Autore: Elisabetta Marchiori, Angelo Moroni
Titolo: “The Serpent”
Dati sulla serie: sceneggiatura di Richard Warlow e Toby Finlay, regia di Tom Shankland e Hans Herbots, 8 episodi, 2021. Netflix.
Genere: thriller, drammatico
“The Serpent” è una miniserie di otto episodi che irretisce e inquieta lo spettatore con la storia vera di Charles Sobhraj (Tahar Rahim), truffatore senza scrupoli e feroce serial killer francese di origini asiatiche, che negli anni ’70 ha depredato e ucciso un numero imprecisato di giovani hippy occidentali alla ricerca di se stessi lungo le rotte mistiche dell’Oriente.
Sotto le spoglie di un commerciante di pietre preziose e con il falso nome di Alain Gautier, grazie alla sua identità ibrida e alle sue doti seduttive, Sobhraj da un lato riesce a muoversi con disinvoltura nelle realtà locali, stringendo amicizie e corrompendo le autorità, dall’altro riesce ad accaparrarsi la fiducia dei giovani sprovveduti cui offre il proprio aiuto. Sono suoi complici l’amante, l’avvenente ed elegante Marie – che, da giovane canadese innocente, si trasforma nella crudele Monique (Jenna Coleman) – e Ajay (Amesh Edireweera), un ragazzo indiano senza scrupoli che conduce le vittime alle feste dove verranno sequestrate, per poi essere avvelenate, torturate e barbaramente uccise. Entrambi sono completamente assoggettati al fascino perverso di Sobhraj, che si infiltra nelle falle della loro identità incerta e ne fa emergere subdolamente i loro lati più oscuri. In una sorta di gioco di specchi e passaggi inconsci, anche quello che è il suo antagonista, il giovane funzionario dell’Ambasciata olandese Herman Knippenberg (Billy Howle) – che ha contribuito alla scrittura della sceneggiatura – dal momento in cui si imbatte nella serie di misteriosi delitti, si trasforma, a poco a poco, da mite burocrate a detective determinato a trovare e a incastrare l’assassino. Anch’egli sembra venire risucchiato da una sorta di incantamento, e arriva a giocarsi la carriera e la relazione con la moglie, tanto ne diventa ossessionato.
Le performance attoriali rendono in modo convincente il potere della personalità del protagonista nel manipolare, infiltrare e colonizzare con subdola violenza la mente dell’altro, di cui sa cogliere le fragilità e utilizzarle a proprio esclusivo vantaggio, facendo loro credere di essere persone uniche, speciali, a lui indispensabili, che lega con il ricatto e l’illusione di una sorta di onnipotenza. Ne azzera la volontà di opporsi e li induce a soffocare il senso di colpa, asservendoli completamente alla sua volontà.
Uno straordinario lavoro sul montaggio ricostruisce la sanguinosa parabola di Sobhraj attraverso tagli di pellicola che potremmo definire “ad intarsi temporali”. L’uso continuo, spiazzante e sorprendente di flashforward e flashback, ossessivamente alternati, fanno scivolare volutamente lo spettatore avanti e indietro di anni, generando un senso di suspense e di pathos narrativo molto potenti. Questa frammentazione pare riflettere quella del mondo interno dei protagonisti, creando nella mente dello spettatore un effetto di spiazzamento e di confusione, e mettendo in luce la crisi di identità che ciascuno di loro, in modo diverso, si trova a vivere.
Notevolmente accurata e particolareggiata anche la ricostruzione storica della Bangkok anni ‘70, nonché il clima hippy che si respirava in quella parte del mondo in quegli anni, dove era possibile sostituire la foto-tessera su un passaporto per assumere l’identità di un’altra persona, in cui si usavano i travel-cheques e i telefoni erano a gettoni, ci si poteva perdere facilmente e altrettanto facilmente si poteva far perdere le proprie tracce.
Maestro del travestimento e della falsificazione, con la sua scaltrezza Sobhraj è sfuggito in diverse occasioni alla cattura, prima di essere condannato e carcerato in India dal 1976 al 1997. Dopo il suo rilascio, nel 2003 è tornato poi in Nepal nel 2003, dove è stato nuovamente arrestato, processato e condannato all’ergastolo, che sta ancora scontando.
Descritto dal giornalista Andrew Antony (https://www.gq-magazine.co.uk/article/charles-sobhraj-serial-killer-interview) sulla rivista GQ come “bello, affascinante e assolutamente senza scrupoli”, ha usato il suo aspetto fascinoso e la sua astuzia per far avanzare la sua carriera criminale e ottenere uno status di celebrità. Ha goduto della sua infamia, facendosi pagare grandi somme per interviste e diritti cinematografici: è stato infatti il soggetto di quattro biografie e protagonista, oltre che di questa serie, di tre documentari e del film “Main Aur Charles” del regista indiano Prawaal Raman (2015).
I registi Tom Shankland e Hans Herbots fanno capire, negli ultimi episodi, che Sobhraj, nato da un padre indiano e da una madre asiatica, e vissuto a Parigi subendo discriminazioni per lui intollerabili, abbia agito spinto da un odio profondo e da una inesauribile sete di vendetta contro “l’uomo bianco”, determinato a ottenere quanto sentiva come espropriato da sé da parte dell’altro: denaro, potere, status sociale, notorietà.
I due registi sembrano voler evidenziare una sorta di ricorsività temporale, quindi anche oggi attuale, delle spinte distruttive presenti nella società umana. È soprattutto l’alleanza maligna tra denaro, narcisismo patologico e potere (politico, sociale, relazionale) ad essere sottolineata a chiare lettere in “The Serpent”. Un’alleanza perversa che in fondo è senza tempo. In particolare il regista inglese Tom Shankland approfondisce qui tematiche thriller-horror che ha magistralmente declinato nel corso della sua parabola artistica (vedi in particolare in suo innovativo horror movie “The Children”, 2008). Notevole da parte di Shankland la capacità di far toccare con mano allo spettatore il senso di impensabile ”orrore” che può abitare l’umano. Un tocco registico e una sensibilità estetico-perturbante di marca decisamente anglosassone, che ricorda ad esempio la poetica letteraria del primo Ian McEwan (vedi “Il giardino di cemento”, 1978, e soprattutto “Cortesie per gli ospiti”, 1981).
Maggio 2021