Il punto di vista di Giovanni
Luca Nicoli
“Non so cosa dire. Ho bisogno di pensarci”.
In questa disarmante conclusione di Anna, sul finire della puntata, sta l’unico istante di psicoanalisi dell’incontro odierno.
Riprendendo una felice definizione: un analista è una persona che continua a pensare anche quando la situazione si fa difficile.
Giovanni, in questa sera che sa molto di chiacchierata tra amici, fa di tutto pur di non pensare: si porta il pesce, beve continuamente, lusinga Anna, chiacchiera a proposito di un’amica, parla di sé e dei pazienti senza soffermarsi su nessuno, si dibatte tra i suoi sentimenti, duella con la maestra di un tempo. Non ci sono limiti, come lui stesso rivendica orgogliosamente, e in questo turbinìo di parole e azioni anche Anna finisce per perdere il suo ruolo, diventando amica, maestrina, vittima.
L’enorme fraintendimento che domina lo stato eccitato di Giovanni è che le emozioni non sono vere se non vengono vissute d’impulso, con i pazienti come con Anna.
L’impulsività di Giovanni gli serve per sentirsi vivo e difendersi dal prendere coscienza della sua crisi di identità personale: come un adolescente, è convinto che “vivere senza limiti” diventi un antidoto contro la crisi che sta attraversando.
Se un analista deve sottoporsi ad anni di analisi prima di cimentarsi nel suo lavoro è anche per evitare di servirsi dei pazienti, senza limiti, per soddisfare i propri bisogni di sentirsi buono, necessario, gratificato: “Mi fa sentire importante!”, esclama Giovanni.
Qualsiasi buon collega, ascoltando il dottor Mari, gli suggerirebbe una nuova tranche di terapia, in cui poter esplorare i propri bisogni e le proprie frustrazioni in un luogo adatto, piuttosto che vederlo così a rischio di perdere i propri confini personali e professionali.
Giovanni ha perso la capacità di considerare le sedute per quello che sono, ovvero storie, racconti simbolici frutto dell’incontro creativo di due menti in una stanza. Preso dalla realtà concreta delle richieste che gli vengono poste, si dibatte tra la protesta contro i “bastardi” che importunano Alice e il disperato corteggiamento di Sara.
Come si può consentire ad Alice di riconoscere i suoi “bastardi” interni, o a Sara di comprendere la natura della sua fame di affetto, se si tratta ogni elemento del racconto come un dato concreto?
Il dottor Mari, per quanto ritroso, deve porre un limite all’impulsività, perché solo un certo grado di frustrazione consente lo sviluppo del pensiero e la nascita della domanda.
Anche le Sue parole, dottoressa Anna, sono azioni, che eccitano o criticano Giovanni, ma non lo fanno sentire compreso e autenticamente ascoltato: non lo aiutano a conoscere se stesso. Gettare addosso interpretazioni e regole lo fanno sentire “castrato”, e lo spingeranno ancor di più a cercare conforto nei suoi pazienti, che sono gli unici a farlo sentire “importante”.
Per fortuna, al termine del “match” tra i due colleghi, la dichiarazione di amore di Giovanni coglie Anna sprovveduta, senza parole, e quindi senza risposte precostituite con cui continuare a stimolare il nostro povero terapeuta. Questo limite le fa ritrovare la propria identità di analista: “ho bisogno di pensarci”.
Ci penseranno in due.
27 aprile 2013