Luca Caldironi
Se nelle sedute precedenti, il dottor Mari, dopo la comunicazione deus ex machina di Sara del proprio amore, aveva potuto, con difficoltà ed a volte goffa-mente, mantenere una sua posizione, in questa terza seduta egli scivola da tutte le parti, nella sola attesa di un ‘gong’ che ponga fine all’incontro. La scena si apre con il dottore sdraiato sul divano, che sia questo un indiretto invito da parte del regista ‘inconscio’ a meglio approfondire le sue dinamiche più profonde … Comunque sia, questo invito non viene colto ed il dottor Mari rimane in uno stato di parziale confusione. Dopo il tentativo di ripresa dell’assetto abitativo-analitico, lo vediamo ora vestito e in attesa della sua paziente, Sara, che con in ritardo di circa mezz’ora intrude nella stanza. Appare molto scossa, ma non così tanto da non poter cogliere, mentre il dottore svolge ormai con una certa sapienza l’arte del barman, un indizio nel divano del suo terapeuta. Una cintura da uomo, non si sa come finita lì, ritrovamento che dà a Sara una discreta soddisfazione ed al dottore un manifesto imbarazzo. La stanza di analisi diviene via via un luogo dove i confini tra vita privata e terapia appaiono sempre più sfumati. Mari non la lascia quasi iniziare a parlare, incalzandola sul ritardo e di come non lo abbia neppure avvisato … A parte che non si sa perché un paziente dovrebbe necessariamente avvisare il proprio terapeuta se è in ritardo, quello che colpisce in questo incalzare è il tono di rimprovero, che assomiglia di più a quello di un genitore preoccupato-offeso-geloso, piuttosto che a quello di un terapeuta. Ma poi il dottore tenta di rimettersi in assetto e finalmente lascia che la sua paziente gli parli. Si tratta di una storia di un incidente stradale, dove un cane che si trovava sulla tangenziale viene investito a più riprese da una macchina, poi da un camion … e gli occhi del dottor Mari, che ora è sempre più Giovanni e meno Mari, diventano poco a poco sempre più inespressivi. E’ bravo qui Castellitto (bisogna pur sempre ricordare che di una fiction si tratta) a darci quel senso di opacità che ha lo sguardo di chi è più assorbito da proprie problematiche interne piuttosto che libero di vedere, sentire e capire che cosa sta accadendo davanti a lui. Come una sorta di automobilista che faccia fatica a distinguere se la strada è quella che vede davanti a sé o quella proiettata dallo specchietto retrovisore. Da una parte sembra comprendere quanto la relazione con la sua paziente sia complessa e in parte compromessa. Di quanto si sia annullata la fisiologica asimmetria della relazione terapeutica e con essa la possibilità del lavoro analitico. Dall’altra insiste in forzate interpretazioni e ipotesi di … terminare la terapia … apparendo come imprigionato nella sua capacità di pensare liberamente. Cosa che gli rende difficile applicare, procedendo anche per tentativi successivi, una condotta terapeutica che sia la più efficace per questo tipo di paziente. Ma, infatti, Sara è sempre meno paziente, è diventata sempre più un rapporto di ‘io’ e ‘tu’, lasciando così che un regime di identificazioni proiettive si impossessi del campo analitico. Sappiamo quanto si debba dare la massima attenzione a quel fenomeno che chiamiamo identificazione proiettiva, attraverso il quale il paziente inconsciamente proietta sull’analista parti di sé o propri impulsi. Il dottore non sembra accorgersi di questo, non riesce a osservare abbastanza il proprio comportamento, cosa che fungerebbe da cartina di tornasole sull’andamento della terapia. Sappiamo, inoltre, quanto i pazienti borderline ad alto funzionamento dell’Io siano tra i più difficili da trattare. Sara ne è un esempio, con la sua disastrosa capacità manipolativa, di falsificazione e autoinganno masochistico, soprattutto nel rapporto con gli uomini. Sara ha inoltre, proprio grazie alla acutissima sensibilità che spesso contraddistingue questi pazienti, una sorprendente perspicacia ed un alto livello di intuizione, riuscendo a cogliere ogni sfumatura ed espressione del suo terapeuta che denunci fragilità, difficoltà personali, scivolamenti emotivi … “ … quel No non era No …” … Si viene così a determinare una situazione in cui il racconto dell’investimento del cane può essere letto in due modi completamente diversi. Può essere, sì, come dice il dottore, il modo in cui deve essersi sentita Sara dopo il ‘no’ della seduta precedente (evocativo di ferite dolorose e traumi pregressi); ma, può anche rappresentare la drammatizzazione di quello che in quel momento sta avvenendo nella coppia analista-paziente in seduta. In quel preciso momento qualcuno è ‘investito’ a più riprese, sbattuto da una parte all’altra, colto di sorpresa su una strada (terapeutica) dove non doveva esserci, come il cane sulla tangenziale. Ci si è trovato senza capire né cosa stava accadendo, né, a maggior ragione, dove stava andando. Nel dialogo c’è un eccesso di ‘io’ e ‘tu’, un dialogo più simile a quello di due confidenti, amanti, che si rimproverano reciprocamente. Quando il dottore interpreta alcune affermazioni della paziente come giudizi negativi sulla terapia e quando fa altresì presente che si sono create condizioni che rendono difficile il proseguire il lavoro assieme, Sara, con una brillante inversione a U, fa comparire Andrea, il futuro marito … Andrea non ha paura di urlare al mondo che mi ama … Espressione alla quale Giovanni non trova di meglio che rispondere … e se lo facessi anch’io … ! Da qui nasce una scenetta gustosa, romantica e ammiccante allo stesso tempo di un fantomatico … matrimonio a Las Vegas … dove se non altro che per il luogo ed il carattere dei partecipanti, sembra ben rappresentare la falsificazione e la mistificazione che è in atto. Andrea lo ha detto al mondo ma lei no, soprattutto non lo ha detto a suo padre. Qui il dottore riesce a cogliere qualcosa, si riassetta un attimo. E’ vero, dirlo al padre ha tutto un altro valore per Sara, e non è ovviamente vero che non ha avuto il tempo, quanto piuttosto che non è il tempo per … Ma ancora una volta Sara, o meglio, quella sua parte patologica ed acuta assieme, ha la meglio. Ributta la palla al suo terapeuta … sono la prima che ti capita così … saprai come fare … ma l ‘analista si trova ad operare in un campo in cui è sempre fuori tiro. Perché è un campo a due dimensioni, manca la terza, quella dove si gioca la parte più profonda della partita, la dimensione dell’inconscio. L’impossibilità di accedere a questa area, che prevede il muoversi come sul filo di un rasoio tra realtà simbolica del transfert e realtà agita, non consente che l’elevata quota di tensione emotiva possa trasformarsi in uno sviluppo maturativo ed evolutivo declinato nel lavoro terapeutico. E a nulla servirà il continuo richiamo del dottor Mari all’apparato teorico della clinica analitica perché come ci ricorda Gabbard “nessuna teoria potrà isolare il terapeuta dagli affetti tumultuosi vissuti da entrambi i partners della diade terapeutica”. L’episodio termina con Sara che, uscendo dallo studio, al termine della seduta incontra accidentalmente Dario, il paziente del martedì. I confini sono ancora più labili ed un paziente del giorno successivo, una specie di episodio ancora a venire collude con quello di Sara. Il martedì si sovrappone per un attimo al lunedì, l’ordine delle cose, gli spazi e i tempi si con-fondono. Basta un attimo e Sara ‘naturalmente’ seduce Dario che di impeto ci sta a farsi sedurre. Si incamminano sulla stessa strada … ti do un passaggio … vado anche io di là … e questo introduce nella situazione un altro vertice, non più Giovanni e Sara o Giovanni e Dario, ma Giovanni-Sara-Dario. Una triangolazione potente e altamente pericolosa … ‘tertium non datur’ … staremo a vedere!
17 aprile 2013