Parole chiave: Poesia, Morte
Come d’aria
di Davide D’Alessandro
C’è voluta la morte di Ada D’Adamo per farmi precipitare a leggere il suo libro, a divorarlo nella notte, lo stupore mescolato alla vergogna, la meraviglia alla colpa. Non mi era bastata la parola di Elena Stancanelli che, proponendo il libro al Premio Strega, aveva scritto: “Incontrare questa storia è un dono. È un libro che fruga dentro il cuore del lettore. Serviva la lingua esatta e implacabile di questa scrittrice per riuscire a sostenere un sentimento tanto feroce”.
Se Marie Cardinal trovò le parole per dirlo, per dire di una sofferenza che le aveva impedito di nascere, di venire al mondo, prima di affidarsi all’analista e trovare, seduta dopo seduta, la vera nascita, Ada ha trovato le parole per dire di un faticoso e strabiliante rapporto d’amore, perché l’amore sa essere tanto faticoso quanto strabiliante.
“Come d’aria”, edito da Elliot, dice di una malattia, la sua, da raccontare a una figlia, nata con una grave malformazione cerebrale, dice del coraggio, di due corpi, di due dolori, di due calvari, di due attaccamenti alla vita. Di un’unica vita. Sembra assurdo, ma in questa morte, in questa separazione, in questo addio struggente e lacerante, c’è il trionfo della vita.
Ada resta in gara, nella dozzina dei candidati, e non so se vincerà il Premio, ma che importa? Ha già vinto un altro Premio, ben più importante e decisivo: il Premio della vita, la vita che ti accoglie mentre l’accogli, che ti abbraccia e ti schianta, che ti libera, anche, che ti rende migliore se non ottenebri il cuore. Ada umana, troppo umana come noi tutti, aveva confessato: “L’aborto è una scelta dolorosa per chi la compie, ma è una scelta e va garantita. Anche se mi ha stravolto la vita, io adoro la mia meravigliosa figlia imperfetta. Ma se avessi potuto scegliere, quel giorno, avrei scelto l’aborto terapeutico”.
Ma quel giorno, “un bravissimo medico non è stato in grado di leggere da un’ecografia che mia figlia sarebbe nata con una grave malformazione cerebrale”. Un caso? Una svista? Un clamoroso errore? Chissà. Ma da quel giorno è venuta al mondo Daria e, con lei, Ada. Venute al mondo in un mondo nuovo, tutto da scoprire, tutto da vivere. La piccola, con un corpo completamente fuori controllo, la schiena e la testa incapaci di stare dritte; la mamma, diplomata all’Accademia Nazionale di danza, capace di tenere sotto controllo anche un mignolo. Scrive Ada: “Che la terra – la vita su questa Terra – ti sia lieve, mi auguro per te, ogni giorno. E all’auspicio segue l’azione, ché solo sperare non basta. Sei Daria, sarai D’aria”. Un semplice apostrofo per trasformarla “in sostanza lieve e impalpabile. Nel tuo nome un destino che non ti fa creatura terrena, perché mai hai conosciuto la forza di gravità che ti chiama alla terra”.
Dall’ecografia di tanti anni fa alla TAC di qualche anno fa. Due esami, due sentenze e una Via Crucis non cercata, non voluta, ma percorsa con l’amore che non pensi di avere. Il mistero della Croce, che venerdì prossimo ripropone un cammino aperto a tutti, a chi crede e a chi no, è un sentimento purissimo e viene a dirci, come il libro, che la morte non è per sempre.
Si resta immobili davanti a un’immagine, all’immagine, si medita sulla grazia e sulla disgrazia. Venerdì rileggerò “Come d’aria”, in compagnia di Ada e Daria, anzi D’aria, di un regalo prezioso da serbare con cura, come lettori e come uomini. Resterò in silenzio su queste pagine, sulle loro due vite, sulla loro unica vita.