Dalla parte opposta stesso inizio. Dall’alto cadono gocce d’acqua sulla testa dell’uomo, diventano cascata che aumenta fino a sommergerlo e dissolverlo (Grande schermo: The crossino, 1996).
Una per volta, da un fondo, figure di uomini e di donne, sfocate e in bianco e nero, avanzano fino alla soglia di una parete d’acqua. La attraversano con l’intensità di un’iniziazione. Ne escono fuori trasformate: a colori, più reali. Vestiti e capelli bagnati le spogliano di un’apparenza esteriore e le riducono a un’essenziale umanità colpita. Ciascuno in un proprio modo contenuto e rassegnato prende coscienza con stupore di una scoperta inevitabile (Ocean without a shore, 2007).
Una fitta processione di individui, uno dopo l’altro, si fanno strada fino alla cima della fila, sostano di fronte a qualcosa di doloroso che vogliono vedere, vengono sopraffatti per un momento da un’emozione intensamente dolorosa; spinti oltre si voltano ancora indietro, come per salutare e forse ricordare, immersi nel contatto solidale con gli altri (Observance, 2002).
Vedo i volti di un uomo e di una donna uno accanto all’altra, incorniciati come da un portafotografie, descritti contemporaneamente e separatamente mentre stanno sperimentando, con reazioni diverse, un dolore compresso (Dolorosa, 2000).
Un uomo e una donna, descritti nei loro movimenti fino al busto, mentre stanno vivendo un dolore che sale progressivamente, incontenibile e insopportabile, fino a esplodere prorompente (Silent mountain, 2001).
Un uomo in canottiera rossa su fondo nero si rispecchia sopra una catinella d’acqua nell’immagine rovesciata di una donna con canottiera azzurra. Avvicina il volto fino a immergersi e in quel momento spunta dall’acqua un naso che scompone tutta l’immagine. (Di colpo sono io a dover rovesciare la mia comprensione: allora è la donna che si sta rispecchiando in un uomo?) Immagine che torna su e di nuovo si immerge più e più volte, sempre più sfocata e dinamicamente deformata alla Bacon, sempre più disperata. E’ poi il turno della donna (Surrender, 2001)
Una conversazione fra due donne che si parlano per strada in uno scambio partecipe e affettuoso di intimità femminile. D’improvviso irrompe da sinistra una giovane incinta vestita di rosso acceso: è più amica di una delle due e si slancia ad abbracciarla. Abbraccio prolungato commosso che sconvolge gli equilibri (The greeting, 1995).
Ho il tempo di seguire in cinque piccoli schermi una donna in una sua metaforica stanza, durante cinque momenti significativi di una giornata ideale – il saluto al sole, il cucito, la scrittura, l’accensione delle candele, la lettura prima del sonno – che segnano il ritmo pregnante di un tempo interiore (Catherine’s room, 2001).
Così mi limiterei a descrivere alcune delle spettacolari opere della mostra di Bill Viola, rigorosamente rallentate, senza saturare l’immaginazione con possibili interpretazioni. Bill Viola non solo mette al centro del suo impegno di riflessione l’essere umano, e lo osserva a mio parere con lo sguardo spirituale e pietoso di un etologo visionario, ma anche chiama l’osservatore a una meditazione personale che permetta di ascoltarsi nelle proprie intime reazioni, sorprese, condivisioni. La visita richiede tempo e una presenza autentica.
Videoartista newyorkese (1951) di fama internazionale, Bill Viola da 35 anni ha scelto il video come suo mezzo di comunicazione: un ultra sofisticato livello di tecnologia, una qualità del colore brillante, o bianchi e neri sfocati, una lentezza speciale che seziona ogni gesto ed emozione nel suo minuzioso evolversi e trasformarsi.
Artista che guarda l’individuo, la coppia, il gruppo, negli scambi, gli incontri, le separazioni, gli urti, gli scontri, la solitudine, la partecipazione a uno stesso destino. Ne evidenzia l’arco delle variazioni e dei passaggi di reazioni emotive e affettive, dalla gioia al dolore, dall’ignoranza allo sconvolgimento che accompagna la presa di coscienza.
Eventi che spesso vengono descritti a partire dall’esperienza percettiva sensoriale e rappresentati con la metafora degli elementi naturali: l’acqua, sotto forma di mare, dove immergersi o sprofondare; di fiume, di cascata, di alluvione che trascina e sconquassa; parete o superficie da perforare con coraggio. Oppure il fuoco, vitale e distruttore.
Ma soprattutto, eventi che sono all’origine di uno scatenamento emotivo scelto come oggetto di osservazione e comunicazione, mostrato nei suoi infinitesimi dettagli.
Essenziale nella sua narrazione analitica, di una spiritualità orientale aderente al corpo, al rito, alla concentrazione e meditazione, Bill Viola usa la profonda e sensibile conoscenza della storia dell’arte (in particolare il Rinascimento e il Manierismo italiano e fiammingo con allusioni a Mantegna, Pontormo, Caravaggio, Vermeer ), per dare un contenitore culturale, una cornice condivisa al prorompere delle emozioni umane che permetta di guardare, avvicinare, studiare, sopportare.
BILL VIOLA VISIONI INTERIORI
Palazzo delle Esposizioni
Roma, via Nazionale 194
http://www.palazzoesposizioni.it/
21 ottobre 2008- 6 gennaio 2009
venerdì e sabato: 10-22.30
lunedì chiuso
Gli altri giorni: 10-20