Autore: Angelo Moroni
Titolo: “The Boys”
Dati sulla serie: creata da Eric Kripke; 2 stagioni (2019-2021), Amazon Prime.
Genere: Fantascienza, Thriller, Drammatico.
È stato un mio paziente adolescente a farmi conoscere questa serie statunitense, durante la nostra comune esplorazione di alcune sue fantasie onnipotenti dalle quali non riuscivamo a prendere un’adeguata distanza. Sono grato a questo ragazzo di aver deciso di lavorare con me, e anche di avermi consentito di entrare nell’immaginario filmico creato da Eric Kripke, talentuoso film maker poco più che quarantenne di Toledo, Ohio, già noto per la serie “Supernatural” (2005-2020).
In “The Boys” Kripke prende di petto e sovverte coraggiosamente uno dei principali stilemi mainstream americani, vero cuore di quella mitopoiesi cinematografica che è il genere fantascientifico avente come protagonisti i “Supereroi”. Il regista non si accosta tuttavia a tale genere con le tonalità melanconiche e metafisiche tipiche, per esempio, di Nolan (vedi il suo trittico: “Batman Begins”; “Il Cavaliere Oscuro”, 2008; “Il Cavaliere Oscuro-Il ritorno”, 2012), ma neppure con lo stile insieme epico-classico e comics della lunga saga filmica dei Marvel Studios (vedi “Iron Man”, 2008; “The Incredible Hulk”, 2008; “Thor”, 2011; “The Avengers”, 2012, etc.).
Al contrario, il taglio di Kripke è completamente virato sul registro dell’ironia, un’ironia amara, che non risparmia i toni drammatici e la denuncia sociale e politica di una destra trumpiana e sovranista sempre più pericolosamente dilagante negli USA e nel mondo.
Tratta dalla omonima graphic novel scritta da Garth Ennis e disegnata da Darick Robertson, pubblicata negli States nel 2006 da Wildstorm-DC Comics e successivamente da Dynamite Entertainment, la serie vede come protagonisti un gruppo di veri e propri “antieoroi” al soldo della CIA, impegnati a contrastare la più grande minaccia del pianeta, cioè i Supereroi. L’ambientazione è quella di un romanzo distopico: ci troviamo in una città che potrebbe essere una New York di un futuro imprecisato. Un’azienda senza scrupoli, la Vought, gestisce un gruppo di individui dotati di super poteri, capeggiati da Patriota, una sorta di Captain America dalle caratteristiche francamente sociopatiche e narcisistico-borderline. All’intera popolazione vien fatto credere che i Supereroi siano persone buone e protettive, che salveranno l’umanità dai “terroristi”, a loro volto supereoi distruttivi che operano, guarda caso, nei paesi arabi. Come vediamo il plot “gioca” subito con i temi della scissione e dell’idealizzazione, dei suoi risvolti politico-sociali e gruppali, e delle sue derive psicotiche. Affronta questo tema importante e molto attuale, appunto, di petto, servendosi inoltre di effetti speciali davvero sorprendenti, e pescando a piene mani, con grande consapevolezza e sobrietà, dall’immaginario cinematografico americano degli ultimi cinquant’anni. È il sapiente, coinvolgente, spiazzante capovolgimento di prospettiva operato da Kripke ad interessare lo sguardo psicoanalitico: la dialettica potenza-onnipotenza-idealizzazione viene squadernata, studiata e messa davanti agli occhi dello spettatore senza mezzi termini, con toni e linguaggio appositamente crudi, e attraverso caratterizzazioni dei personaggi molto efficaci. Ci vengono presentati Butcher (un intenso e magnetico Karl Urban), leader degli “antieroi”, personaggio centrale, insieme determinato e dolente, segnato dal trauma della scomparsa della moglie; Hughie (un ispirato e tenerissimo Jack Quaid), giovane e timido ragazzo di provincia cui uno dei Supereroi, A-Train, ha ucciso “inavvertitamente” la fidanzata; Frenchie (Tomer Capon), giovane disadattato di origini francesi, esperto in armi ed esplosivi. Dei Supereroi e delle loro specifiche caratteristiche, deliberatamente non dirò nulla, per lasciarli scoprire allo spettatore.
Una sceneggiatura dal ritmo incalzante, unitamente ad un montaggio e ad una fotografia studiati con grande attenzione, rendono questa serie un’importante testimonianza di quanto i nuovi stilemi narrativi cinematografici utilizzati dalle serie, possano mettere in scena una efficace trasfigurazione elaborativa delle angosce e delle difese dell’individuo, del gruppo e delle masse, operanti nella società contemporanea. “The Boys” è la dimostrazione di come questo tipo di frame narrativo-immaginativo possa avere una grande funzione psicologica e sociale, promuovendo il pensiero in un’epoca in cui l’omologazione, il conformismo e il ricorso al meccanismo dell’idealizzazione sembrano essere diventati virali.
Giugno 2021