Parole chiave: Adolescenza, Deprivazione, Periferie
Autore: Massimo De Mari
Titolo: “Una sterminata domenica”- (“An endless sunday”)
Dati sul film: regia di Alain Parroni; Italia, Germania, Irlanda, 2023, 115 minuti – Sezione Orizzonti.
Genere: drammatico
Nelle dichiarazioni del regista, una “Una sterminata domenica”, film d’esordio presentato al Festival del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, vuole essere un tentativo di rappresentare il mondo interno degli adolescenti, la difficile ricerca di un senso dell’esistenza, le paure e i conflitti che sorgono nel loro rapporto con la realtà. Alain Parroni, romano a dispetto di un nome che evoca origini transalpine, dirige un film in cui i protagonisti sono i simbolici rappresentanti del mondo adolescenziale (tre bravissimi attori, anch’essi esordienti, che interpretano il ruolo di Alex, Brenda e Kevin) e la città di Roma, sia quella delle periferie, che richiama inevitabilmente la poetica pasoliniana, che quella del centro storico e di Piazza San Pietro, che incombe nelle immagini e nelle esortazioni del Papa all’angelus domenicale. La ricerca, dichiarata dal regista, di un linguaggio cinematografico che rappresenti il più possibile le modalità comunicative dei protagonisti si concretizza in un’alternanza di ritmo del racconto sia sul piano visivo che su quello sonoro.
Le sequenze lunghe e quasi sospese nel tempo del girovagare solitario dei ragazzi nelle periferie della città eterna si alternano al ritmo sincopato e caotico delle loro scorribande in centro, caratterizzate da piccole trasgressioni, immersioni nella folla anonima dei locali notturni o dei fedeli che si accalcano la domenica mattina sotto le finestre del Papa.
L’effetto sullo spettatore è di spiazzamento, a volte disturbante, spesso rinforzato da un effetto di forte contrasto tra il volume assordante della colonna sonora e il sussurro dei dialoghi, a volte poco comprensibili.
La trama è semplice e non sembra essere il nucleo portante del film: Alex e Brenda hanno una relazione, Brenda scopre di essere rimasta incinta e i due decidono di tenere il bambino. Il loro progetto di formare una famiglia sembra non avere modelli di riferimento genitoriali se non la figura della nonna di Brenda, sempre presente per accudire i ragazzi sul piano alimentare e su quella della prevenzione del malocchio, attraverso le antiche pratiche dell’uovo sotto il materasso o dello studio dei movimenti delle gocce d’olio nell’acqua.
Per il resto non ci è dato sapere di genitori, fratelli, percorsi scolastici o altre relazioni significative, se si eccettua il terzo personaggio, Kevin, estroverso e trasgressivo, che costituisce un tutt’uno con la coppia e darà vita all’unica svolta narrativa del film. Dopo un litigio per motivi banali con Alex, Kevin gli farà capire che forse il figlio che sta per nascere potrebbe non essere suo, vista l’intimità che caratterizza anche il suo rapporto con Brenda, nelle ore in cui Alex si assenta per seguire un’improbabile tentativo di guadagnare qualche soldo, collaborando con un allevatore del luogo.
Alex reagisce in modo disordinato e caotico, mettendo in atto una serie di comportamenti impulsivi e incoerenti: spara nel mucchio della folla in Piazza San Pietro con il fucile che gli aveva dato l’allevatore dopo che un cane aveva sbranato una pecora, si denuda di notte in una spiaggia deserta dove un autogru sta rimuovendo la postazione di un bagnino, prende la moto e corre a perdifiato finché finisce la benzina, poi trascina la moto per chilometri in una sequenza interminabile, infine la moto riparte e lui finisce la sua corsa compulsiva contro un auto nel traffico caotico del rientro in città. Si salverà e verrà soccorso da un elicottero che vola su Roma verso l’infinito.
Nello stesso momento, Kevin e Brenda, in preda al travaglio del parto, cercano di raggiungere l’ospedale ma ma sono anch’essi bloccati dal traffico e Brenda mette al mondo il figlio concepito all’interno del trio, da sola in auto, mentre Kevin cerca invano qualcuno che gli dia una mano.
I tre protagonisti sembrano privi di una base solida affettiva che abbia corrisposto ai loro bisogni a tempo debito; la nonna di Brenda riesce solo a sfamarli ma non a colmare questo vuoto che impedisce loro di costruire un desiderio.
La gravidanza, che potrebbe rappresentare tale desiderio, è vissuta come un evento esterno, casuale, che non sembra avere un effetto maturativo.
A fronte di queste considerazioni è difficile dire, da un punto di vista psicoanalitico, se le intenzioni del regista di rappresentare il disagio adolescenziale arrivino allo spettatore.
Certe sequenze, a fronte di una certa estemporaneità illogica nella trama del film, sembrano avere una caratteristica simbolica o addirittura onirica (uno dei co-produttori è nientepopodimeno che Wim Wenders) ma si fa fatica a trovare un possibile nesso interpretativo e resta prevalente un senso di irritazione che, durante la proiezione, ha portato molti spettatori ad uscire anzitempo dalla sala.
Le lunghe peregrinazioni dei tre ragazzi nella periferia romana a bordo di un’auto decapottabile in una caldissima estate, cercano di rendere la difficoltà dei protagonisti a trovare il proprio ruolo nel mondo mettendo a confronto le immagini spoglie e desertificate del mondo esterno con l’illusione della relazione con la realtà, tenuta in vita dalla tecnologia sempre presente dei cellulari.
Ma anche in questo caso la sceneggiatura fatica a rendere il disagio di esistere: siamo lontani anni luce dalla poetica di “Ragazzi di vita” di pasoliniana memoria e viene alla mente la maggiore efficacia di una scena simile in “Viaggi di nozze” di Verdone, in cui quattro personaggi fermi in un’auto decapottabile in un paesaggio surreale, si chiedono stancamente cosa possono inventarsi di nuovo per rendere eccitante la loro esistenza.
Quando uno di loro vede una stella cadente si rianima e stimola gli altri a pensare un desiderio, e dopo un silenzio significativo la risposta è…”ma che te voi desidera’…”.