Si è chiuso ieri, in una giornata domenicale ancora pienissima, dedicata in parte alle premiazioni in uno dei cinema, alle ultime proiezioni di film, documentari e dibattiti nelle altre.
Mi piace sottolineare subito due dati che, scoperti ora, davvero mi sorprendono!
-Premio alla migliore attrice alla nostra Valeria Bruni Tedeschi per il ruolo di Carla, dove è, in effetti, bravissima, ne Il capitale umano di Paolo Virzì (che con l’Oscar a Sorrentino, è un altro prestigioso riconoscimento al cinema italiano, più apprezzato negli States che ai Festival europei, occorre dire..).
-Premio come miglior attore a Paul Schneider, protagonista di Goodbye to all that da me recensito, per la verità come potete leggere senza molto entusiasmo, due giorni fa. Fa sempre piacere quando, in soli tre giorni e senza critiche e nulla che potesse indicare, com’è giustamente tipico dei Festival, si va un po’ a intuito, basandosi sulle poche righe ufficiali presenti. E qualche volta, si vede giusto!
Pongo a seguito le altre premiazioni, di docu e film purtroppo non per me accessibili…Una nota di dispiacere: il bellissimo Bad Hair, il primo recensito, avrebbe meritato di più..
Miglior Film: Zero Motivation di Talya Lavie
Miglior attrice: Valeria Bruni Tedeschi – Il capitale umano
Miglior attore: Paul Schneider – Goodbye To All That
Miglior sceneggiatura: The Kidnapping of Michel Houellebecq
Menzione speciale della giuria: The Kidnapping of Michel Houellebecq
Miglior regista esordiente: Josef Wladyka – Manos Sucias
Menzione speciale della giuria: Alonso Ruizpalacios – Güeros
Miglior montaggio: Keith Miller – Five Star
Miglior fotografia: Damian García – Güeros
Miglior documentario: Point and Shoot di Marshall Curry
Miglior corto: The Phone call di Mat Kirkby
Due parole ancora, in chiusura, su New York e l’Italia.
Mentre noi ci impaludiamo nei lamenti, e nel non saperci valorizzare, in questi giorni sono contemporaneamente presenti a NYC (ma vale per altri momenti dell’anno): vari film italiani qua e là, nei cinema qualunque, lo splendido omaggio, come detto nell’introduzione, che il MOMA con una rassegna di 16 film su Marco Bellocchio, una mostra sul futurismo italiano al Gugghenaim Museum, si è da poco aperto il CIMA (Center for Contemporary modern italian art) in un’elegante palazzina di Soho, e si è di recente chiuso un ciclo di Pasolini (che non mi sarei persa), ma ha potuto godersi un appassionato newyorkese con la quale ho conversato in una delle interminabili code, quella per il Goodbye…. Fa piacere, e nel contempo dispiace….
Per l’infelice cadenza dei giorni, ho segnalato il ciclo su Bellocchio al MOMA, ma sono proiettati in questi giorni tutti film già da noi segnalati.
Il senso del ciclo va invece rimarcato: regalare un vecchio maestro dai primi film agli ultimi, ripercorrendone il percorso tematico, che abbiamo detto in Bellocchio mantiene una sua unità di fondo – la polemica, l’anticonformismo, l’uso del sogno e del simbolico – ma con alterni esiti e fortune. Il giovane ribelle de I pugni in tasca, che sognava un mondo diverso, non è poi cosi lontano dalla poetica delle tre donne in coma in Bella addormentata, in un cinema sempre sospeso tra il reale e l’immaginario.
Fists in the Pocket. 1965. Italy. Written and directed by Marco Bellocchio
Come il nostro professore citato in apertura con il suo “The New York no body knows” (per ora inedito in italiano), in tre giorni siamo stati i diversi luoghi del mondo: il Sudamerica e la sua straziante miseria, vari Stati degli Stati Uniti, l’Italia vista con l’occhio di Bellocchio, nell’intimità di personaggi che, in modi diversi, hanno cambiato il corso del pensiero, come Susan Sontag e Barney Frank… grazie al cinema.
Alla sua universalità, alla sua forza poetica, alla sua magia e al suo realismo, alla passione straordinaria di quanti ci lavorano…anche noi, in fondo.
Come si sbagliava, nel suo pessimismo, uno dei fratelli Lumière, quando scrisse:
“ La mia invenzione è destinata a non avere alcun successo commerciale”
Luis Lumière