Cultura e Società

“Vermiglio” di M. Delpero. Recensione di A. Falci

14/10/24
"Vermiglio" di M. Delpero. Recensione di A. Falci

Parole chiave: lutto, maternità, mirroring, antropologia

Autore: Amedeo Falci

Titolo: “Vermiglio”

Dati sul film: Regia di Maura Delpero, Italia, 2024, 119′

Genere: drammatico, storico

DUE LUTTI

Straordinaria prova di maturità cinematografica, dopo una breve esperienza documentaristica e filmica, per Maura Delpero, sceneggiatrice e regista di origine altoatesina, con una sua formazione professionale internazionale. Vermiglio e la sua autrice appartengono ad un genere di cinema italiano fuori dai grandi circuiti commerciali e dalle loro vaste platee. Un cinema indipendente e in genere di relativo basso budget, attento a particolari realtà culturali e sociali, e a intimi ritratti personali e familiari. Ricorderei per brevità, tra gli altri, il cinema di Silvano Agosti (documentari, cortometraggi e lungometraggi), di Alina Marazzi (Un’ora sola ti vorrei, 2002), di Michelangelo Frammartino (Le quattro volte, 2010; Il buco, 2021), di Giorgio Diritti (Il vento fa il suo giro, 2005; L’uomo che verrà, 2009).

Opera rigorosa, questa della Delpero, palese omaggio al cinema di Ermanno Olmi, e personale debito affettivo alla morte del padre, nel desiderio di preservare la cultura dei luoghi di origine familiare, l’austero ambiente rurale della Val di Sole in Trentino.

L’eco del tema del precedente Maternal (2019) sulla maternità di ragazze adolescenti, prosegue qui, in Vermiglio, nell’attenzione alla crescita delle tre figlie della famiglia Graziadei — che vive in una frazione del paese di Vermiglio, appunto — colte nelle loro rispettive fasi di pubertà, adolescenza e giovane maturità. All’inizio i sobri ritratti familiari e ambientali. La vita frugale e parca, i pochi letti per tanti figli, quelli sopravvissuti rispetto alle tante gravidanze, il padre maestro avanzato nella sua missione sociale — accoglie gli stranieri sbandati, insegna agli analfabeti, elevata sensibilità pedagogica — rispettoso ed enigmatico verso le figlie eppure duro verso il maschio, dedito alla famiglia eppureritirato nei suoi privatissimi interessi, onesto ed egoista, socialista eppure patriarca che esige rispetto assoluto e che detta incontrastato il destino dei figli. Se, delle figlie, la più piccola promette bene per gli studi, quella adolescente è colta nelle sue umilianti espiazioni per una pulsionalità sessuale strabordante quanto ancora indefinita, è nella terza che si colloca la questione etica e culturale del film[1]. Tale questione non è tanto se si possa coltivare la memoria nostalgica della famiglia che fu, del quieto scorrere del tempo di allora, quanto piuttosto se quella cultura patriarcale totalizzante, avvolgente e dispotica, quel potere assoluto sui figli, quella naturalizzazione delle donne a produttrici di prole, quei destini di emarginazione ed isolamento inevitabili per le figlie divenute madri abbandonate, possano contenere in sé potenzialità di cambiamento.

La risposta è nel mirroring del doppio lutto di due donne – e di più non mi pare legittimo dire. Se la ragazza abbandonata, oscillante tra lutto depressivo e rancore, tra autoannullamento di sé e rifiuto del figlio, tra espulsione ed introiezione della persona amata e perduta, trova la forza di rispecchiarsi nello stesso simmetrico dolore di un’altra madre — e di quale madre! — allora appare l’autentica intenzione estetica dell’opera. Quel (piccolo) mondo antico, seppure nostalgico, evocativo e perduto, è un mondo in cui puoi solo essere inclusa/esclusa, in una vedovanza eterna, madre del figlio di quello stesso oggetto amato/espulso.

La consapevolezza intersoggettiva, direi, dello stesso identico dolore rispecchiato, quindi può salvare. E può unire, persone geograficamente e forse culturalmente distanti (vedrete), ma emozionalmente non dissimili.

Un film da vedere assolutamente, si è capito. Che merita pienamente il Gran Premio Giuria di Venezia ’24, e forse merita anche di più… Bravissimi tutti, grazia ad una direzione superba. Eccellenti i pochissimi attori professionisti, e non meno tutti gli altri presi ‘dalla vita’. Due ore! Ma nella costruzione di una emozionate costante tensione, senza un attimo di caduta o una sola scena che sembri irrilevante.  

Ottobre 2024


[1] Marco Grosoli, sett. 24,  https://www.spietati.it/vermiglio/

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