regia di Roman Polanski, Francia, Polonia, 2013, 96 min.
Commento di Claudia Spadazzi
Lo sperdimento, lo straniamento, lo stato quasi onirico dello spettatore al termine della proiezione di Venere in Pelliccia si mitiga e in qualche modo si ricompone nello scorrere, insieme ai titoli di coda, delle più significative rappresentazioni pittoriche e scultoree della dea della bellezza, da Tiziano a Botticelli, da Zampieri a Giorgione, fino alla Venere di Milo che, con una sorta di sospensione finale, conclude lo straordinario film di Roman Polanski. Lo snodo tra masochismo morale, relazione tra i sessi e perversione si articola con notevole ricchezza, in una sceneggiatura incalzante, che lascia lo spettatore senza respiro. La straordinaria performance dei due (unici) attori e la densità dei dialoghi fanno da contrappunto alla monotonia del decadente palcoscenico che rappresenta la sola ambientazione di tutto il film. Siamo sul set teatrale di un improbabile remake di Ombre Rosse, popolato di cactus artificiali, dove un regista colto e sofisticato intellettualmente cerca un’attrice in grado di interpretare in modo convincente la Wanda von Dunajew del suo adattamento teatrale, a partire dal testo di von Sacher-Masoch. Dopo numerose e sfortunate audizioni, ormai sfiduciato e stanco, il regista si lascia persuadere a un ennesimo tentativo da una prorompente ragazza coatta, tatuata e ostentatamente ignorante. Non soltanto la giovane attrice si rivela una Wanda sfrontatamente consapevole, avvincente e sofisticata, ma la piéce teatrale del famoso regista verrà rimaneggiata e stravolta da un rapporto in cui, come in sogno, è difficile distinguere cosa appartiene ad ognuno dei due personaggi e il sottile confine tra le parti interne e quelle da copione dei protagonisti e degli autori. Di qui lo straniamento dello spettatore. Il testo originale di Sacher Masoch risale al 1870 e ispirò Krafft Ebbing nel coniare il nome della perversione in cui sono implicate sofferenza, dolore e degrado. Freud elaborò il concetto di masochismo in tutta la sua opera, focalizzando tre principali vertici di osservazione: il masochismo sessuale, quello femminile e quello morale, articolandoli con il concetto di sadismo e con la loro relazione con l’evoluzione della psiche. La sceneggiatura di Polanski si fonda su tre elementi che hanno caratterizzato la lenta modifica della sessualità umana e della relazione tra i sessi nella società occidentale, e che si intersecano tra loro come storicamente si sono avvicendati. Anzitutto la rivendicazione della soggettivazione della donna, che Wanda propone in più punti del film, con una sorta di rabbia e di sfida al potere del regista che potrebbe scegliere, dirigere, ma finisce con l’essere scelto e diretto in un ribaltamento di ruoli, a tratti confuso, che risulta metafora della condizione femminile attuale. Poi il tema della perversione: mentre la decadenza della società occidentale tende a rendere consumistica anche la libertà sessuale e il concetto di perversione sessuale perde significato e si modifica insieme all’evoluzione dei costumi sessuali, tuttavia la perversione non scompare. Il sadomasochismo “morale” delle relazioni, infatti, si declina diversamente e cambia forma, ma nella clinica psicoanalitica resta sostanzialmente immutato. Infine la confusione tra i sessi e tra i ruoli sessuali: in una società che tende sempre di più all’indifferenziazione, non si sa più chi seduce e chi è sedotto, chi domina e chi è dominato, quali sono i fantasmi e quali gli organizzatori psichici e a chi appartengono. E a proposito di psicoanalisi: nel corso delle sue mutevoli trasformazioni, con piglio e occhiali improvvisamente professionali, Wanda interroga lo smarrito regista, sdraiato su lettino stranamente verosimile. La breve dissezione intrusiva e violenta della vita intima dell’improvvisato “paziente” e della sua relazione con la fidanzata avvengono in una simulazione di seduta psicoanalitica che, come il resto del film, sfuma inquietante tra sogno, realtà, finzione, desiderio e fantasia.
Maggio 2014