DIEGO RIVERA, 1928 _particolare_
NOSTALGIA SENZA OGGETTO. NOSTALGIA COME OGGETTO
Cecilia M. Álvarez
Dal trauma della emigrazione al tango
Sembra un salto troppo lungo e capriccioso e infatti lo è, ma forse con una lettura après coup si può trovare una linea che scorra, che si veda. Ma certo sempre una lettura è…
Anni fa sono andata a una conferenza del maestro Hugo Aisemberg, noto pianista, studioso del tango e uno degli introduttori dell’opera di Astor Piazzola in Italia, in quella opportunità parlava della nostalgia nel tango. Mi colpì sentirlo dire “i miei antenati avevano nostalgia di Odessa, ma io non conoscevo Odessa, non potevo avere nostalgia di essa, sentivo solo la loro nostalgia”. Queste parole tennero per me quasi il valore di una interpretazione, pensai, ma certo! come mai non mi sono accorta? anche per me è così, per tutti noi! Noi porteños, cioè nati a Buenos Aires.
Il porteño è un tipo nostalgico, con una nostalgia ereditata dagli antenati immigranti, nostalgia non si sa di cosa, senza oggetto, e ha fatto di essa una istituzione: il tango
Ma cosa è la nostalgia?
Etimologicamente dal greco nostos ritorno a casa, e algos dolore.
E’ il desiderio malinconico e violento di tornare a casa, un sentimento di tristezza e di rimpianto per un evento collocato nel passato che si vorrebbe rivivere.
De tutte le definizioni che ho trovato questa mi è sembrata la più rappresentativa: “E’ un sentimento così opprimente e talmente bello, talmente comune e così lacerante che conoscerne l’origine, rendersi conto per un attimo di quanto sia universale, di quanto sia antica la parola che lo descrive, forse ci può avvicinare un po’ di più gli uni agli altri.”
Tornando all’argomento dell’immigrazione, penso che probabilmente all’inizio la nostalgia si sia concentrata attorno a immagini fortemente significative per la propria dimensione dell’ essere dell’emigrato, e poi che sia stata questa la forza aggregante alla quale allude la definizione, l’elemento consolatorio rispetto al vissuto di spaesamento, e indispensabile nella costruzione di una società di immigranti. Gli oggetti della nostalgia che nel tempo perdevano la loro concretezza vennero sostituiti per la nostalgia stessa che diventò tango. Tango definito come “un pensiero triste che si può ballare”(E. S. Discepolo)[1]
Il problema dell’oggetto in psicoanalisi
Il concetto di oggetto è estremamente complesso nella teoria freudiana perché attraversa ed è attraversato da tutti gli altri concetti che compongono la teoria stessa, come succede tra l’altro in tutta la metapsicologia.
Nasce assieme alla concezione di pulsione ed è considerato l’elemento più variabile di essa perché non esiste un legame originario fra loro. La pulsione è orientata verso la scarica e non verso l’oggetto che è solo “quello nel quale e mediante il quale la pulsione può raggiungere la meta” (S. Freud, 1915).
La scarica è la meta pulsionale fissa e invariabile, per raggiungerla la pulsione affronterà diverse vicissitudini e l’oggetto dovrà accompagnare la pulsione e adattarsi alle nuove esigenze ogni volta che sia necessario un cambiamento di destino. Questa apparente flessibilità non significa però, che qualsiasi oggetto possa soddisfare le pulsioni, anzi questi “…essere mitici, grandiosi nella sua indeterminazione…” ( Freud,1932) si legano durante la storia del soggetto, principalmente nella storia infantile, a rappresentanti che specificano l’oggetto e le conferiscono tratti altamente singolari.
E’ chiaro che se ci rivolgiamo al mitico momento della prima esperienza di appagamento, che è una esperienza pulsionale sulla quale s’appoggia il modello del desiderio, sarebbe quasi impossibile distinguere fra l’oggetto della pulsione e l’oggetto di desidero; questa sovrapposizione iniziale si perderà ed entrambi oggetti si differenzieranno gradualmente di pari passo con lo sviluppo dell’apparato psichico.
Per quanto il processo di differenziazione abbia successo l’origine rimane e i tratti altamente singolari che acquisisce l’oggetto pulsionale sono i tratti dell’oggetto primario, incestuoso per definizione. Questo ci consente di dire che un oggetto sarà più capace di soddisfare la pulsione se è sufficientemente simile e contemporaneamente sufficientemente diverso dall’oggetto di desiderio, ovvero se conservando i tratti essenziali dell’oggetto di desiderio può camuffarsi secondo le variabili e imprevedibili percorsi che la pulsione deve traversare per raggiungere la meta.
Questa capacità metamorfica è possibile grazie alla funzione oggettualizzante, tributaria di Eros, che permette di raggiungere il rango di oggetto pur quando l’oggetto non è chiamato direttamente in causa, bastando solo la presenza di uno dei suoi attributi.
Tuttavia per l’Io sarà molto difficile fin dall’inizio della vita trovare l’oggetto esterno con la giusta fisionomia, e se pure lo trova, non sempre l’oggetto sarà disponibile. In qualsiasi caso come dice Green (1973), l’assenza dell’oggetto è inevitabile e l’affetto non è mai così intensamente e così penosamente sentito come quando l’oggetto manca. In conseguenza, liberarsi della arbitrarietà dell’oggetto è l’aspirazione dell’Io.
Precocemente l’Io ha scoperto che per diventare oggetto non è necessario essere esterno all’apparato psichico, basta sostituirlo mediante l’identificazione. Questa operazione, sostenuta dalla funzione oggettualizzante, che come è stato detto precedentemente, non si limita solo all’attaccamento all’oggetto particolare ma anche a tutti i sostituti di esso.
Di seguito l’Io avrà una doppia funzione, quella di essere oggetto dell’Es e, a partire di essa, quella di amministrare le nuove cariche pulsionali oggettuali che precedentemente effettuava l’Es in modo diretto.
Tale amministrazione implica non solo investire l’oggetto ma anche disinvestirlo quando la gestione dei conflitti fra le istanze così lo richieda. Il disinvestimento dell’oggetto esterno è il risultato dell’intervento della funzione desoggettualizzante corrispondente al meccanismo slegante della pulsione di morte. Essa provoca un soddisfacimento negativo di natura narcisistica che è la matrice dell’Io Ideale:“…l’Io di piacere purificato…” [è] “…una organizzazione narcisistica, la quale nega la sua dipendenza dall’oggetto e può spingere questo diniego fino all’esistenza dell’oggetto stesso, in casi estremi” (Green,1973),
Allora cos’è l’oggetto? A questo punto sembrerebbe che sia una categoria alla quale qualsiasi cosa può accedere o della quale può essere destituita pur di soddisfare le esigenze pulsionali.
Queste possibilità, a suo vantaggio o meno, l’Io dovrà gestirle quando, ormai maturo e sviluppato, riaffronterà “casi estremi”, traumi, lutti, che gli strapperanno i suoi oggetti e dovrà reinventarli o lasciare questo compito ai suoi discendenti.
Oggetto, trauma, migrazione e funzione desoggettualizzante
Dire che l’aspirazione dell’Io è liberarsi dell’arbitrarietà dell’oggetto equivale a dire che l’oggetto è un problema per l’Io, anzi un trauma. Sappiamo che l’Io è una organizzazione piuttosto fragile che tende a mantenere gli investimenti a un livello relativamente costante, l’oggetto da parte sua, è una fonte d’eccitazioni e addirittura appartiene al mondo esterno, al di fuori dell’Io, e non è sempre disponibile quando le pulsioni lo sollecitano costringendo l’Io ad andare alla sua ricerca. L’oggetto, che originariamente sarebbe lo scopo delle soddisfazioni dell’Es, è allo stesso tempo causa di squilibrio per l’Io.
Come è stato accennato precedentemente, la soluzione a questo problema è il narcisismo. Mediante un investimento l’Io stesso diventa un oggetto strutturato sul modello dell’oggetto esterno, anche se questa soluzione offre soltanto l’illusione di completezza.
Quindi l’oggetto è traumatico in quanto fattore di sofferenza, perturbatore della tranquillità, e per quanto possa essere contemporaneamente appagante, consolatore, sostenitore non fa che rimediare il male che ha creato, e il problema di base rimane: la sola esistenza dell’oggetto, interno o esterno che sia, rappresenta per l’Io l’esigenza di modificare il suo regime. Se la sua esistenza è una minaccia, la sua mancanza determina direttamente la rottura della fragile organizzazione egoica. Quando l’Io non tollera la separazione dai suoi oggetti e riunificarsi con loro non è possibile, si disorganizza, ciò vuol dire che una parte dell’Io si identifica con gli oggetti perduti ed entra in conflitto con le rimanenti parti dell’Io. Infatti, questo conflitto caratteristico del lutto, appartiene alla categoria delle ferite narcisistiche e si contraddistingue per il sentimento di dolore. Nel 1915, Freud scrive, riguardo alla perdita delle persone care, “Questi cari sono da un lato un nostro intimo possesso, un elemento del nostro proprio Io; ma d’altro lato sono anche degli estranei o addirittura dei nemici”. L’Io diventa allora non solo il territorio danneggiato dal trauma ma anche la sede delle reazioni contro la dipendenza dall’oggetto, il campo di battaglia dove si combatte non contro il dolore ma contro gli oggetti la cui assenza scatena il dolore.
E’ molto interessante che la lotta non si stabilisca contro il dolore -la nostalgia, per avvicinarci al nostro tema- ma piuttosto contro l’oggetto che lo causa o più precisamente contro la rappresentazione dell’oggetto. Una volta ancora l’Io dovrà abbandonare l’oggetto per liberarsi di suoi capricci.
In questo caso si tratta di un oggetto interno che dovrà essere disinvestito per evitare l’attaccamento idealizzante alla sua rappresentazione.
Possiamo dire allora, che siamo nell’ambito del non rappresentato, della negatività del processo rappresentazionale a causa del disinvestimento di rappresentazioni precedentemente iscritte, operato dalla funzione desoggettualizzante. L’intervento moderato di questa funzione permette di dimenticare le particolarità dell’oggetto ma non evita la nostalgia.
Funzione oggettualizzante e sublimazione
Ho iniziato la parte teorica di questa relazione dicendo che il concetto d’oggetto è estremamente complesso e che s’intreccia con tutti gli altri concetti della metapsicologia. Volutamente ho presso solo l’asse dell’oggetto come elemento pulsionale senza fare riferimento ad altri aspetti di rilevanza come la identificazione, per dirne uno. Affrontando la questione da un’unica prospettiva la descrizione è comunque molto concisa, quello che serviva per mettere in luce: la condizione sostitutiva e provvisoria dell’oggetto presente riguardo all’oggetto predeterminato dalla storia infantile del soggetto, la sua indefinitezza aprioristica e la sua qualità disturbante per l’Io.
Allo stesso modo è importante sottolineare la plasticità dell’oggetto per modificare la sua fisionomia in consonanza con le esigenze pulsionali.
Dalla prospettiva della pulsione la sublimazione è, come sappiamo, l’unico destino pulsionale che impone un doppio cambiamento: la desessualizzazione della meta e la sostituzione dell’oggetto il quale può essere sostituito per un altro non specificamente designato ad esserlo. Questo significa che la capacità trasformativa della sublimazione, grazie alla funzione legante di Eros, non solo fa diventare oggetto ai derivati degli oggetti primari, ma anche a ciò che originariamente non appartiene alla categoria d’oggetto. “La funzione oggettualizzante –sostiene Green- non si limita a formazioni organizzate come l’Io, ma riguarda anche i modi di attività psichica in modo tale che l’investimento stesso può diventare un oggetto (1993).”
Questo vuol dire che la nostalgia come resto significativo dell’oggetto ormai non rappresentato, diventerà oggetto grazie al lavoro della sublimazione.
L’importante della sublimazione come esempio della funzione oggettualizzante non è solo la possibilità creativa, lo è ogni forma di trasformazione psichica che offra nuove fonti di piacere.
Al di là di questo, penso come Green che la sublimazione non garantisca nulla, non ci protegga di nulla. Ci permette semplicemente di godere diversamente i nostri oggetti amati, di farci accompagnare da loro durante la nostra vita.
Il tango
Arrivarono da lontano, sopra tutto italiani, detti “los tanos”, gli spagnoli, “los gallegos”, gli ebrei, “los rusos”, loro sono il tango. Gli inmigranti, Buenos Aires, los porteños, sono la stessa identica cosa. Condividevano la miseria, l’abitazione, il cibo, la musica ma non avevano una lingua comune, si arrangiavano ed erano ottimisti, semplicemente perché non potevano permettersi altro. Per la sopravvivenza tacquero il ricordo delle loro terre, “commerciarono” la loro lingua, si mischiarono. Noi, i loro discendenti non abbiamo conosciuto i loro paesaggi, non ci sono rimaste le loro immagini rimpiante, ci è rimasta solo la nostalgia, nostalgia senza oggetto. Non parliamo i loro dialetti, ci è rimasta la mescolanza: l’itañol francesizzante che raggiunge il suo massimo esponente nel nostro slang porteño, il lunfardo. La nostalgia senza oggetto è lo spirito del tango e il lunfardo la sua lingua. Il passato è il suo tema centrale, “lo que existió una vez y que después dejo de ser” (quello che esisté una volta e che dopo smise di essere), un amore perduto a causa dell’oblio, del tradimento o dell’abbandono: metafora della terra natale che impazzita per guerre e fame dimenticò e abbandonò i suoi figli; e metafora dell’emigrante che abbandonò e tradì la sua terra natale. Perciò il protagonista del tango è abbandonato e abbandonante, in quel dis-incontro fondamentale. Sradicato, perso, trapiantato…”como un duende que en la sombra más la busca y más la nombra”, (come un folletto che nell’ombra più la cerca e più la nomina). In questo senso la sua tematica è universale e atemporale, ma acquisisce una condizione singolare, probabilmente unica nel suo genere. Il tango non è la espressione di un paese, né di una etnia, il tango è Buenos Aires e la sua gente, il suo paesaggio urbano e il suo sincretismo cosmopolita. E’ la reminiscenza quello che lo determina e lo sostiene, così come lo esprimono i versi del tango “Volver”
vivere, con l’anima afferrata a un dolce ricordo che piango ancora e anche l’oblio che tutto distrugge
abbia ucciso la mia vecchia illusione conserva nascosta una speranza umile
che è tutta la fortuna del mio cuore
Tuttavia il fascino che produce il tango nel mondo non è dovuto soltanto ai suoi bei versi, al suo ballo sensuale e al suo ritmo, lo deve invece al suo carattere ecumenico: il tango come la Psicoanalisi, si coinvolge con la sofferenza umana radicata nel passato.
BIBLIOGRAFIA
Freud, S. (1910) Un ricordo infantile de Leonardo Da Vinci. Obras Completas. Editorial Biblioteca Nueva, Madrid 1981.
Freud, S. (1914). Introduzione al Narcisimo, OSF, vol 7, Boringhieri, Torino
Freud, S. (1915). Le pulsioni e i loro destini. OSF, vol 8, Boringhieri, Torino
Freud, S. (1917). Luto y Melancolia. OSF, vol 8, Boringhieri, Torino
Freud, S. (1923). L’Io e l’Es. OSF, vol 9, Boringhieri, Torino.
Freud,S. (1932) Introduzione alla psicoanalisi(nuova serie di lezioni). OSF vol 11, Boringhieri, Torino.
Green A. (1973) Le discours vivant. Presses Universitaires de France, Paris 1973.
Green A. (1983) Narcisismo di vita, narcisismo di morte. Edizioni Borla Roma, 1992.
Green A., Ikonen P., Laplanche J., Rechardt E., Segal A., Yorke C.(1986). La Pulsion de Mort. Presses Universitaires de France 1986.
Green A. (1993) Le travail du négatif. Les Éditions de Minuit, Paris 1993.
Laplanche J. Pontalis, J. Vocabulaire de la psychanalyse. Presses Universitaires de France, Paris, 1967.
[1]Enrique Santos Discépolo (Buenos Aires,27 marzo1901 – Buenos Aires, 23 dicembre 1951) è stato un compositore, musico, drammaturgo e regista argentino.
Ma come si fa a ballare un sentimento, un pensiero? Si può ballare una musica, una danza, insomma…un oggetto. E cosa è un oggetto? sarebbe la domanda successiva. La sua costruzione, i processi difensivi e le operazioni trasformative riguardanti la sua perdita sono l’interesse centrale di questa comunicazione. La emigrazione in Argentina, come parte della emigrazione Transatlantica (flussi migratori umani che fra il IX e XX secolo si spostavano fra Europa e America) mi è sembrata uno scenario paradigmatico per riconoscerli.