Cultura e Società

“Trap” di M. Night Shyamalan. Recensione di P. Ferri

6/09/24
"Trap" di M. Night Shyamalan. Recensione di P. Ferri

Parole chiave: Distruttività, Male, Dissociazione, Angoscia

Autrice: Paola Ferri

Titolo: “Trap”

Dati sul film: regia di M. Night Shyamalan, 2024

Genere: thriller

Fornisco un primo zoom sul regista, che è anche sceneggiatore e produttore cinematografico: Shyamalan è un indiano naturalizzato americano già autore di opere famose ( “Il Sesto senso, 1999, gli valse due nomination agli Oscar): “Unbhreakable” (2000), “Signs” (2002), “The village” (2004), e altre di minore successo.

La sua filmografia è particolare: non è un semplice giallista o creatore di film di suspense, ma introduce un elemento misterioso e oscuro in riferimento alla psiche umana, che evoca terrore ma soprattutto angoscia esistenziale. Lascia nello spettatore una sensazione di smarrimento dall’inizio alla fine, facendo temere il peggio per i personaggi “buoni” e la definitiva vittoria del Male.

In “Trap” il racconto si snoda intorno a un padre e a una figlia adolescente che vanno a un concerto ( il disponibile genitore accompagna la ragazzina, mostrandosi attento e partecipe) di una cantante idolo che potrebbe essere una Taylor Swift o una Ariana Grande, apparentemente banale e diretta nella capacità comunicativa con i giovanissimi. Lì la coppia si ritrova in una spirale infernale ( con la ragazzina inconsapevole di ciò che sta accadendo), perché l’FBI sta dando la caccia a un pericoloso criminale, che sa essere presente al concerto, il quale deve elaborare un rocambolesco piano di fuga.

Non posso “fare spoiler” come si dice oggi, il finale e tutte le dinamiche in corso, per non rovinare l’effetto sorpresa ( anche se l’identità del cattivo si capisce quasi subito), ma vorrei mettere l’accento sul senso che potrebbe avere in ottica anche psicologica , questa pellicola a mio parere eccellente.

Io credo di poter dire che il senso del film sia che esiste il Male. Può sembrare banale, ma qui si intende proprio il Male in senso assoluto, non mediato dal trauma ( che pure c’è stato nella forma di una madre inadeguata), il male che seduce e attrae persino, e che ha la capacità di assumere piacevole aspetto (se vogliamo citare l’”Amleto” di Shakespeare), che obbliga a non abbassare la guardia e costringe a elaborare piani intelligenti.

Il Male, pur essendo banale, (Harendt, 1963) costringe a ingegnarsi e a diventare coraggiosi.

Come dice l’anziana profiler che coordina la ricerca del cattivo e la caccia che ne consegue, “non abbiamo a che fare con persone come noi, non c’entrano il passato o i traumi subiti, sono persone diverse da noi, questo non si deve dimenticarlo”.  C’è qualcosa che sorpassa il nesso logico tra le cose, e che forse esiste di per sé e pone un problema: perché tutta questa distruttività in una persona ( o in un gruppo o in una nazione) sola? Qual è la differenza tra i buoni e i cattivi, o meglio che cosa li rende tali? E’ sufficiente parlare di infanzia traumatica? No, non credo, come ho già detto, e come anche ci dice il film.

E soprattutto mi sembra il film mostri che il Male non finisce, trova il modo di tornare, e di farcela astutamente. Non dobbiamo credere alle storie a lieto fine, e il finale del film mostra proprio questo rischio, se si abbassa la guardia. Forse potremmo dire, in termini psicoanalitici, se non c’è possibilità di elaborazione e pensiero relativamente all’Istinto di morte (Freud, 1921).

Mi sembra anche importante segnalare la forza delle figure femminili: la cantante apparentemente banale e di facile successo, in realtà si rivela l’astuta e coraggiosa eroina del film, un angelo salvatore di bianco vestito.

Quindi anche gli apparenti sciocchi possono rivelarsi potenti, e (qui direi la naturalizzazione americana dell’autore faccia il suo gioco) le persone di successo forse sono tali per qualche merito che i più non riescono a vedere, accecati dall’invidia ma i più puri sì ( in questo caso gli adolescenti che intuiscono il valore e il messaggio dell’ icona pop).

Altra figura femminile apparentemente fragile è la madre della ragazzina, moglie del protagonista: si tratta di un personaggio altrettanto chiave e risolutore. E’ molto ingenuo sottovalutare il femminile e la potenza dell’intuito e della creatività delle donne, e questo potrebbe essere stato uno degli errori del Mostro.

La ragazzina co-protagonista (una Ariel Donoghue molto brava e spontanea nella sua performance attoriale), potrebbe essere una nostra figlia o nipote, infilata in un mondo di voci e urla per noi incomprensibili, ma in realtà attenta, appassionata e affettiva.

Ultimo cameo: Shyamalan appare un minuto nel film, per caso, come un addetto al concerto. Un’ auto citazione, una firma, una comparsa alla HItchcock: meravigliosa. Un film consigliato che ti tiene un’ora e mezzo incollati alla poltrona, come ipnotizzati : ritmo eccellente, come in un  buon concerto rock.

Riferimenti bibliografici

Freud S. (1920), Al di là del principio di piacere, O.S.F. 9.

Harendt A.(1963) La banalità del male, Milano, Feltrinelli, 1964.

Shakespeare W. (1623), La tragedia di Amleto, Principe di Danimarca, Milano, Feltrinelli, 2023.

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