ILSE BING 1934
Per l’8 marzo 2022
Cristiana Cimino
E’ un mesto 8 marzo, quello di oggi, inevitabilmente segnato dall’invasione militare dell’Ucraina da parte del dittatore Putin. Celebriamo questa data con tristezza, avendo ben presenti nella mente le immagini dei bombardamenti e delle città già distrutte, i morti, gli sfollati e i tanti che restano e combattono. E poi ci sono le donne, protagoniste loro malgrado di questa guerra sporca. Madri, mogli e compagne, donne che scelgono di resistere e di combattere. E’ arrivata la denuncia da parte del governo ucraino delle donne stuprate dagli invasori russi, corollario tragicamente abituale di ogni guerra, nonostante se ne parli, anche questa volta, troppo poco.
Il maschio guerriero che si risveglia non può non fregiarsi anche di questa ignobile insegna per sentirsi ancora più maschio, ancora più guerriero. Inoltre, come non approfittare di una contingenza per la quale l’uomo comune è autorizzato a diventare un assassino (Freud insegna), per fare oggetto di violenza, per di più senza gli abituali deterrenti, il nemico di sempre, ossia il femminile in quanto differenza radicale?
La crisi del simbolico richiede l’invenzione di nuovi stili, di nuove soluzioni per stare al mondo e soprattutto, almeno per il momento, amplifica a dismisura l’immaginario. Anche se gli uomini in quanto padri, e non solo in quanto padri, vacillano, il regime fallico, sul piano immaginario, è energicamente al lavoro. Diversi personaggi che corrispondono al paradigma di una mascolinità rituale, in tempi recenti, hanno avuto molto seguito: muscolari, apodittici, evidentemente misogini, costantemente belligeranti. Uno di questi, adesso, è realmente in guerra e minaccia di trascinarci il resto del mondo o una sua buona parte.
Intanto la violenza rapace dell’esercizio fallico non smette di fare vittime tra le donne, negli ultimi due anni anche con la complicità dell’isolamento dovuto alla pandemia.
Tutto questo richiede un grande sforzo per costruire nuove forme di vita che lascino spazio all’incompletezza, alla mancanza, a tutto ciò che significa abdicare alle illusioni di padronanza e di potenza che, tuttavia, ci minacciano nel reale. Abdicare all’esercizio fallico (non necessariamente maschile) per fare spazio al femminile di ciascuno significa fare spazio all’Altro, a un incontro possibile, all’assunzione della differenza anziché alla sopraffazione. Questa è una delle scommesse che pone la contemporaneità, forse è la scommessa.
Un silenzio pieno di rabbia
Manuela Fraire
Tra le notizie riportate dai mezzi di informazione, ma a margine sia ben chiaro, si viene a sapere che in Italia lavorano 100’000 badanti ukraine.
Molte di noi sono testimoni in questi giorni della preoccupazione di molte di loro per i familiari che vivono nelle diverse città dell’Ukraina.
Non si può certo pretendere che si schierino pubblicamente a favore di una parte o dell’altra, per di più nel paese di cui sono ospiti.
E’ comunque incredibile che un numero così elevato non abbia voce pubblica e le donne italiane che pure vivono con le badanti ukraine un rapporto intenso, a volte troppo intimo, poiché sono le supplenti dei familiari di cui non è spesso possibile prendersi cura in prima persona ,vuoi perché impegnate nel doppio lavoro – casa e ufficio- vuoi perché la cura degli anziani porta al pettine ben altro genere di conflitti, quello tra le generazioni.
Un corpo femminile plurale che tace non per opportunismo ma perché la forma di emancipazione loro concessa dal passo in avanti fatto dalle donne occidentali che possono aspirare ad una libertà di essere non soffocata completamente dalla famiglia, non è esportabile nel loro paese o non sarebbero qui in così tante, l’Ukraina è molto bella.
Un esempio: una di loro che da tre anni sostituisce i figli\e di un anziano vedovo alla domanda “ se fossi nella tua città da che parte staresti” ha risposto- ma non è la sola- che vorrebbe solo che la guerra finisse , ovviamente, ma senza mostrare un interesse per l’aspetto “politico” del conflitto che attraversa il proprio paese.
Una sorta di indifferenza, forse di impotenza, di fronte alle scelte fatte dai loro compagni. In breve del loro paese sanno quasi solo che non offre alle donne una vera emancipazione e per questo guardano all’Europa come ad una opportunità di lavoro. In definitiva il lavoro delle donne ukraine che sono rimaste a casa- la maggior parte- è altrettanto nascosto agli occhi degli uomini che da ognuna delle due parti vogliono amministrare il potere.
Quelle che sono emigrate una volta l’anno scompaiono per un mese o due- quando dice loro bene-e si sa solo che vanno a visitare non solo i genitori o i nonni ma spesso i figli lasciati appunto con i nonni che si occuperanno anche dei padri di quei figli il cui unico lavoro va protetto a tutti i costi.
200’000 sono tante, se manifestassero tutte insieme riempirebbro una grande piazza. Ma non vogliono né possono poiché strette nella morsa del timore che uscendo da una clandestinità- non solo giuridica – diventerebbero non straniere ma estranee, come lo è chi deve tenere segreto il tesoro culturale che solo la lingua madre trasmette.
C’è la diffusa opinione che le donne siano naturalmente pacifiste, che la guerra non faccia per loro , cosa in parte vera come ogni donna sa, ma a protezione dei loro uomini, compagni, mariti, figli che la guerra non la vogliono ma è più forte di loro non farla.
Si tratta di geopolitica- si dirà- roba da “grandi” cioè da uomini o donne con il fucile.
Quando l’Algeria si organizzò per scacciare il padrone dai propri luoghi le donne- ormai occidentalizzate dal colonizzatore- scelsero di rimettere il velo poiché così mascherate potevano portare sotto le gonne le armi necessarie alla resistenza ma una volta finita la guerra di liberazione la famiglia patriarcale ha ripreso il comando. Un algerino che vive all’estero e fa un figlio senza sposarsi non può far entrare nel proprio paese la madre di suo figlio, non è da vero uomo.Il paese dove è nato Derrida!
Che ne è delle molte donne ukraine che hanno “riparato” la famiglia occidentale spesso disastrata con l’aspirazione all’emancipazione una volta tornate a casa?. Perché accettiamo che se ne vadano senza chiederci e chiedere loro quanto peserà l’esperienza fatta lontano da casa sulle decisioni degli uomini? A chi spetterà di rammendare lo strappo doloroso della guerra civile,poiché di questo si tratterà una volta che si installerà un governo filorusso. Il timore, l’orrore è che dovranno fungere da pilastro della morente famiglia patriarcale all’interno della quale la differenza tra russi e non russi non è poi maggiore di quella che intercorre tra chi arma in nome della libertà e chi resta convinto che non sia giunto il momento di distruggere gli arsenali dell’intero pianeta.
8 marzo 2022
Manuela Fraire