di Stefano Bolognini (*)
(* Presidente della Società
Psicoanalitica Italiana, candidato alla Presidenza I.P.A.)
Il film Good-bye Mr. Zeus! scritto
e diretto da Carlo Sarti, presenta
diversi livelli di possibile lettura per uno psicoanalista, e spero mi
scuserete se – pur non essendo un esperto del settore – mi permetto di
aggirarmi all’interno di questa storia con animo curioso.
Da un lato, il film si
avvia con uno stile felicemente umoristico, tanto da suggerire un’atmosfera da
commedia leggera, spiritosa, divertente.
Si assiste così ad una serie di disavventure domestiche di vita
quotidiana di Alberto, il protagonista, che appare un giovane un po’
scombinato, alle prese soprattutto con una relazione amorosa solo in parte
convincente.
La fidanzata Adelaide,
commercialista in carriera, è infatti carinissima, deliziosa, però molto convenzionale, molto modaiola: vive in
una dimensione estetica "di ordinanza", tipica di una ragazza trendy
& fashion lanciata nella vita professionale.
Tutto sommato Adelaide è
una persona positiva, vuole anche bene ad Alberto e gli manifesta un sincero
attaccamento, ma il comportamento continuamente conflittuale di lui (tre passi
avanti e due indietro, continui incidenti di varia natura apparentemente privi
di senso e del tutto casuali ma ad una lettura più attenta, in realtà
rivelatori di una condizione interna di conflitto tra parti di sé) ci dice che nella vita di questo giovane molte
cose rimangono irrisolte.
E che, per esempio,
proprio la relazione fondamentale con la sua fidanzata è fonte di profonde
ambivalenze.
Alberto sembra sulle
prime un individuo distratto, parzialmente disadattato. Capiremo poi nel corso del film che questa
sua natura non è così insensata: c’è un
filo sotterraneo costante che lega le sue maldestre iniziative alle sue
prevedibili disavventure.
Esse sono l’espressione
di una ambivalenza di fondo verso un tipo di relazione amorosa (e,
parallelamente, verso un tipo di scelta di vita) che – normali per altri – sono
per lui profondamente distruttivi; ma questo lo si capirà strada facendo.
Nelle fasi iniziali, la
scena di Alberto che rimane nudo fuori casa – scena che richiama atmosfere
tragicomiche classiche, tra Chaplin e
Sordi – testimonia una condensazione
delle spinte inconsce di Alberto: lui inconsciamente vuole uscire da quel
guscio, in maniera tale da non poterci più rientrare, al di là delle sue
intenzioni coscienti.
Si presenta così "nudo
nato" sulla via, proprio come un neonato del tutto disadattato rispetto alla
realtà esterna.
L’entrata in scena del
pesce Zeus, è in certo senso, una
comparsa "a scendere": Alberto, che
intendeva fare un regalo alla fidanzata, prima aveva cercato di acquistare un
cagnolino di gran razza, ma era rimasto sbigottito di fronte al costo
esorbitante; allora aveva ripiegato verso un altro tipo di cane meno costoso,
ma anche questo risultava per lui inarrivabile, perché aveva appena perso le sue modeste risorse
economiche nell’incidente d’auto con cui si era aperto il film.
Alla fine aveva comprato
ciò che poteva realisticamente permettersi: un pesce rosso, che, rispetto a un
cane, è un essere molto più primitivo, molto più arcaico, molto più intrauterino (vive in una boccia pieno di
liquido) e ha una capacità relazionale ovviamente ridottissima.
Questo è tutto ciò che
Alberto può al momento permettersi, a testimonianza simbolica anche del modesto
investimento (libidico e affettivo) " da 5 euro " che può dedicare alla
relazione con una donna.
Senonché questo pesce si rivela davvero prodigioso, perché in
realtà non solo comunica (e il protagonista
trova subito la maniera di intendere quello che il pesce pensa, interpretandone con sorprendente
immediatezza i movimenti cifrati della coda),
ma invade letteralmente la mente e il cuore dei suoi successivi
proprietari, ispirando loro un’atmosfera quasi magica di coinvolgimento, di
passione verso ciò che questo pesce rappresenta.
Come in un acuto innamoramento
madre-bambino, tra i due si accende ben presto un dialogo intenso,
esclusivo, profondissimo, capace di
congiungere il nucleo interno di sé di Alberto con questo piccolo animale
apparentemente muto, ma invece molto
comunicativo.
Questa medesima
fascinazione colpirà anche i carcerati tra i quali Alberto deve scontare una
detenzione per un maldestro tentativo di rapina.
L’intera comunità di
carcerati viene contagiata da questa passione per il pesce e per la
comunicazione profonda con lui.
Dal canto suo, il pesce
prigioniero della boccia di cristallo si batte con i mezzi che ha per
raggiungere la libertà nella
natura: così come fa – senza saperlo –
anche il protagonista Alberto, chiuso
in una "boccia di cristallo relazionale" con Adelaide, nonché in una "boccia di
cristallo professionale" dietro i vetri di un sportello bancario, e infine
chiuso concretamente in un carcere che
ne limita la libertà personale (tante bocce di cristallo, più o meno concrete).
A quel punto il pesce Zeus
diventa il suggeritore, l’allenatore, l’istigatore, il profeta di un viaggio verso la libertà che riguarda
Alberto in una maniera molto più profonda e
significativa di quanto egli potesse raffigurarsi, perché della sua
personale infelicità Alberto non era pienamente consapevole: egli si ritrovava
a inciampare di continuo in una accidentalità quotidiana apparentemente
caratteriale, senza rendersi conto di come questo boicottaggio sistematico di
sé fosse collegato ad un malessere
profondo, connesso all’ essere
prigioniero in tutte quelle "bocce di cristallo" metaforiche .
Di conseguenza il pesce
rappresenta (e funziona come) la parte
più profonda e autentica di Alberto – e forse anche di molti degli altri
protagonisti di questo delizioso racconto cinematografico – perché rappresenta la loro parte inconsapevole protesa verso il
raggiungimento di una meta: la libertà.
Meta che per loro non è
nemmeno pensabile, perché Alberto prova molto disagio con la sua attuale
fidanzata, ma non riesce a dirsi fino in fondo tutta la sua insoddisfazione e tutta la sua compressione
.
Un motivo fondamentale che
ricorre in filigrana nel film è il fatto che nel percorso individuale verso la
libertà sono talvolta necessarie anche delle fasi di trasgressione e perfino di
imbroglio verso le persone che si amano, come è tipico della fase
adolescenziale.
Questa trasgressione mette in scena una piccola
quota di hybris, di violenza dirompente, che permette al giovane
di crearsi uno spazio al di là delle barriere.
Sappiamo bene, del resto, che in generale se i giovani trasgrediscono
troppo vanno incontro a seri pericoli e comunque rischiano di rovinare la loro
vita relazionale; ma se non
trasgrediscono mai, neanche un po’, rimangono fissati e coartati in un
territorio esclusivamente familiare dal quale non riescono a uscire.
Questa spinta effrattiva,
che richiede una certa dose di aggressività e di microviolenza per uscire dal
recinto, è una caratteristica vitale necessaria.
Rammentiamo che durante le
prime scene del film il pesce era
apparso in sogno ad Alberto e gli aveva chiesto di essere messo vicino alla tv
dove poteva vedere paesaggi di libertà; in particolare pareva avere apprezzato
un bellissimo posto in Svizzera, un vero
paradiso per un pesce medio.
Quel paesaggio si rivelerà
essere lo scenario della fantasia dominante dell’inconscio di Alberto, il vero
rappresentante del suo desiderio profondo, che nemmeno lui conosce
consciamente.
Il finale del film, condizionato
da premesse più implicite che esplicite, è emotivamente esplosivo: riferibile com’è alla metafora decisamente
commovente (e anche molto perturbante) di un processo impegnativo di conquista
della libertà interiore del protagonista.
Quando Alberto prende
l’aereo della compagnia (che – guarda caso -si chiama Darwin Airlines…) destinato a portarlo oltre oceano, dopo aver
liberato dopo molte esitazioni il pesce nelle acque della cascata, si capisce
che il grande passo è stato compiuto.
E’ stato compiuto prima di
tutto nei confronti del pesce Zeus, che rappresenta una fondamentale parte di
lui; il passo successivo, quello di una concreta emigrazione oltre-confine, è
del tutto conseguente e sintonico con il gesto liberatorio e simbolico precedente.
Il distacco di Alberto dai
luoghi e dalle persone, infatti, si svolge in un sorprendente e toccante clima
di consapevolezza: a questo punto egli non è più guidato da forze o pensieri
che non riconosce come propri, ma diviene progressivamente cosciente di quello che vuole e di quello che
lascia.
Non è più un Alberto acefalo e nevrotico, che "inciampa" nei propri
conflitti inespressi.
Sull’altro fronte, anche
Adelaide realizza in maniera molto più consapevole la realtà dei distacchi, delle grandi separazioni,
quindi delle scelte che cambiano la vita.
Quando Adelaide vede
passare un aereo, mentre sale in
macchina col direttore del carcere che nel frattempo è diventato il suo
fidanzato, possiamo rappresentarci il lato sano di questi distacchi: essi
possono permettere delle scelte più
adeguate.
Per esempio, questo
direttore del carcere sta proprio bene vicino ad Adelaide, è più congruo a lei
di quanto non fosse Alberto.
Alberto era ancora un
ragazzo strutturalmente insofferente che doveva trovare una sua verità, una sua
strada,; mentre il direttore del carcere è un uomo già responsabile, che ha già
fatto un suo percorso evolutivo e che cerca ora di realizzare qualcosa di buono
con qualcuno con cui non teme l’interdipendenza, inaccettabile per un
post-adolescente come Alberto bisognoso di staccarsi da un equivalente materno.
In questo senso sembra che la capacità di separarsi abbia portato
entrambi – Alberto e Adelaide – a scelte diverse, che sono però pertinenti
al livello evolutivo e ai bisogni di ciascuno dei due.
Se non si fossero separati,
ciò non sarebbe mai successo.
Il film sembra avere la
funzione di far passare un messaggio profondo
perturbante, che è quello
relativo alla necessità di grandi separazioni e distacchi per trovare la
propria strada e la propria verità.
Lo fa attraverso un gioco
narrativo e uno stile scenico che dispongono lo spettatore a seguire con
interesse la storia, perché essa è anche divertente; l’involucro, la confezione
ricca di umorismo di molte di queste scene (soprattutto nella prima parte)
produce l’effetto di legare e coinvolgere l’attenzione dello spettatore,
facendolo entrare nella vicenda
attraverso l’attrazione esercitata dall’umorismo.
Strada facendo, il messaggio viene poi veicolato fino al cuore oltre
che alla mente degli spettatori: ed è un messaggio molto più serio, molto più toccante, sicuramente più profondo del previsto, che ha a che fare
con aspetti importanti dell’evoluzione delle persone.
Garbatamente proposto
all’inizio come una piéce divertente, questo racconto si trasforma invece in
qualcosa di molto più serio e impegnativo, una riflessione sulla vita umana man
mano che tende verso l’integrazione finale, allorché il protagonista Alberto si
muove sempre meno "suo malgrado" e sempre più coscientemente . All’inizio sembra che egli rimbalzi di qua
e di là, sopraffatto dagli eventi esterni, e lo spettatore è addirittura
portato a intendere Alberto come un
ragazzo un po’ viziato, fin troppo
coccolato da Adelaide e forse dai genitori, e in definitiva non molto responsabile.
Nel corso del racconto si
capisce perché viveva psichicamente così: perché ancora non riusciva a
collegarsi con le parti più interne e più intere di se stesso.
Il pesce Zeus si rivela
allora essere il simbolo della parte più profonda del soggetto, che il
protagonista "trova" apparentemente per caso, ma che in realtà "si fa trovare"
per consentirgli di riprendere il contatto con la parte più autentica di sé,
fino a quel momento impossibilitata a farsi sentire .
Il paradosso che proprio un
pesce parli sta a rappresentare come molto spesso le parti più profonde delle persone non abbiano la capacità di
"parlare" .
Due parole sullo psichiatra.
E’ sicuramente un pezzo
forte del film, una figura caricaturale
con tutti i sacri crismi dello psichiatra dell’immaginario popolare.
Egli si rivela abbastanza
distante dalla possibilità di contattare davvero l’interno del paziente
Alberto: segue criteri e formule diagnostiche molto convenzionali e
accademiche, e la parte più
interessante della sua attività è proprio quella che svolge senza il paziente,
quando approfondisce il proprio rapporto con
il pesce rimanendone catturato.
In questo caso sembra che il
problema dello psichiatra sia quello di "possedere il pesce", di sottrarlo
all’altro: cioè, metaforicamente parlando, di avere contatto con la verità
profonda, ed è un contatto che lo psichiatra finisce per invidiare ad Alberto.
I due cercano di rubarsi il
pesce a vicenda, perché questo pesce è la fonte di qualcosa che in condizioni
normali di consapevolezza nessuno dei
due (né il paziente, né lo psichiatra) riescono a raggiungere.
Entrambi sono molto distanti
dal livello interno che il pesce invece ha saputo toccare e ravvivare dentro di
loro, e del pesce hanno bisogno perché è
l’unico mezzo per entrare in contatto con la parte interna di sé.
Ma torniamo ancora un
momento indietro e rivisitiamo ancora un po’ la conflittualità che Alberto
mostra all’inizio del film nella relazione con Adelaide.
Alberto dimentica il
compleanno di lei, dimentica gli
appuntamenti, le cene promesse , etc.
Il livello di apparente
imbambolamento in cui egli si muove va inteso come l’effetto del conflitto:
ufficialmente è ingaggiato in una
relazione che comporterebbe tutta una
serie di adempimenti, ma al tempo stesso lui non ne può più, non è più la vita
che vorrebbe e non si riconosce più davvero
in quella relazione.
Per questo la povertà degli
investimenti libidico-affettivi disponibili verso Adelaide emerge in maniera per lui inaspettata e traumatica
(e per Adelaide deludente) quando lui
dovrebbe dedicarle qualcosa (regalo, cena, puntualità nell’appuntamento, cose
da fare insieme, etc.).
Lui non dà, non perché ha
deciso di non dare, ma perché "non gli viene da" dare.
Al tempo stesso Alberto si sente anche in colpa, si sente inadeguato
per questo e quindi tutte le energie del soggetto sono consumate dal conflitto,
dall’attrito tra parti interne.
Lui ambirebbe essere in un
certo modo, vorrebbe comportarsi in maniera consona, adeguata alle aspettative
degli altri e anche di una parte convenzionale di sé; ma in realtà c’è una
vasta parte di sé che tira altrove, ma che lui non ha ancora ben capito. Questo dispendio energetico conflittuale lo porta a non disporre di grandi risorse: nella
scena iniziale perde un sacco di soldi nel risarcimento dei danni causati
all’altro automobilista per eccesso di tensione, e nel risarcimento al ciclista
che in realtà lo truffa; per cui arriva al negozio di animali essendogli
rimasti in tasca pochi spiccioli .
Quindi quello che lui può dare ad Adelaide è ben poco; ma non perché lui avesse poco in assoluto,
all’inizio,; ma perché il dispendio di risorse, di energie, di denaro (il denaro in questo caso sembra
simboleggiare proprio le risorse
personali) è frutto di un conflitto molto pesante, che impoverisce Alberto della sua ricchezza
energetica personale.
Quello che, alla fine,
arriva al rapporto con Adelaide, è poco cosa .
Tra l’altro per lo spettatore medio risulta abbastanza sconcertante che
una ragazza bella come Adelaide risulti
così poco attraente per Alberto.
Il problema è che, per
quanto bella, quella ragazza non ha le caratteristiche che autenticamente
sarebbero importanti per Alberto.
La zoologa che compare nella
scena finale del film non rappresenta per lui una vera alternativa amorosa, ma
risulta comunque una figura femminile già molto più vicina a quello che in quel momento sta realmente a cuore ad
Alberto: cioè al suo Sé neo- natale, che chiede di poter venire al mondo (il
tuffo nella "cascata" della vita) e di potersi separare dalla madre
imprigionante.
Molti lavori psicoanalitici
sono stati dedicati al quantum
di aggressività necessaria per separarsi dalla madre, prima di tutto
nell’atto – in sé effrattivo – del nascere, facendola soffrire per venirne
fuori e forzando comunque le barriere;
e poi, più avanti, in altre situazioni equivalenti della vita, in cui se si
vuole conoscere qualcosa del mondo bisogna
lasciare la "casa madre".
E qui ci appare chiaro come
Adelaide fosse un equivalente materno dotato di tante apprezzabili qualità, ma
che corrispondeva anche ad un claustro, cioè un elemento fantasmatico
profondo chiuso e imprigionante.
Un dolcissimo contenitore,
Adelaide, che presuppone però che tutto sia già scritto, che lui non possa essere se stesso perché
già "posizionato" in uno schema pensato da altri; o per lo meno che lui
soggettivamente vive come pensato da altri, non vive come suo.
Questo film racconta quindi
la storia di un conflittuale viaggio verso la propria indipendenza, verso la
propria verità.
Lo fa con i toni iniziali
della commedia, poi con gli sviluppi surreali e vagamente parapsicologici del rapporto con il pesce, un elemento di
rottura rispetto agli schemi narrativi che gli spettatori sarebbero portati ad
aspettarsi su un piano di maggiore prevedibilità.
L’irresistibile corsa verso
la libertà, prima nella concretezza della natura, poi
nella aperta indefinitezza del destino, ci sorprende alla fine quando si
avviano i titoli di coda, commossi in contropiede.