livelli di complessità e in cui, come
sempre accade, coesistevano aree di relazione simmetrica con aree di relazione
asimmetrica funzionanti in parallelo contemporaneamente:
1) la relazione tra
Jung e Spielrein si articolava ad un livello di relazione complementare di tipo
medico/paziente; in subordine in una relazione di tipo maestro/allieva, e
infine ad un livello di relazione simmetrica dominata da una fantasia fusionale
onnipotente con un oggetto primario;
2) la
relazione tra Freud e Jung, il "principe ereditario", che possiamo
differenziare in vari livelli: quella complementare di padre/figlio, quella
maestro/allievo e medico/paziente e, in ultimo, nella relazione simmetrica tra
colleghi in posizione paritaria;
3) la
relazione tra Freud e Spielrein che fu, forse, meno ambigua perché soprattutto
del tipo maestro/allieva, come variante di un rapporto padre/figlia.
Ricordiamo
che Freud, a differenza di Jung, assumeva immediatamente un atteggiamento
protettivo di tipo genitoriale con le giovani donne che si rivolgevano a lui
per un aiuto.
Dovremmo
poi aggiungere l’esistenza di una relazione di tipo triangolare tra gli attori
inscritta in una relazione più ampia formata da loro tre e dal gruppo di
appartenenza, cioè la comunità psicoanalitica che era divisa all’epoca in due
sotto-gruppi a loro volta in competizione: i "viennesi" e gli "svizzeri".
Diamo
per noti, almeno nelle grandi linee, gli eventi storici che coinvolsero i tre
protagonisti e passiamo a rilevarne alcuni aspetti dal vertice osservativo che
abbiamo scelto.
Nel
saggio di Carotenuto intitolato Diario di una segreta simmetria (Sabina
Spielrein tra Jung e Freud), già dal sottotitolo si vede che la relazione
era triadica e non diadica, e che la simmetria poteva al più essere presente in
aspetti delle relazioni tra coppie di personaggi ritagliate all’interno della
triade. Questa tipo struttura già configura la possibilità di una circolarità
autoreferenziale.
Una
prima testimonianza dell’asimmetria tra Jung e Freud ci appare quando
Carotenuto scrive:
"Nel
complesso delle lettere che Jung e Freud si sono scambiate è generalmente Jung,
per motivi non difficili a comprendersi, che si scopre con Freud e non
viceversa. Con molte sue affermazioni, ‘godere della Sua amicizia non come di
un’amicizia fra uguali, ma come dell’amicizia tra padre e figlio’, Jung si
mette letteralmente nelle mani del suo illustre collega, sviluppando però in
tal modo quei sentimenti di ambivalenza che in genere costellano ogni vero e
proprio trattamento analitico." (pp.
52-53).
Qua
si vede l’esistenza di un’asimmetria, più precisamente di una complementarità,
articolata sulle tre varianti del rapporto Freud-Jung che viene assimilato sia
al rapporto padre/figlio sia al rapporto maestro/allievo sia a quello, in un
certo senso, medico/paziente.
Winnicott
dirà nella Recensione dell’edizione inglese a Ricordi, sogni,
riflessioni (1961) di Jung: "Una
cosa possiamo dire sulla relazione tra Freud e Jung: essi dovevano incontrarsi,
ma Freud non avrebbe potuto rivolgersi a Jung come analista perché Freud aveva
inventato la psicoanalisi e doveva lasciare da parte l’area della follia nel
suo lento cammino verso l’applicazione dei principi scientifici dello studio
della natura umana; Jung, peraltro, non avrebbe potuto essere analizzato da
Freud perché Freud in effetti non era in grado di condurre un’analisi del
genere, che avrebbe implicato aspetti che solo ora, mezzo secolo dopo, stanno
cominciando a emergere nella metapsicologia psicoanalitica. In altre parole,
questi due uomini, ciascuno posseduto da un demone, potevano solo incontrarsi,
comunicare senza alcuna comprensione di fondo e poi separarsi. Il modo in cui
si incontrarono e poi si separarono è di qualche interesse, ma di scarso
significato." (1964, p. 510).
Per inciso
dobbiamo ricordare che, a dire di Winnicott, Jung, che all’epoca dei fatti
avena 30 anni, aveva sofferto di un episodio psicotico a quattro anni, e un
altro verso i dodici anni:
"In altre parole,
[Jung] era minacciato da una disintegrazione dell’Io (depersonalizzazione), da
un’inversione del processo maturativo e le sue difese si strutturarono in una
scissione della personalità, correlata, ad un certo livello, alla separazione
dei genitori." ([1964], in 1989, p. 511).
A sua
volta Sabina Spielrein, che all’epoca aveva 19 anni, fu diagnosticata come
affetta da un’isteria psicotica, cosa che ci fa pensare che ambedue
fossero persone molto fragili e ci fa capire il loro agito perché, come ci
ricorda Carotenuto: "Così
la psicoanalisi, questo rito della parola, è un agone, una lotta del pensiero.
La sua crudeltà è cerebrale." (p. 110).
Carotenuto
continua:
"Spesso, per
resistere alla prova, si cerca aiuto nel linguaggio dei corpi, più semplice,
più dolce, meno crudele. È una fuga, una resistenza, certo. Ma forse è solo consolamentum,
una piccola consolazione, un reciproco darsi calore e farsi coraggio per
riuscire ad affrontare la crudeltà dell’astinenza e dell’insoddisfazione."
(p. 110).
Dobbiamo
però ricordare che l’"astinenza" fa parte, come regola tecnica del metodo
psicoanalitico, del regime di frustrazione del desiderio che caratterizza la
corretta conduzione della terapia analitica, così come prescrive Freud. Essa
serve anche a rendere possibile il fatto che il paziente trovi soddisfazioni
sostitutive ai suoi sintomi. Perciò l’analista deve evitare di soddisfare i
desideri del paziente rifiutando di interpretare i ruoli che egli gli vuole
imporre.
Torniamo
a Freud e Jung. Sempre Carotenuto scrive più avanti:
"Ad esempio abbiamo
già citato, un passo dell’epistolario tra Freud e Jung nel quale questi si
lascia andare a una richiesta sentimentale. ‘L’immeritato dono della Sua
amicizia rappresenta per me in un certo qual modo un vertice della mia
esistenza […]. Il cenno, certamente non casuale, ai suoi rapporti con Fliess
mi spinge a pregarLa di permettermi di godere della Sua amicizia non come di
un’amicizia fra uguali, ma come dell’amicizia fra padre e figlio’." (p.
135). (Carotenuto
si riferisce alla lettera di Jung a Freud
del 20 febbraio 1908, nell’Epistolario,
p. 131).
Jung
sembra non tener conto però di come finirono i rapporti con Fliess, e cioè con
una rottura. D’altra parte tutta la vita di Freud fu segnata da amicizie
fortemente idealizzate e da rotture insanabili, anch’esse fortemente connotate
da determinanti transferali e controtransferali.
Ma
cinque anni più tardi l’atteggiamento di Jung è mutato, perché scrivendo a
Sabina e spiegandole il motivo di una risposta mancata, le comunica:
"Ero del tutto
scoraggiato, poiché allora tutto mi crollò addosso e inoltre ebbi la certezza
che Freud non mi avrebbe mai compreso e che avrebbe lasciato cadere il rapporto
personale con me. Egli vuole darmi amore, io desidero comprensione. Io
voglio essere una amico alla pari, mentre egli desidera avermi come figlio.
Per questo egli giudica tutto quello che faccio e che non entri negli schemi
della sua vita, un’azione retta da un complesso". (lettera di Jung a Sabina del 11 aprile 1913). […] "L’esigenza di
essere un figlio viene a cadere, si fa strada l’esigenza di essere trattato
alla pari ma, inflessibile, ci sarà la risposta di Freud: ‘Le propongo dunque
di cessare completamente i nostri rapporti privati’." (pp. 135-136). (Carotenuto si riferisce alla
lettera di Freud a Jung del 3 gennaio
1913, nell’Epistolario, p. 580).
Anche
Winnicott è del parere che:
"In un certo senso
Jung e Freud si rivelano complementari, sono come testa e croce in una moneta.
Una volta conosciuto Jung come ora ci è possibile fare, si capisce perché lui e
Freud non riuscirono a comprendersi l’un l’altro nei primi anni del secolo,
quei primi anni in cui Freud stava cercando di costruire una scienza che
potesse avere una sua graduale diffusione e Jung stava cominciando a
"conoscere", ma era ostacolato dal suo stesso bisogno di avere un Sé con il
quale poter conoscere." (1964, p.
509).
Tornando
alla Spielrein, Carotenuto scrive:
"Credo invece più
probabile che si sia andato creando un profondo intreccio, una segreta
simmetria, in cui Sabina cercava in Jung un’imago paterna rassicurante e amorevole,
mente Jung, a sua volta chiedeva a Freud l’appoggio, il consiglio e la
complicità di un padre."
(p. 70).
Ma,
aggiungo, lo chiedeva in modo ambivalente, cioè carico di competizione. Questa
ambivalenza era anche in Sabina tanto che Freud nella lettera a Jung del 21 marzo 1912 scrive:
"È una donna molto
intelligente; tutto quanto dice ha un significato, la sua pulsione distruttiva
mi piace poco, perché la ritengo condizionata personalmente. Mi sembra che essa
abbia più ambivalenza di quanta sarebbe normale." (p. 70), (Epistolario, p. 532).
Ritroveremo questa
tragica distruttività, che Freud acutamente colse, allorché, forse, si
consegnerà volontariamente con la figlia ai nazisti.
Lo
stesso Carotenuto dice:
"Ora, nella
situazione analitica non può esistere, in particolar modo all’inizio, alcuna
simmetria. Come è facilmente intuibile, non può servire la volontà
dell’analista di porsi su un piano di parità, a cancellare l’asimmetria del
rapporto, perché la realtà è nelle cose stesse." (p. 101).
Altrimenti,
aggiungiamo, sarebbe una pseudosimmetria e cioè una relazione in cui A
consente a B di adottare un comportamento simmetrico, o lo costringe a farlo.
E Carotenuto continua:
"Il
patto analitico dovrebbe essere mantenuto, nonostante la ricerca dell’Altro,
anche se questa situazione è dolorosa e frustrante. Molte analisi hanno questa
caratteristica. L’importante è capire che spesso le forme affettive sono una
difesa rispetto all’impegno professionale." (p. 112).
E
spesso, aggiungo io, sono un attacco inconsapevole alla comunità analitica a
cui si appartiene, sebbene misto a spinte fortemente autolesive.
"Ora l’errore di
Jung, non consapevole della situazione, è stato quello di uscire dal patto
analitico. Si può dire che anche questo aspetto attiene al problema della
morte." (p. 112).
"Nessuno infatti può negare il diritto a una paziente di innamorarsi del
proprio analista; da parte sua l’analista ha un solo dovere: affrontare il
problema." (p. 121).
Ancora una volta si
evidenzia l’asimmetria.
Ascoltiamo
ora Bruno Bettelheim. Egli entra rapidamente sul tema del libro di Carotenuto
rilevando che, a suo parere: "[…]
il libro porta alla luce più di una simmetria e […], un’asimmetria ancora più
importante." (p. 8).
Egli
rinviene la simmetria tra l’evoluzione della Spielrein e quella di Jung, e
sottolinea: "solo
che, mentre [egli] era ancora il suo terapeuta, essi divennero amanti."
(p. 8).
Ma
poi Bettelheim, criticando l’analisi di Carotenuto, aggiunge che:
"[…] secondo me,
l’elemento di maggiore interesse non è costituito dalle simmetrie […] quanto
da un’asimmetria che si generò quando la Spielrein si accostò professionalmente
a Freud mentre Jung si avviava verso la rottura con lui e col suo tipo di
psicoanalisi." (p. 9).
Qui vorrei far notare
l’intreccio gordiano esistente tra i problemi transferali e contro-transferali
analista/paziente, le dinamiche interpersonali Freud-Jung e le dinamiche che si
svolgono anche a distanza di anni tra scuole di pensiero differenti: quella
freudiana e la junghiana. Purtroppo credo che in tutto ciò le questioni
strettamente teoriche, benché per noi fondamentali, restino relegate sullo
sfondo sommerse continuamente da elementi emozionali che cercano a loro volta
di indossare travestimenti intellettuali accettabili. Come ci ricorda lo stesso
Bettelheim:
"Come nel caso di
Freud e Jung, le differenze nascono più spesso dalle stravaganze e dalle
complicazioni delle relazioni personali e dell’ambivalenza, che da veri
disaccordi teorici, anche se sono questi che vengono accentuati allo scopo di
occultare le troppo umane inclinazioni." (p. 30).
Intendo che anche il
dibattito Bettelheim-Carotenuto, del tutto marginale, non ne resta esente, come
dire che la stessa materia di cui si tratta è di per sé una miscela di "forze
altamente esplosive" (cfr. Freud 1914b, p. 373).
Anche i tentativi
continui che si fanno per disinnescarli sono spesso destinati a fallire: il
rimosso d’altra parte, sappiamo, tende a ritornare e perciò tanto vale
interrogarsi per capirci ogni volta qualcosa di più. Per porre termine ai
conflitti non basta operare una rimozione temporanea, ma tutte le parti in
conflitto dovrebbero assumersi ufficialmente le proprie responsabilità nei
confronti delle controparti.
Tralasciamo ora questi
problemi e privilegiamo l’aspetto che attiene ai rapporti tra la simmetria e
l’asimmetria, o tra il modo di essere simmetrico e il modo di essere
asimmetrico, sia nell’intra-personale che nell’inter-personale.
Ci
sono alcuni aspetti su cui interrogarsi. Ad esempio non c’è accordo sull’importanza
o meno degli agiti sessuali tra Jung e Sabina; a questo proposito Betteleheim
dichiara:
"Ovviamente,
uno psicoanalista non dovrebbe avere rapporti sessuali con le sue pazienti." (p. 12).
Questi
agiti, benché non testimoniati direttamente da nessuno, trovano espressione,
molto probabilmente, nelle lettere di Sabina allorché utilizzava i termini
‘conseguenze’ e Poesie, così come Swann e Odette parlavano di fare
cattleya per esprimere l’atto fisico del possesso (cfr. p. 13) nella Ricerca
del tempo perduto (Proust, 1913-1927).
E poi
aggiunge:
"È chiaramente
evidente che Jung si comportò con la Spielrein in un modo scandaloso."
(p. 12). Credo
che il modo scandaloso sia stato peggiorato dal diniego opposto da Jung circa
l’esistenza della relazione con Sabina e dal suo cercare di coprire il tutto
riducendone la causa alla malattia di Sabina, come troppo spesso avviene in
questi casi. A volte, invece, la linea difensiva viene organizzata sui vizi di
forma, vizi di procedura, cavilli legali ecc. come in ogni processo "che si
rispetti". Nel nostro caso Jung si difese addirittura dicendo che per la
terapia egli non percepiva compensi in danaro dalla paziente.
Ora possiamo
riascoltare Winnicott quando scrive dell’importanza di una bugia che Jung disse
a Freud a proposito di "segreti desideri di morte" celati in un suo sogno:
"Nella vita di Jung,
il racconto di questa bugia è il momento più vicino a un Sé unitario, prima che
fosse in grado, ormai vecchio, di scrivere la sua autobiografia. Quando mentì
deliberatamente a Freud, Jung divenne un’unità con una capacità di nascondere
segreti, invece di essere una persona scissa senza nessun posto per nascondere
alcunché. In questo modo forse Freud rese un servizio a Jung, pur senza
rendersene conto. […] Jung doveva comunque mentire a Freud, altrimenti si
sarebbe trovato a cominciare un’analisi con lui che probabilmente non l’avrebbe
guarito, perché avrebbe portato a una fuga dalla psicosi nella sanità o nella
psiconevrosi." (1964, pp. 513-514).
Jung quindi era
propenso alla bugia, anche in campo scientifico, mentre invece questo era
l’unico campo in cui Freud non le giustificava e diceva che:
"Questa concordanza
con il mondo esterno reale, da noi chiamata "verità", continua a essere la meta
del lavoro scientifico anche quando si prescinda dal suo valore pratico."
(1932, p. 274).
Ma
diceva anche:
"Infine non bisogna
dimenticare che la relazione analitica è fondata sull’amore della verità,
ovverosia sul riconoscimento della realtà, e che tale relazione non tollera né
finzioni né inganni." (1937, p. 530).
Da un
certo punto di vista, la bugia circa la relazione con Sabina introdusse una perturbazione,
un elemento di disordine nel sistema le cui conseguenze alla lunga
furono devastanti. Infatti il sistema relazionale Jung-Spielrein entrò in una
serie di effetti amplificati a cascata
che finirono per disorganizzarlo rompendo anche le relazioni sulle quali si era
retto fino a quel momento. Non avvenne la stessa cosa per l’affare
Ferenczi-Gisela-Elma in cui almeno la relazione fu ammessa e perciò divenne
nota; ciò perché Ferenczi credeva comunque nella "verità", anche se in modo
diverso da Freud.
Sappiamo
che un certo grado di perturbazione può essere assorbita da un sistema;
ma un eccesso di perturbazioni lo disorganizza. Gli agiti sessuali in corso di
terapia introducono un’instabilità che in un primo tempo intensifica le
fantasie fusionali rinsaldando il rapporto ma, in seguito, conducono alla rottura
delle fantasie di relazione simmetrica all’interno del rapporto analitico,
e finiscono poi per scompaginare del tutto il sistema mediante la rottura dei
precedenti vincoli restrittivi quali la rinuncia alla regola
dell’astinenza, fino a giungere alla rottura del setting; vincoli che rendevano possibile e
caratterizzavano il rapporto, costringendo il sistema alla la ricerca di nuovi
equilibri che però non sono più conciliabili con il prosieguo della terapia
stessa secondo ciò che si intende correntemente per terapia psicoanalitica.
Inoltre è vero che la rottura delle simmetrie favorisce il
riconoscimento delle differenze interne e esterne, promuove la
temporalizzazione, stimola un processo creativo all’interno del determinismo
psichico e fornisce una spinta alla creatività del Sé; ma se la rottura avviene
in modo troppo violento l’effetto traumatico, al contrario, può ostacolare
l’accesso al pensiero secondo il processo secondario e indurre un
eccessivo dinamizzarsi del processo analitico che diventa non più conciliabile
con uno sviluppo emozionale armonico. Capiamo una volta di più perché Freud
affermava con perentorietà che:
"[…] l’unione fra
l’analista e la paziente è dunque una vera assurdità" (1914a, p. 369).
Lo
stesso Winnicott ci ricorda che:
"[…] ben più
importante è arrivare alle forze fondamentali della vita individuale e io sono
certo che se la base reale è la creatività, la cosa immediatamente successiva è
la distruzione." (1964, p. 518).
Come
ben si nota Winnicott non si pronuncia sul punto di vista morale della faccenda
"bugia" di Jung, né lo avrebbe fatto Freud al quale l’etica in un certo senso
era ‘estranea’ né, ovviamente, lo faremo noi che ci poniamo dalla parte di
Freud, in tutti i sensi.
Come
poi ci ricorda Forrester:
"Freud affiancava due
grandi principi: scienza e amore. Nella scienza, la verità è il valore più
alto; non così nell’amore, che può essere del tutto indipendente dalla verità."
(1997, p. 49).
Penso che quando
trattiamo la vicenda Sabina-Jung, e quelle simili, dobbiamo sempre prendere in
considerazione un aspetto scientifico che richiede la verità, e un aspetto
amoroso privato che richiede la discrezione: ma non il diniego.
Torniamo
a Carotenuto e a ciò che scrisse dopo il commento di Bettleheim al suo saggio:
"Secondo Bettleheim
io mi adopero per dimostrare che Jung e Sabina Spielrein non ebbero rapporti
sessuali. In realtà questo problema non mi ha mai molto interessato, per il
semplice motivo che non esiste una sola evidenza nel materiale
pubblicato e delle lettere di Jung in mio possesso che rapporti sessuali ci
siano stati." (p. 34).
Purtroppo
questa dichiarazione ci pare strana perché, per prima cosa, non è vero che non
ci sia una sola evidenza: vedi i riferimenti alle Poesie, e poi perché
questo rilievo non sarebbe sufficiente ad inibire un interesse per una
questione così significativa. Se non ci fosse stato alcun agito sessuale molto
probabilmente non sarebbero nati tanti problemi, o almeno non in questa forma
tanto clamorosa, perché nei rapporti tra uomini e donne, per quanto ne so, le
relazioni sessuali mantengono ancora una loro peculiare significatività.
Torniamo ora a Sabina
e al suo transfert amoroso. Ella si trovò in una posizione caratterizzata da
una fantasia di fusione con l’oggetto d’amore primario col quale stabilì una
relazione simmetrica, almeno ad un livello fantasmatico, e si pose lei stessa
narcisisticamente in una dimensione esistenziale di tipo simmetrico:
funzionando cioè secondo il processo primario e, perciò, secondo il principio
di piacere.
Vorrei
qui brevemente ricordare che la psicoanalisi deriva dalla pratica dell’ipnosi,
e che perciò non ci si deve meravigliare se alcune sue caratteristiche siano
state ereditate come "residui": penso ad esempio al "bronzo della suggestione
diretta" (Freud, 1918, p. 28). Molti elementi di dedizione quasi incondizionata
all’amante nell’innamoramento rassomigliano a quelle del bambino verso la
madre, come nell’ipnosi avviene da parte dell’ipnotizzato verso
l’ipnotizzatore. La differenza è che nella suggestione ipnotica esiste un
aspetto seduttivo intenzionale volto, almeno in Breuer e Freud, a differenza di
Charcot, a facilitare il recupero dei ricordi (cfr. Grubrich-Simitis 1997),
mentre altre volte l’elemento seduttivo può essere del tutto inconsapevole
perché collegato alla confusione delle lingue (Ferenczi, 1933) e alla comunicazione
inconscia all’interno di un rapporto dissimmetrico tra analista e paziente,
così come tra adulto e bambino, in cui passano messaggi con significati
sessuali inconsci che sono percepiti come enigmatici dal paziente (vedi
Laplanche, 1995).
Scrive
sempre Carotenuto:
"Si ricordi infatti
che, oltre a non brillare per la sua trasparenza nei rapporti sentimentali,
Jung era stato anche vittima di un episodio di violenza. Sebbene egli non ne
abbia mai parlato apertamente (fatta eccezione per un breve accenno epistolare
a Freud), sappiamo che in età precoce subì una violenza sessuale da parte di un
uomo di cui lui si fidava e che faceva le veci del padre." (p. 66).
Inoltre
la stessa Sabina aveva subito più volte umilianti percosse "seduttive", ma
comunque "eccitanti", da parte di suo padre. Come sappiamo la seduzione paterna,
a differenza di quella materna, realizza il vero e proprio evento sessuale
traumatico violento capace di indurre risposte patologiche; ad esempio lo
sviluppo di una nevrosi. Ambedue i partner
allora erano inclini, perché già vittime di abusi, a vivere all’interno di
dinamiche traumatiche di tipo seduttivo e a "ripeterle" in successivi agiti.
Di
certo la seduzione entra comunque nella determinazione del transfert, dice
infatti Freud:
"Quanto allo
psicoanalista, egli sa bene di lavorare con forze altamente esplosive e di
dover procedere con le stesse cautele e la stessa coscienzialità del chimico"
(1914b, p. 373) anche, aggiungo, per non rinunciare ad una psicoanalisi non
addomesticata.
E Laplanche:
"Di più, in
questa dissimmetria, la psicoanalisi introduce il complemento essenziale, cioè
che questo ‘più’ è un più-di-sapere-inconscio sia nel seduttore che nel
sedotto" (1987, p. 124).
In questo modo si
introduce un aspetto di simmetria in una relazione asimmetrica.
La
seduzione è un rapporto dissimmetrico, il cui prodotto è dato dalla coppia
adulto-bambino (vedi Laplanche, 1991). Tutti questi messaggi sono percepiti
come enigmatici e premono per essere tradotti. Laplanche pone qui un squilibrio
sincronico in cui individua il vero motore immobile del movimento di
temporalizzazione iniziato con la rottura delle simmetrie, il quale dà origine ai vari
tentativi di traduzione nell’effetto aprés coup lasciando dietro sempre
un residuo intradotto che costituisce uno dei primi rudimenti dell’inconscio.
È
all’interno di una relazione simmetrica che possiamo inquadrare anche il
desiderio di Sabina di partorire un figlio-eroe. Dice Carotenuto:
"Sigfrido [il
fantastico figlio di Sabina e Jung] rappresenta un vero e proprio ‘oggetto
narcisistico’ nella definizione che ne darà Freud […] ma come simbolo del
destino eroico rappresenta anche un’incarnazione dell’Ideale dell’Io a cui ella
non può assolutamente rinunciare." (pp. 172-173). L’amore di Sabina era
di tipo narcisistico, non oggettuale, senza voler dare alcun connotato negativo
alla cosa, ma certamente un preciso connotato psichico.
Come
ci dice Matte Blanco a proposito dei bambini:
"Inoltre l’‘altro’ è,
allora in questa prima esperienza, semplicemente il suo proprio sentire, cioè,
il suo proprio modo di essere simmetrico in uno stato di purezza totale (senza
delle contaminazioni asimmetriche) e che, contemplato adesso,
retrospettivamente appare (per la prima volta) come due cose diverse.
(1975, p. 226). […]
Cioè la distinzione consiste solo in due differenti ‘sentire’ inconsapevolmente
l’altro o come presenza o come assenza. Il soggetto avverte solo le
modificazioni del proprio stato interno registrate dalla propria mente e non la
distinzione tra Io e non-Io. […] Il bambino frustrato dalla mancanza del seno
si ‘guarda’ asimmetricamente per la prima volta e confonde con l’altro – la
madre – qualcosa che in fondo è egli stesso, sebbene allo stesso tempo è anche
l’altro: la madre, la quale è, a sua volta, il suo aspetto simmetrico, il suo
sentire. Ma il modo di essere simmetrico è omogeneo e indivisibile, mentre che
la realtà fisica, il suo corpo, è per noi, divisibile in parti. Il pensare, il
quale divide (stabilisce delle relazioni) vede il suo modo di essere
simmetrico come se fosse un corpo, come se fosse divisibile in parti"
(op. cit. p. 269).
Si
può capire ora il desiderio che ci sia una fantasia di fusione psico-fisica,
agita nella sessualità, che rimandi alla fantasia di fusione tout court
con l’oggetto primario materno.
Continua
Matte Blanco:
"In queste fasi si
propone un problema centrale dell’uomo, quello della confrontazione dei suoi
modi di essere e dei poli tra i quali si trova la soluzione, che ognuno colloca
in qualche punto della linea che unisce questi poli. Da una parte sta
l’incantesimo, l’illusione, l’innamorarsi di questa realtà misteriosa, estranea
al pensiero, ieratica e irraggiungibile. All’estremo opposto sta l’analizzare
questa realtà fino al punto di ‘disfare l’incantesimo con la ragione’."
(1975, p. 272).
Scrivere
un diario, come fece Sabina, fu un tentativo di interrogarsi sulle cose, oltre
che di raccontarle. Noi non sappiamo se Sabina riuscì mai a vedere veramente
Jung come "altro" attraverso il dolore provocato dalla frustrazione per non
essere amata, sappiamo per certo però che ella non tradì mai i suoi sentimenti
per Jung, la sua passione (Kress-Rosen, 1994), al contrario di quanto
fece quest’ultimo, cosa che ci fa supporre che il transfert amoroso di
Sabina non fu per niente risolto. Ella non tradì neanche i suoi sentimenti per
Freud, anzi scrive Bettelheim:
"Mentre Jung e Freud
permisero ai loro impulsi distruttivi di separarli, la Spielrein rimase fedele
fino alla fine all’impulso creativo che, ella sperava, avrebbe condotto Freud e
Jung insieme in una comune impresa per il beneficio dell’umanità." (p.
30).
Sabina
non tradì mai i suoi maestri e caldeggiò sempre una loro riconciliazione: anche
ciò rende questa sfortunata giovane donna degna della nostra ammirazione.
Considerazioni conclusive
Per
concludere segnalo un ultimo punto importante che si collega alla vicenda
Jung-Spielrein: la presunta "guarigione di Sabina". Riporto alcune frasi di
Bettleheim per commentarle:
"Quale
che possa essere il giudizio sul comportamento di Jung verso la Spielrein,
probabilmente la sua prima paziente psicoanalitica, non si può trascurare la
sua conseguenza più importante: egli la guarì dal disturbo per cui era stata
affidata alle sue cure. […] Può essere una buona cosa che la storia della
Spielrein ci ricordi che, contrariamente alla nostra ottimistica convinzione di
sapere come curare psicologicamente persone molto malate, ci sono più cose in
cielo e sulla terra di quante ne sognino le nostre filosofie." (p. 29).
Ma dice anche:
"Certo, a causa del
modo particolare in cui fu curata, la Spielrein pagò un alto prezzo in termini
di infelicità, confusione e disillusione, ma dopotutto ciò capita spesso con
malati mentali gravi come lei." (p. 29).
Freud fu più cauto e,
come riferisce Carotenuto:
"In una lettera del
20 agosto 1912, Freud, informato che Sabina Spielrein si era sposata con il dr.
Scheftel, interpreta questo fatto molto positivamente: ‘Ciò significa per me
una mezza guarigione dal Suo attaccamento nevrotico a Jung’. [e commenta] Ecco quindi anche
Freud buttare giù la maschera e suggerire a Spielrein una modalità perversa a
proposito del suo amore." (p. 127).
Rileviamo
come Freud fu chiamato in causa come terzo esterno sia da Jung che dalla
Spielrein, allorché si accorsero di non poter più governare la loro relazione.
Doveva essere una sorta di psicoterapeuta che fosse in grado di apportare un
cambiamento nel sistema e tentare comunque di "chiudere il gioco". Ma Freud,
che per diversi motivi era coinvolto anche lui nella dinamica relazionale, non
potette che ottenere una "mezza guarigione" limitandosi a facilitare la
separazione tra i due amanti.
Non
possiamo, pertanto, essere d’accordo con la lettura dei fatti di Bettelheim.
Non so perché egli abbia pensato che Sabina fosse stata guarita dalla terapia
con Jung e credo che Freud, molto semplicemente, vide il matrimonio di Sabina
come una "mezza guarigione" e se ne rallegrò perché in questo modo la vicenda
si poteva chiudere con una sorta di compromesso, piuttosto che proseguire verso
mali peggiori. Egli stesso, come abbiamo già viso, aveva scritto a Jung
riferendosi a Sabina della sua "pulsione distruttiva" che gli piaceva poco.
Penso
che Freud aveva visto bene, come sempre, e in ogni caso la morte-suicidio di
Sabina nella quale coinvolse anche le figlie allorché si consegnò
volontariamente ai nazisti, sebbene questa versione dei fatti sia molto dubbia,
allude ad un modo fallace e tragico di "uscire dal sistema", ma un modo che le
permise di "entrare" nella storia del movimento psicoanalitico e della
psicoanalisi tout court, seppure pagando un prezzo davvero eccessivo; ma
ciò non ci meraviglia visto le dinamiche agenti nell’applicazione di quello che
con felice espressione Kerr (1993) chiama un metodo molto pericoloso,
quale è la psicoanalisi.
Sappiamo
che Freud, benché non fosse interessato all’‘etica’, al moralismo, teneva a
stabilire regole tecniche per proteggere l’analista e il gruppo psicoanalitico,
oltre che ovviamente il paziente, dagli agiti sessuali e dalle relative conseguenze,
e che a tale fine pensava che conviene che il terapeuta faccia affidamento
sulla propria "equazione personale", che cerchi di mantenere sempre il setting
con le sue regole, in primis la regola dell’astinenza, e che senta
l’impegno verso il paziente mantenendo il contratto terapeutico, oltre
all’impegno verso il proprio gruppo di appartenenza.
È
comunque difficile stare in una relazione, simmetrica o asimmetrica che sia,
perché come dice lo scrittore brasiliano J.G. Rosa nell’esergo: "Vivere vicino alle
persone è sempre difficile".
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