Giovanni Foresti
Rinuncio come nel precedente commento alla linearità di un discorso unico e coerente. Per capire la turbolenza di questi dialoghi senza far troppo torto alla complessità delle storie che descrivono, cerco di studiare il racconto da diverse prospettive.
1) Un paziente mi ha spiegato come si costruisce l’interesse dello spettatore. L’effetto prodotto da In Treatment, mi dice, è il risultato di un ben combinato insieme di fattori. Innanzitutto è importante la brevità del racconto e la scelta della fascia oraria. Poi c’è l’abitudine che diventa quotidiana regolarità. La puntualità della somministrazione e la ricchezza emotiva dell’esperienza si costituiscono come uno schema stabile. Ogni episodio suscita affetti, passioni. “Per questo si diventa dipendenti” – commenta il paziente.
Stimolato da queste osservazioni, cerco di resistere agli effetti di risucchio (immersione senza distacco critico: identificazione senza disidentificazione) e faccio a mia volta dei commenti che suppongo pertinenti. Ogni singolo episodio va in onda con un intelligente apparato di premesse e paratesti. Oltre a una ripresentazione dell’intera serie, c’è un riassunto delle puntate precedenti che è stato organizzato per flash mnestici folgoranti: brevissimi brani tratti dai colloqui precedenti aiutano lo spettatore a rientrare in scena perché riproducono le modalità di ritorno alla coscienza dei ricordi più traumatici (sequenze sconnesse di immagini e brani isolati di discorsi). E’ come se gli sceneggiatori e il regista sapessero molto bene che l’esperienza emotiva va rievocata per frammenti, indirettamente, e successivamente riproposta in dose adeguata. Gli Autori della serie tengono conto che il file dove sono state immagazzinate le precedenti memorie, va prima trovato, poi riaperto e infine rifornito con nuove immagini e altri racconti. La brevità del nuovo episodio entra così in risonanza con le esperienze precedenti e ciò consente di ottenere varietà d’emozioni e continuità d’effetto.
2) “Finalmente siamo sulla stessa lunghezza d’onda” – dice Dario a un certo punto del quarto incontro. E per un po’ sembra infatti che il dialogo procederà diversamente dalle sedute precedenti, descrivendo gli stati d’animo più recenti e le esperienze che li hanno prodotti e riprodotti.
Dopo il racconto di una mattinata trascorsa negli uffici dell’arma (uffici in cui si sente giudicato severamente dai suoi colleghi perché troppo simile alle persone cui stanno dando la caccia), Dario sembra però reagire al malumore che lo tormenta e cambia registro. All’improvviso vuol raccontare cosa è successo durante il week end, e in particolare vuole dire a Giovanni cosa è accaduto la sera in cui si è incontrato con Sara. A partire da quest’interruzione della linea narrativa, la conversazione diventa più vivace e riprende lo stile d’interazione degli episodi precedenti.
In un modo non previsto dal significato più immediato dell’espressione (‘essere-sulla-stessa- lunghezza-d’onda’), il carabiniere viene descritto mentre sta davvero cercando, senza saperlo, di creare una certa sintonia col terapeuta. Gli sceneggiatori descrivono con bravura, un processo d’interazione emotiva che si sviluppa all’insegna dell’enactment. Dario pare aver bisogno che le emozioni vengano prima messe in scena (enacted) con teatrale drammaticità. Solo dopo, quando e se ci riusciranno (vedremo… ), Dario e Giovanni potranno cercare di capirle.
Invece di descrivere la sua rabbia con parole che teme siano vane, Dario cerca di far provare a Giovanni un insieme di sentimenti simili a quelli che prova lui.
3) Attaccato da due pazienti che agiscono contro di lui contemporaneamente, il Dott. Mari cerca di cavarsela meglio che può. Per mostrare la sua tollerante benevolenza, cerca di tenere il passo con il sostenuto ritmo di scambi che gli sono imposti e propone molte interpretazioni che vanno in numerose direzioni.
Dario scansa con facilità le ipotesi del terapeuta e ironizza sul senso dell’operazione che gli viene troppo spesso riproposta: indagini sul significato nascosto della parole, le chiama. E quando il Dott. Mari decide di giocare in controtempo e di muoversi in anticipo, lo sfotte: “ah, è partito in quarta oggi” – gli dice.
Non tutto ciò che ascolta è ritenuto inadeguato. Lo convince per esempio l’idea che le sue due identità professionali siano in conflitto. Ma poi non se ne serve davvero e non ci pensa abbastanza. Preferisce buttarsi a capofitto nelle emozioni scatenate dall’agito di questa settimana. È molto eccitante stabilire una relazione con una paziente del proprio terapeuta e quando si è con lui, raccontargli ciò che è accaduto alle sue spalle. “Allora, le due versioni corrispondono?”
Lo provoca: questo è evidente.
Il problema posto allo spettatore è però nascosto sotto la superficie dell’evidenza: cosa vuole veramente Dario da Giovanni? E cosa cercherà di fare Giovanni per prendersi cura di lui?
25 aprile 2013