Conversazione con Anna VANZAN
A cura di Rita Corsa
Anna Vanzan è iranista e islamologa, Ph.D. in Near Eastern Studies presso la New York University. Insegna Cultura araba alla Statale di Milano. Ha svolto seminari e tenuto lezioni in numerosi atenei italiani e esteri.
Co- fondatrice e redattrice della rivista Afriche e Orienti, è Membro del Comitato Scientifico di Quaderni Asiatici; Acta Turcica; Journal of Shi’a and Islamic Studies, Altre Modernità.
Traduttrice dal persiano, ha pubblicato numerosissimi articoli e saggi e 15 volumi tra romanzi e raccolte di racconti di narrativa contemporanea persiana, soprattutto femminile.
Fra le ultime monografie: Gli sciiti (Mulino, Bologna, 2008);
Figlie di Shehrazàd. Scrittrici iraniane dal XIX secolo a oggi (Mondadori, Milano, 2009);
Le donne di Allah, viaggio nei femminismi islamici (Mondadori, Milano, 2010);
Che genere di islam. Omosessuali, queer e transessuali tra shari’a e nuove interpretazioni (con J. Guardi; Ediesse, Roma, 2012);
Donne e giardino nel mondo islamico (Pontecorboli, Firenze 2013);
Primavere rosa. Donne e rivoluzioni in Medio Oriente (Libraccio ed., Milano, 2013).
La presentazione del libro Le rose di Persia, che Elena Riva, francesista e arabista, ha concertato a Bergamo – evento inserito nel ciclo di seminari “Da Casablanca a Teheran: sguardi di donne e prospettive artistiche”, organizzato dall’Associazione interculturale chiara.riva e dall’ Accademia delle Belle Arti Carrara – è casualmente coincisa con la storica visita del presidente Hassan Rouhani in Italia (gennaio 2016). In quei giorni divampava un accesissimo dibattito sulla distanza culturale e religiosa fra il mondo musulmano mediorientale e quello europeo. Per me, invero, è stata la fortunata occasione per conoscere la nota islamista Anna Vanzan, con la quale ora desidero approfondire alcuni aspetti che mi hanno specialmente incuriosita come donna e come psicoanalista.
La preparazione culturale delle donne in Iran è certamente più avanzata rispetto a quella presente in altri Paesi del medio oriente. Ciò vale per tutte le classi sociali?
Se con preparazione culturale intendiamo la scolarizzazione la risposta è sì. Anche nelle classi più basse c’è l’esigenza di mandare le figlie a scuola e far loro acquisire un diploma utile per inserirle nel mondo del lavoro.
Il campo artistico iraniano – soprattutto la letteratura – sembra essere attraversato da un grande fervore creativo di voci al femminile. A suo avviso, quali sono i fattori che sostengono e alimentano questa stagione così feconda?
Innanzitutto, la letteratura è l’Arte per eccellenza, da sempre, in Iran. La Rivoluzione ha creato il bisogno di letteratura nuova, di testi in cui i lettori (e le lettrici) potessero ritrovarsi. La letteratura è una sorta di agone in cui gli iraniani e le iraniane possono discutere idealmente: sono sorte scuole di scrittura, e il successo di pubblico ha spinto nuove scrittrici a presentarsi alla ribalta.
È corretto interpretare l’opera di queste autrici come una punta avanzatae un modello di riferimento di quella tumultuosa corrente di “neofemminismo” che scorre, come fiume carsico, nelle società islamiche più moderne?
Sì, si tratta di vari tipi di femminismo che in parte rispecchiano le correnti di lotta per i diritti femminili che operano nella vita quotidiana. Alcune forme di scrittura ne sono consapevoli, altre sembrano abbozzare tematiche femministe che pure nella mente/penna dell’autrice non sono sviluppate completamente.
Tornando a Le rose di Persia, quali sono stati i criteri che l’hanno guidata nella scelta dei nomi proposti nel volume?
L’Edizioni Lavoro, casa editrice con cui ho collaborato in passato, e che è molto sensibile alle problematiche di genere nell’area del medio oriente allargato, mi ha chiesto di sviluppare un percorso antologico diacronico, che tenga conto dell’evoluzione della scrittura femminile persiana dal periodo prerivoluzionario ai giorni nostri. Ho rispettato questa richiesta cercando di offrire ai lettori italiani un campionario di alcune proposte varie e interessanti.
Quali fra questi racconti ritiene più rappresentativi della condizione femminile nell’Iran di oggi?
Lo sono tutti a loro modo: alcune situazioni, come quella presentata ne Le pietre del diavolo è sorpassata, nel senso che quel tipo di superstizione nell’Iran contemporaneo è pressoché estinto. Ma il monito che l’autrice rivolge alle donne di essere troppo spesso complici del patriarcato è ancora attuale. Ognuno di questi racconti incarna varie problematiche che le iraniane debbono affrontare quotidianamente, e la risposta che l’autrice di turno offre costituisce una riflessione sul tema o un suggerimento ontologico e pratico.
Il processo di traduzione, che è sempre anche di trasformazione, sta particolarmente a cuore agli psicoanalisti che a modo loro si occupano di simili alchimie. Lei è la maggiore traduttrice italiana dalla lingua persiana. Quali sono i principali problemi che incontra nel trasporre nella nostra lingua il pensiero delle artiste iraniane?
Vi sono situazioni complesse che in persiano sono riassunte in una parola o in una locuzione. In persiano, così come in altre lingue, vi sono parole che hanno una chiara risonanza culturale per il pubblico locale e nessuna per la comunità linguistica che legge in traduzione. Alcune di queste parole veicolano un contesto socio-culturale e sono assai frequenti nella letteratura scritta dalle donne e/o su di loro. Prendiamo l’esempio del termine mahram e del suo contrario, namahram: il primo, che significa letteralmente “illecito” si riferisce a un uomo, anche un familiare della donna, quale il padre, il fratello, il figlio ecc., con il quale è illecito contrarre matrimonio (ovvero, avere rapporti sessuali) e in presenza del quale una musulmana non è tenuta a velarsi. L’opposto namahram indica un estraneo, qualcuno cui non è lecito entrare nel harem (altra parola pesantemente connotata!): non solo una donna deve coprirsi i capelli in presenza di un namahram, in alcuni contesti fra i due è addirittura proibita la condivisione dello stesso spazio. Quando compaiono queste parole così pregne di significati io ricorro a una spiegazione da inserire in un glossario finale, onde evitare di appesantire il testo. Si tratta di parole talmente pregne di significati culturali che anche parafrasandole non si restituirebbe la vasta gamma d’implicazioni culturali, sociali, legali e politiche che essa comprende. Attraverso il glossario, i lettori possono non solo comprendere la complessità del termine, ma anche ricevere uno stimolo per ulteriori letture e approfondimenti verso una migliore comprensione dello status delle donne iraniane e musulmane in generale.
Come ben noto, la visita ufficiale di Rouhani è stata accompagnata da vivaci polemiche per la copertura dei nudi scultorei nei Musei Capitolini, sulle quali non intendo spender parola. Ne colgo però lo spunto per chiederle quali aspetti della realtà femminile vengono ancora tenuti coperti nell’Iran contemporaneo. Quali spazi esterni ma anche interni sono ancora oscurati dai veli?
Le iraniane devono affrontare una dura lotta per cambiare il codice che regola il diritto di famiglia. Vi sono troppe ineguaglianze e ingiustizie nel diritto matrimoniale (soprattutto nello scioglimento del matrimonio, l’affidamento dei figli) e nel diritto ereditario.
Un ultimo quesito a soddisfare la curiosità dello psicoanalista. In alcuni passaggi del libro si colgono dei chiari influssi non solo della cultura occidentale, ma della stessa psicologia del profondo. La questione è circoscritta alle suggestioni letterarie di un’élite intellettuale, oppure esiste uno spazio clinico dove professioniste donne praticano la psicoterapia e la psicoanalisi? E l’utenza è anche maschile?
La psicoanalisi così come la intendiamo noi è una disciplina che ha avuto vita controversa, soprattutto nella sua accezione freudiana. Ciò non toglie che la psicoterapia sia praticata in Iran a vari livelli e che ci siano pazienti d’ambo i sessi: anzi, essendo l’Iran il Paese musulmano in cui si pratica il cambio di sesso, vi sono anche molti trans che ricorrono all’analisi. Gohar Homayounpour ha scritto un libro sulla sua esperienza di terapeuta in Iran, leggibile anche in italiano (Una psicanalista a Tehran, Cortina, 2013), dove l’autrice descrive proprio le problematiche che insorgono nel rapporto terapeutico tra un medico donna e pazienti uomini.
Aprile 2016
Leggi recensione di Rita Corsa
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