di Paolo Sorrentino, Italia, Francia, Svizzera, Gran Bretagna, 2015, 118 min.
Commento di Angelo Macchia
Non sono un esperto di cinema.
Giudico un film secondo un criterio semplice: apprezzo i film che mi procurano emozioni.
Questo film mi ha emozionato in modo sorprendente e mi ha turbato, dunque devo scriverne.
D’altra parte la questione dell’emozione gioca un ruolo centrale nella poetica del film (e dei film) di Sorrentino:
Fred: L’emozione è sopravvalutata.
Mick: No, l’emozione è tutto ciò che abbiamo.
Qui sto con Mick, uno dei due protagonisti della storia, insieme a Fred.
Un regista e un musicista, entrambi in crisi.
La storia si svolge in un lussuoso albergo tra le montagne svizzere, ma non solo di un albergo si tratta. Esso è stato il sanatorio per la cura delle tubercolosi in cui Mann ambientò “La montagna incantata”.
Un albergo popolato da medici, infermiere, fisioterapisti e dietiste più che da camerieri, chef e maitre.
Uno dei vertici possibili è dunque quello di un percorso di cura dei due protagonisti. Accomunati da un dolore e da problemi alla prostata, andranno incontro a destini diversi: una cura riuscita per Fred, una non riuscita per Mick.
D’altra parte Sorrentino parla spesso di dolore, forse anche perchè segnato dalla morte precoce dei suoi genitori.
– Non ricordo più come erano i miei genitori, dice Fred.
E’ uno dei segni del tempo che passa, della caducità, quello dello struggente sfuggire dei ricordi delle persone care che non ci sono più.
Ma ora vorrei partire dalla fine, dai titoli di coda e dalla canzone che li accompagna Just (after Song of Songs), ispirata all’autore David Lang dal Cantico del Cantici:
“Una cosa che mi ha sempre colpito di questo testo biblico è che l’uomo e la donna nel Cantico dei cantici hanno attributi fisici, notano aspetti dell’uno e dell’altra, possiedono cose, hanno caratteristiche che li rendono desiderabili. In una relazione d’amore tra due persone questo non sorprende, ma nell’amore tra l’uomo e Dio, tuttavia, questo può significare che in queste parole vi siano degli indizi della natura degli attributi di Dio stesso e una testimonianza di come essi possano rivelarsi attraenti per noi.” (David Lang, 2015)
Ho visto il film da un versante somatopsichico, omerico, pre-platonico. Per Omero la parola ‘soma’ indica solo il corpo esanime, il cadavere. Il corpo in sé è un corpo senza vita. Il corpo vivente viene invece espresso solo in riferimento all’aspetto e alla funzione per cui lo si chiama in causa. «Omero parla di agili gambe, di mobili ginocchia, di forti braccia, poiché queste membra rappresentano per lui una cosa viva, ciò che colpisce l’occhio» (Snell B. 1946, 28). Qui l’organo corporeo non è una cosa bensì espressione di una funzione il cui senso emerge nell’azione del corpo. Il corpo sa ciò che le parole non sanno (ancora) dire.
D’altronde nel linguaggio possono farsi parola tanto la cosa più pura e nascosta quanto quella più torbida e comune. “La parola come parola non offre garanzia immediata di essere una parola essenziale e non un’illusione” (Fusini, 2015). Ciò vale per tutte le parole, comprese queste che scrivo.
“Sinfonia di Corpi, Musica, Poche Parole”, è il mio personale sottotitolo al film.
“just your mouth /just your name /just you are shameless /just your flock/just your cheek /just your neck”
Seni cadenti, prostate ipertrofiche e reticenti, uomini e donne muti eppure amanti appassionati, occhi nell’infinito o nel vuoto o piangenti, bocche cantanti, teste danzanti, mani musiciste, corpi volanti o dementi o immersi nel calore o nell’acqua, lenti. Miss Universo, Maradona, un finto e tragicomico Hitler, l’attor giovane e la massaggiatrice danzante.
“just your eyes/just your cheeks/just your lips/ just your arms/ just your body/ just your legs/ just your speech/ and my beloved/ and my friend/ just your beloved”
Corpi che raccontano due vite bloccate. Un regista che non può finire un film, perchè ne morirebbe, visto che è il suo testamento. Egli attende l’arrivo della sua amata musa-attrice per completare l’opera, ma lei lo metterà di fronte al suo fallimento. He’s not beloved. Egli è già morto prima del volo dal balcone.
“just your face/ just your voice /just your voice/just your face/our vineyards/ and my beloved”
Un musicista non dirige più se non in fantasia e non è disposto a farlo neppure se a chiederlo è la Regina d’Inghilterra. Solo quando riuscirà a parlare del suo dolore in presenza della figlia, i ghiacci si scioglieranno; nel rapporto con la figlia e con se stesso. Il dolore ha bisogno di un testimone. Egli ritrova il desiderio. He’s beloved. La terapia funziona.
– Se devo scegliere tra orrore e desiderio, scelgo il desiderio
Fred ora torna a casa, torna al desiderio, torna a incontrare il suo amore, la moglie malata. Torna alla musica, alla Canzone semplice che lo ha reso celebre
“just your eyes/ just your nose/ just your head/ just your breasts/ just your breath/ just your kisses/ and my beloved/ just your desire/ and my beloved”
La scena finale del film incrocia la bocca della cantante nella stessa forma della bocca della moglie demente. Forme simili, espressioni diverse.
Si può essere morti da vivi o morire vivi. Winnicott sperava di morire da vivo e c’è riuscito.
In fondo è questo che mi ha emozionato del film: superati con apparente slancio i cinquanta, mi chiedo ora quanto resta della mia strada e se riuscirò a percorrerla da vivo. Le emozioni, come le Canzoni, sono semplici.
Luglio 2015
Bibliografia
Fusini N. (2015) Un’altra capacità, negativa.Rivista di Psicoanalisi, 1.2015
Snell B. (1946) La cultura greca e le origini del pensiero occidentale. Einaudi, Torino, 1963.