Cultura e Società

Difendere la verità, essendo in errore

16/02/09

Il 2009 è Anno Mondiale dell’Astronomia e Anno
Galileiano. Pubblichiamo il testo che Paolo Rossi ha scritto per la pagina
Cultura del sito SPI.

1. Come si può rifiutare una
tesi vera in nome di una causa giusta.

         Per quasi vent’anni,
Galileo vide nel moto delle maree e nella sua spiegazione di quel moto una prova fisica decisiva della verità
copernicana. Aveva anche pensato di intitolare Dialogo sopra il flusso e il reflusso del mare quel grande testo
che intitolò poi, per ragioni di prudenza, Dialogo
sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano.
La
spiegazione galileiana delle maree assume come causa del flusso e del reflusso
il duplice movimento della Terra: la rotazione diurna dell’asse terrestre da
Occidente verso Oriente e la rivoluzione annua della Terra attorno al Sole,
procedente anch’essa da Occidente verso Oriente. La combinazione di questi due moti, per Galilei, fa sì che ogni
punto della superficie terrestre si muova di «moto progressivo non uniforme» e
«cangi di velocità con accelerarsi talvolta e talaltra ritardarsi». Tutte le
parti della Terra si muovono quindi «di moto notabilmente difforme» benché
nessun movimento non regolare e non uniforme sia stato assegnato alla Terra. Se
una barca trasporta dell’acqua, non è forse vero che, quando la barca accelera,
l’acqua si sposta verso la poppa, mentre se la barca rallenta, il liquido si
sposta verso la prua?

     È stato più volte
sottolineato che la «falsità» della spiegazione galileiana non è relativa agli
ulteriori sviluppi o progressi della scienza. Quella spiegazione è
difficilmente conciliabile con i risultati che lo stesso Galilei ha acquisito
alla fisica e all’astronomia. Dopo aver introdotto nella fisica il principio
classico della relatività, Galilei (come ha notato Ernst Mach) integra
illecitamente due diversi sistemi di riferimento. Tutta la seconda giornata del
Dialogo tende a provare che su una
Terra in movimento tutto accade come su una Terra in quiete. Perché solo gli
Oceani risentirebbero delle variazioni di velocità della superficie terrestre?
e non ne risentirebbero invece tutti i corpi non rigidamente legati alla Terra?
La Terra, mossa da un moto diurno, non si configura più, nella quarta giornata,
come un sistema inerziale (M.
Clavelin, La philosophie  naturelle de G., Paris, 1968, p. 480;
per un discutibile tentativo di difesa della teoria galileiana. cfr. ora P.
Souffrin, in "Epistémologiques", 2000).

         Perché Galileo è così
fortemente affezionato alla sua teoria? Principalmente per una ragione: perché
ricerca una soluzione al problema delle maree solo nei termini della
"meccanica" (che faccia cioè appello 
solo a movimenti e a composizione di movimenti). La situazione ha
qualcosa di paradossale: in base ad una forte avversione alla dottrina degli
influssi e delle qualità occulte, Galilei è indotto a respingere come priva di
significato ogni teoria delle maree che faccia in qualche modo riferimento ad
una «forza magnetica» o alla «attrazione» fra la massa acquosa degli Oceani e
la Luna. Quest’ultima dottrina non è – agli occhi di Galilei – un’ ipotesi
alternativa ad altre possibili ipotesi, non è né incoerente né falsificabile da
osservazioni: viene puramente e semplicemente "scartata" come indegna di essere
presa in considerazione, come manifestazione di una mentalità magica. Non vale
la pena di spendere parole per confutare simili leggerezze, afferma Galilei per
bocca di Sagredo. Che il Sole o la Luna entrino in qualche modo nella
produzione delle maree è cosa «che totalmente repugna al mio intelletto… il
quale non può arrecarsi a sottoscrivere… a predominii per qualità occulte ed
a simili vane immaginazioni». Non tali qualità, continua Sagredo, sono causa
del flusso del mare, anzi, all’ opposto, «il flusso è causa di quelle, cioè di
farle venire ne i cervelli atti più alla loquacità ed ostentazione, che alla
specolazione ed investigatione dell’ opere più segrete della natura». Galilei
esprime anche la sua alta meraviglia per il fatto che un uomo come Johannes
Kepler, di «ingegno libero ed acuto», che si era reso conto della verità
copernicana «ed aveva in mano i moti attribuiti alla Terra», abbia invece
inspiegabilmente «dato orecchio ed assenso a predominii della Luna sopra
l’acqua ed a proprietà occulte, e simil fanciullezze» (Opere, VII, 470, 486).

         Quelle «fanciullezze»
contenevano almeno una parte di ciò che consideriamo oggi verità. Non solo
Kepler aveva riconosciuto la presenza di una forza attrattiva che è comune a
tutti i corpi e che è proporzionale alla loro grandezza (massa), ma aveva
considerato quella forza espressione di una legge universale della natura : la gravitas è una affectio corporea, simile alla forza magnetica, che tende a unire e
congiungere i corpi. La Terra attrae una pietra con molta più forza di quanto
una pietra attragga la Terra. «Se la Terra cessasse di attrarre le acque che la
ricoprono, queste si innalzerebbero e si riverserebbero sulla Luna»  (Kepler, Astronomia
nova
, Praga, 1609 : Introductio,
c.4).

         Il contesto nel quale Kepero
aveva inserito queste affermazioni aveva senza dubbio molto a che fare con il
vitalismo e con la tradizione magico-ermetica. Nell’ Epitome atronomiae copernicanae (Werke, VII : 91-92) Kepler vedeva nel calore sotterraneo, nella
generazione dei fossili e dei metalli, nella perfezione dei cristalli
altrettante prove dell’ esistenza di un anima
della Terra. L’ analogia fra il corpo dell’ uomo e quello della Terra, che è
presente nell’ Harmonices mundi (Werke, IV : 160-161) è davvero molto
vicina a quella che troviamo nel De sensu
rerum et magia
di Tommaso Campanella.

         Chi può negare valore
alla ferma opposizione di Galilei alla persistenza del paradigma magico che era
ancora assai vivo nella cultura del suo tempo ? Se proviamo a leggere
contemporaneamente i testi di  Galilei e
quelli di Keplero, solo i primi ci risultano in qualche modo vicini e solo i
primi ci appaiono collocabili in una immaginaria biblioteca che contenga i
primi libri di ciò che chiamiamo "scienza moderna". Non è proprio quella forte
presa di distanza dal paradigma magico, quella esigenza di chiarezza che
traspare da ogni pagina ciò che ci fa apparire Galilei, a differenza di Kepler,
qualcosa di molto simile ad uno "scienziato moderno" ?

          Una sana
diffidenza per le categorie e i paradigmi del pensiero magico ha condotto
Galileo, in questo specifico caso, su una strada che oggi  qualifichiamo come sbagliata, gli ha impedito di affrontare problemi, lo ha in qualche
modo allontanato da ciò che ci appare oggi come una verità o una anticipazione
della verità
. E’ anche noto a tutti – bisogna aggiungere – che Galilei, al
di là dei complimenti formali e delle formali dichiarazioni di altissima stima,
non tenne in alcuna considerazione le grandi scoperte effettuate da Kepler. Si
può qualificare sano un comportamento
che allontana dalla verità ?  In che
senso lo si può fare ?

 

2. Come una tesi vera può ostacolare il
progresso

         Il tema della generazione dei viventi
fu, nel Seicento, al centro di una discussione vastissima. In essa un posto non
secondario spetta a William Harvey. Il frontespizio del suo trattato De generatione animalium (1651) reca il
motto ex ovo omnia. Sulla nozione
harveyana di uovo (altrettanto celebre è la sua espressione omne vivum ex ovo) non è il caso di
proiettare le nostre nozioni e definizioni. Sono uova, per Harvey, sia quelle
delle galline e degli animali ovipari, sia il bozzolo da cui esce la farfalla,
sia il sacco amniotico dei grandi mammiferi.

         Gli esperimenti condotti da Francesco
Redi (1626-1698) sulla generazione degli insetti dettero un contributo
decisivo  alla eliminazione della antica
teoria della generazione spontanea secondo la quale alcuni insetti e piccoli
animali (mosche, scarabei, lumache, sanguisughe e persino alcuni vertebrati di
classi inferiori) traevano vita dalle putrefazione di sostanze organiche : i
cadaveri generano vermi, le immondizie insetti, il vino inacidito genera i
corpuscoli dell’ aceto, dalla carne putrefatta di cavallo nascono  vespe e calabroni, da quella dell’ asino gli
scarabei, da quella di un bue o di un vitello le api. Nelle Esperienze intorno alla generazione degli
insetti
(1668), Redi applicava un metodo comparativo utilizzando, come oggi
si direbbe, campioni di controllo. Utilizzò otto recipienti contenenti varie
specie di carni, ne sigillò quattro e ne lasciò quattro all’ aria aperta. Solo
negli ultimi sui quali si erano posate mosche si presentarono larve che si
svilupparono poi in mosche. Si disse subito che il mancato contatto con l’ aria
era la causa della assenza di forme di vita. E Redi ripeté il suo esperimento
chiudendo i quattro recipienti con garze che rendevano la carne inaccessibile
alle mosche.

         Quella di Redi viene giustamente
considerata (come troviamo scritto in tutti i manuali) una imperitura
conquista. Ma quella conquista venne messa in crisi da qualcosa che
consideriamo (giustamente) un’ altra grande conquista. Antony van
Leeuwenhoek  visse tutta la vita a Delft
: faceva l’ usciere, non conosceva il latino e non era in grado di scrivere un
trattato scientifico. Ma era un ineguagliabile costruttore di lenti  ed era dotato di una insaziabile curiosità.
Del tutto ignaro di ciò che oggi chiameremmo "metodo scientifico", con le sue
lenti tendeva a guardare tutto. Per più di cinquant’ anni inviò alla Royal
Society  lunghe lettere scritte in
olandese e corredate da disegni 
minuziosi.  Divenne molto famoso
e perfino lo zar Pietro il Grande lo andò a trovare a Delft. Nell’ estate del
1674 scoprì che una goccia d’ acqua di uno dei laghi vicino al suo villaggio,
guardata al microscopio, era piena di minuscoli animaletti di diverso colore,
che avevano il corpo simile a un globo, una lunga coda e si muovevano con
grande agilità. Quei piccoli esseri viventi (oggi Protozoi) erano presenti in
vari tipi di acqua.

         Dopo che (nel 1676) fu pubblicata,
sulle "Philosophical Transactions" una lunga lettera che dava conto delle sue
esperienze, cosa si doveva pensare delle affermazioni di Redi sulla
impossibilità della generazione spontanea ? 
La loro validità poteva, al massimo, riguardare quella parte del mondo
vivente che è contemplabile a occhio nudo. Ma il microscopio non dimostrava
forse l’ esistenza di una sterminata diffusione della vita ? E lo stesso
Descartes non aveva distinto la generazione degli animali superiori dalla formazione
delle forme elementari della vita per generare le quali basta che il calore
agisca sulla materia ?  Il partito dei
sostenitori della generazione spontanea trovò un insperato aiuto nelle scoperte
di Leeuwenhoek. Si servì delle sue scoperte per riaffermare le tradizionali
tesi della generazione spontanea che il lavoro di Redi sembrava aver confutato
per sempre.

         Chi sentiamo oggi più vicino alla
verità? Coloro che difendevano l’ idea di una autonoma e spontanea formazione
della vita, oppure coloro che si opponevano energicamente a questa idea per
riaffermare la necessità dell’ intervento di Dio per spiegare l’ origine della
vita ? Ma coloro che, come Diderot, difendevano la possibilità di un’ origine
della vita dalla materia (senza alcun ricorso all’ intervento di Dio) non
diventavano per questo, agli occhi dei loro contemporanei, i sostenitori della
tesi della generazione spontanea ?  Il
problema della generazione spontanea riemergerà a proposito dei batteri e la tesi
verrà nuovamente confutata da Pasteur nel 1861. La generazione spontanea
scompare come "problema scientifico". Ma si tratta di una scomparsa apparente e
di quel problema si riparlerà presto a proposito dei virus e degli ultravirus.
Con il nome "problema dell’ origine della vita", quel problema, come tutti
sanno, è ancora saldamente in piedi.

         Si può riassumere l’ intera questione
con il lapidario giudizio di un grande storico della scienza : «Per il Seicento
l’ affrancamento della scienza dalla superstizione presupponeva l’
impossibilità della generazione spontanea, proprio come nel Novecento, per
motivi del tutto differenti, si verifica la situazione opposta» (A. R. Hall, Da Galileo a Newton, Milano,
Feltrinelli, 1973, p. 166).

 

3. Essere dalla parte giusta con un
obiettivo sbagliato

         Molti
dicono: era sbagliato avere come obiettivo la cosiddetta "dittatura del
proletariato", ma senza i comunisti e il loro coraggio, il mondo sarebbe caduto
in mano ad Adolf Hitler. Tra i giudizi che fanno riferimento al mondo della
politica accade abbastanza spesso di sentir dire: hanno dato un contributo
decisivo ad una causa giusta e tuttavia lottavano per un obiettivo sbagliato.
Accade anche di sentir dire: si trovava dalla parte sbagliata e tuttavia
lottava per un obiettivo giusto. Lottare per un obiettivo giusto trovandosi
anche dalla parte giusta è stato sempre un privilegio di pochi. Lottare per un
obiettivo sbagliato trovandosi anche dalla parte sbagliata è una sventura che,
nella storia, è toccata a molti. Qualcosa di simile è accaduto, accade e
accadrà anche in quel complicato e proliferante mondo che chiamiamo la scienza ?

 

          

 

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