Gemma Trapanese
Squadernato a mestiere in un “esterno”, l’inconscio tele-visivo fa così la sua apparizione; sa in-trattenerci; sa mettersi in bella mostra, fuori-divano, attraverso travestimenti e trucchi di scena, fino a sfidarci vanitoso, sempre più convinto della sua telegenicità. Otto in tutto i personaggi, forniti di nome, stato civile, passato e vita emotiva. Solo una, la coppia “in treatment” : quella di Pietro e Lea. Attraverso bei primi piani catturiamo e guardiamo gli sguardi che si guardano: malinconici e voluttuosi, sprezzanti e insolenti, ora violenti e disorientati, o piuttosto incerti e supplichevoli, come spesso quelli del dott. Giovanni Mari, mestiere psicoterapeuta.
“Perché quello sguardo?”, così Lea a Mari, proprio in prima battuta, mentre varca senza Pietro la soglia dello studio. E subito dopo: “Ha del fuoco?” ( alludendo alla sigaretta da accendere). Per poi, rivolta a Pietro che è intanto arrivato: “Hai tu del fuoco?”
Questo, l’incipit, che a mò di scia ci guiderà per tutta la (quarta) seduta, illuminata, allora, proprio dall’implicita richiesta a Mari, di uno “sguardo-eccitato” che dia “fuoco”. Come inizio è più che promettente.
C’è da dire intanto che, se abituati televisivamente per lungo tempo ad essere portati per mano dal claudicante dott. House, verso sentieri a ritroso, che in-fine di ogni puntata, ci dessero il sollievo del traguardo, grazie a formidabili e infallibili “profezie retrospettive”, ora, con il dott. Mari, “strizzacervelli”… perché medico mancato, i sentieri oltre che a ritroso, si fanno molto in salita. Con lui arranchiamo, rischiando di sovente brusche battute d’arresto, soprattutto se il paziente “in questione” è una coppia come Pietro e Lea che, attraverso serrati faccia-a-faccia e bruschi voltafaccia, nell’apparente rivelarsi, alla fine assai bene riescono a nascondere e nascondersi. Già duramente provato dagli inviti sfrontati che gli arrivano puntuali tutti i lunedi sera dall’avvenente Sara e dagli “abbracci spezzati” di Alice, di ritorno ogni volta delusa dal paese delle meraviglie, il “nostro” dott. Mari rischia lui per primo, più volte, sin dal suo primo incontro, di non farcela tanto con la coppia “in questione”, che lo tormenta con amletici quesiti. Naturalmente, è già tutto scritto (nella sceneggiatura) che sulla scena allestita si prefiguri, all’interno del legame di coppia, in una precisa e tragica declinazione, la forma in cui si esprime uno dei destini possibili cui può andare incontro il desiderio. Dal canto suo, Mari che esplorando esplorando, scivola a volte troppo precipitosamente su “piccoli indizi” e “insignificanti dettagli”, si è già ritrovato a dover rispondere a un suo “superiore” ( Anna) delle sue impronte digitali, trovate sui suoi pazienti, in corso d’opera.
Una cosa appare certa: anche l’inconscio reso (tele)visibile, mal sopporta porte chiuse e barriere, compresa quella tra mente e corpo, tanto che lo share si impenna proprio con l’aborto “in diretta”sul divano, di Lea, alla seconda seduta. Con una sola mossa, un’altra coppia, quella proprio di Mari e consorte, viene chiamata a scendere in un campo che si allarga a dismisura, per trasformare in men che non si dica la macchia rosso-sangue in una vera e propria “macchia cieca”. L’enigma di Pietro e Lea, destinato al momento a rimanere “muto”, si è ormai già bello e dissolto in quella macchia che non vede e che nemmeno vuole essere vista.
Mari, allora, uomo senza macchia (e quindi, gioco forza, senza Teoria), non è certo uomo senza qualità e senza fede. Impressionabile come una cartina di tornasole che vira di colorito, dal rosso al violetto, il “nostro” Mari si muove come in un labirinto di specchi riflettenti, a piccoli titubanti passi di avanzamento (in questa quarta seduta, ci prova a riaggiustare il setting), ed altri, più rapidi, di indietreggiamento che lo costringono a svelarsi, aprendosi a insolite confessioni ( “Conosco una coppia…”, “So come ci si sente…”, “Ci sono passato…”, “Sono sposato anch’io!”) prima del patibolo. Sarà proprio Pietro, da bravo cow-boy, che con abilità lo prende al laccio: “Allora è sua moglie che l’ha tradito!”. Se fosse una battaglia con una delle navi della collezione di Mari, dovremmo decretare: “colpito e affondato!”
Pietro, dopo l’affondo, masticherà più energicamente la sua chewing-gum, come un bambino che ciucci ostinato, nel tentativo di possedere “un seno” che non si dà e che allora si accontenta di mordere nervosamente.
“Che vi sta succedendo?”, chiede Mari, chiamando la coppia in suo soccorso. Ce lo domandiamo anche noi. E pur a rischio di salire in cattedra, e farci maestri del povero Mari che con onestà pure un po’ ci rappresenta, proviamo a ricapitolare, con lui, punto per punto:
1.Con questa coppia è indubbio che ci troviamo di fronte ad un funzionamento proprio “primitivo” della mente. “PRIMITIVO, PRIMITIVO, PRIMITIVO, PRIMITIVO”: ce l’ha ripetuto tante volte Lea! (Idealizzazione, scissione e identificazione proiettiva, per intenderci, se fossimo a discutere solo tra psicoanalisti…).
2.La coppia, costruitasi come invincibile e invulnerabile, per funzionare ha bisogno di essere costantemente eccitata. E’ una coppia “spettacolare” e che “dà spettacolo”é e della propria pseudointimità (“ti scopo per bene!!!”, “Ti eccitava vedermi ubriaca tener testa ai tuoi amici”). Costantemente bisognosa di uno sguardo terzo, rifugge il “privato”, puntando a“pubblico”, sempre, e in ogni momento.
3.Veniamo alla pre-istoria della coppia: Pietro, stropicciato cow-boy sexy, è subentrato come “terzo” all’inamidato Giacomo (allora in coppia con Lea) che al primo chiede lezioni per montare a cavallo. Di lui, Lea e Pietro, subito complici, ridono alle spalle, alla stessa manieracome fanno spesso col povero Mari, soggetto facile da disarcionare con gusto da sella. La “scelta” del partner è sempre cosa assai seria. Possiamo, però, provare a ripartire dalla fantasia di Lea che da abile attrice, con sguardo trasognato riesce, sia pure per poco, a far passare per veritiera. Sulla scena evocata, come in un sogno, finalmente accorrono fantasmi. Veramente convincente, con pochi, essenziali elementi, Lea porta in scena la sua dimensione fallica che l’ha messa alla ricerca di un uomo-cavallo, tutto muscolo e nitriti eccitati: lei, in piedi e che si spoglia ai piedi del cavallo, sotto lo sguardo eccitato di Pietro, di cui sente il respiro farsi ansimante e sempre più vicino. E, poi, giù, “a rotolarsi per terra”, tra “Fango, sudore e polvere da sparo” come nell’omonimo film (aggiungerei io, provando a indovinare il “gusto” e la “tendenza” che ha ispirato chi per la sceneggiatura, ha scelto proprio il mitico interprete Charley Martin, come idolo della coppia che infatti lo cita). La “polvere”, nella quale rotolarsi, profeticamente diventa, ora, veramente “esplosiva” per questa coppia che se non spara fuochi…d’artificio ad effetto, è veramente brava a mettere il terzo tra fuochi …incrociati.
4.A proposito di fuochi…, allora, davvero “interessante” (qui ha ragione Mari… che però viene subito bacchettato) èl’uso che ognuno in questa coppia fa dell’altro partner. Azzardando un poco…, diremmo “parassitario”, l’usoPietro fa di Lea, nel tentativo di ricostruire quell’esperienza di sostegno “primitivo” al suo sé fragile e infantile; per Lea, che invece dà prova di fare uso delle “fantasie”, come contrappunto agli agiti di Pietro, potremmo dire che rinunci a sviluppare delle parti dipendenti di sé, di cui invece più facilmente si sbarazza (mostrandosi così baldanzosa), sparandole come proiettili (proiettando, per gli addetti) proprio dentro Pietro.
5.Coppia per modo di dire, quindi. I due sono sempre stati in tre, prima con Giacomo e poi, con il figlio che incominciano ad “aspettare” subito, già dopo un mese dal primoMattia diventa il figlio in “sovrappeso”, se non addirittura “obeso”, da subito gravato da quanto Pietro e Lea in lui scaricano. Bambino “spazzatura”, che ha ormai raccolto in 11 anni 44 Kg di “rifiuti”, quelli dei suoi genitori e forse anche di una nonna che lo iper-nutre, proprio come deve aver fatto con Lea, che è stata per sua obbligata ammissione di adesso, “bambina grassa”. Nel tentativo di una ricognizione per una raccolta differenziata che restituisca a ognuno ciò che gli spetta, quali rifiuti già identifichiamo? Dai “geni paterni” discende il “Mattia che picchia gli altri bambini”. Dai geni materni“il Mattia ciccione”, e quindi “dipendente”.
6.La costruzione relazionale che questa coppia ha realizzato, poco o nulla si è modificata negli anni, come ben avrebbe dovuto in quello che sarebbe dovuto essere il fisiologico sviluppo di una coppia che ci tenga a mantenere viva la propria vita amorosa. L’illusione condivisa, vera necessità vitale per ogni coppia che voglia mantenersi in piedi, uscita fuori dalla iniziale fase dell’innamoramento, è per Pietro e Lea malamente vacillata e non a caso, proprio col fallimento del progetto di un secondo figlio. Lea e Pietro che, per un anno erano riusciti a mettersi “in attesa” di un’altra “attesa”, nel gran da fare che necessita una fecondazione assistita erano riusciti a mantenersi in una sorta di sospensione, animata dalla comune illusione di sentirsi vivi e “creativi”. Disillusi dopo un anno di tentativi andati a vuoto, avevano ripiegato, ognuno in proprio, su progetti più privati (musica lui, lavoro lei). L’inattesa seconda gravidanza, mettendo per la seconda volta in crisi la loro infallibilità di coppia, li costringe a fare una marcia indietro, che dovrebbe prevedere delicate operazioni di ridefinizione dei confini individuali, oltre che un nuovo contratto di coppia. Insomma, … un nuovo matrimonio. In più, nella condizione di non poter avviare nessuna nuova progettualità comune, coniugale e anche genitoriale, ecco spalancarsi davanti a Lea e Pietro il vuoto, che allontanerà sempre più il desiderio dalla realtà. La sempre più aspra inconciliabilità tra i bisogni reciproci della coppia e tra quelli emergenti e quelli sommersi in ognuno di loro, contribuisce a far riemergere dal “familiare”, proprio quell’“estraneo”, che l’“amour fou” tra Pietro e Lea aveva affondato.
7. Lea incomincia allora a sostenere di meno le illusioni di Pietro, che leaveva infatti inizialmente affidato (sin dal primo momento di contrattazione sotterranea e fondativa della loro coppia. Pietro aveva, da subito, messo a disposizione di Lea i suoi “pezzi” più privati (pezzi musicali ed ambizioni artistiche), quelli veramente più“suoi” (da sempre custoditi al chiuso della “sua” soffitta, all’interno di un maneggio d’altri, mai veramente sentito “suo” ). In più, sembra che Lea ora restituisca a Pietro anche qualche pezzo in più della propria realtà (“IO rivoglio la mia vita”) che non corrisponde più alla fantasia interna che Pietro aveva di lei. Pietro, a corto ormai di fantasie da offrire a Lea in vista di una nuova possibile condivisione, punta tutto sulla nuova gravidanza, vivendo persecutoriamente quella realtà che Lea ha già incominciato a non condividere più con lui. Gli aspetti prima accettati e idealizzati dell’altro finiscono coll’essere disprezzati e rifiutati da ognuno.
8.La veritàè che Lea non tollera più il “bambino” che è in Pietro che continua a puntare solo al suo seno e al possesso del suo corpo. La fantasia che attribuiamo a Pietro è quella di entrare nel corpo di Lea per controllarla dal di dentro e impadronirsi della sua creatività, a partire dalla scena (che abbiamo sbirciato attraverso la porta a vetri dello studio) di imprevisto amoreggiamento tra i due, inaspettatamente riconciliatisi, poco prima di entrare in seconda seduta.
9. “Ho bisogno di farla finita”: la dichiarazione mozzafiato di Lea, che si rivela finalmente in tutta la sua disperazione, rientra subito dopo in un più confinato proponimento “Voglio il divorzio”. Questo è l’aiuto che Lea ancora, da qualche parte, si aspetta da Pietro che, dal canto suo, pur volendo, proprio non può accettare questa che vogliamo leggere come una nuova proposta di “matrimonio”.
10. “Non mi lasciare”, “Non so nemmeno addormentarmi senza di te” : così Pietro che a singhiozzi la supplica, mentre si accascia esausto sul divano, proprio lì dove era “finita” la macchia di sangue. E lui, a sua volta “sfinito”, finisce inaspettatamente proprio sul luogo del “delitto”, luogo in cui sono stati agiti gli impulsi più distruttivi di entrambi. Ma anche luogo così prossimo a quell’altro (il corpo di Lea), tanto agognato, quanto irraggiungibile luogo, destinato ad essere mai veramente posseduto.
E’ proprio Pietro, allora, il bambino che si è sentito minacciato di morte, il bambino che Lea voleva uccidere (“Tu vuoi uccidere il mio bambino”). E’ proprio lì, in assenza di traccia, che Pietro scopre che è lui l’aborto vivente, il “fallito” nella vita. Del cow-boy sexy non gli ritorna indietro da parte di Lea nulla se non gli stivali, ormai patetici e sporchi di sterco, pezzi di una cruda realtà che non va più taciuta.
E’ forse lui, per caso anche il bambino kleiniano, quello che nella fantasia guarda invidioso quei “ bambini nella pancia della mamma”?
Mentre ritroviamo il nostro orizzonte di attesa, ci domandiamo se potrà mai Anna, oracolo desiderato e temuto, offrire a Mari almeno un oroscopo…
28 aprile 2013