Autore: Renata Rizzitelli
Titolo: “Tolo Tolo”
Dati sul film: regia di Checco Zalone (Luca Medici), Italia, 2020, 90’
Genere: Commedia
Questo film rappresenta una svolta rispetto ai quattro precedenti di Luca Medici, in arte Checco Zalone quindi, nell’accingersi alla visione della sua ultima fatica, è necessario mettersi nella disposizione d’animo più libera possibile, date anche le polemiche che ha scatenato.
“Tolo Tolo”, infatti, è diverso e, a mio avviso, andrebbe paragonato, pur con le necessarie differenziazioni, a film come “La vita è bella” di Benigni oppure “Sogni mostruosamente proibiti” di Neri Parenti con Paolo Villaggio nei panni di Paolo Coniglio.
Questa volta Zalone è anche regista del film, mentre la sceneggiatura è stata scritta in collaborazione con Paolo Virzì.
I temi rappresentati sono molto presenti nella nostra realtà sociale e sono drammatici, ma vengono proposti con inventiva e comicità, con tracce narrative certamente coraggiose e con una verve ed una lucidità impressionanti nel mettere a fuoco l’immagine dell’italiano medio, oltre che alcuni aspetti dell’inconscio sociale. Colpisce molto come questo film induca nello spettatore una forte identificazione nella fatica del dover adempiere a doveri sociali imposti da istituzioni lontane e impersonali e come colga, con umorismo e una certa furbizia, i vissuti comuni rispetto all’emigrazione e ad alcuni aspetti della vita politica del nostro paese.
Qui Checco Zalone diventa meno prevedibile rispetto alle sue pellicole precedenti, tanto da far supporre un nuovo filone della commedia all’italiana e far pensare a lui come erede di Alberto Sordi.
Il tema centrale è la fuga dall’Italia del protagonista verso l’ Africa, dove si svolge gran parte della storia, e appare collegata al precedente “Quo vado?” (2016).
L’Africa rappresenta in qualche modo la “giusta distanza” per poter inquadrare correttamente il nostro Paese, cogliendone alcuni fra i maggiori difetti in chiave ironica e comica. Senza allinearsi completamente ai filoni cardine della commedia all’italiana, si riconosce il contributo di Paolo Virzì, co-sceneggiatore del film.
L’arte di arrangiarsi regna sovrana. Il personaggio Checco è, nei vari film che si sono susseguiti, un vero e proprio “migrante”, vive più vite contemporaneamente, ma sempre dando vita a storie che, partendo da punti cardine comuni, si dipanano poi autonomamente. In “Tolo Tolo” Checco dichiara, durante un colloquio per essere assunto e trovare il posto fisso, di “essere nato per sognare” Per poter sognare, deve però andare in Africa perché in Italia non è capito, rinuncia al posto fisso e si improvvisa imprenditore sognatore, che dice alla madre – quando quest’ultima lo prega di far domanda per il reddito di cittadinanza – di essere “nato per assistere e non per essere assistito”. All’estero ci va non perché costretto, ma per evadere da una società che sente più lontana dell’Africa.
Infatti, sommerso dai debiti per il fallimento del suo ristorante di Sushi, avviato nel paese natale di Spinazzola (nelle Murge pugliesi), inseguito dai creditori e dai familiari inferociti, Checco si trasferisce in terra africana, dove lavora come cameriere e conosce Omar, un autoctono che aspira a diventare regista e ama il cinema italiano. Scoppia però la guerra, una delle tante guerre africane; nonostante ciò Checco per un po’ non vuole tornare in Italia. Nel dipanarsi della storia, si aggiungono altri personaggi quali Idjaba e il piccolo Doudou.
Il cinema di Zalone è diventato più articolato, complesso, a tratti profondo. Sembra quasi configurare una delle possibili declinazioni del Perturbante, in modo per così dire subliminale, ponendo lo spettatore di fronte a situazioni appositamente paradossali, “politicamente scorrette”, ammiccanti e spesso volutamente grevi, per infiltrare il sospetto che il trash sia molto più intrisnseco al “familiare” di quanto solitamente pensiamo.
Il film parla anche dell’Europa e delle sue contraddizioni, di ciò che pensano del nostro paese all’estero con l’introduzione di un altro personaggio, il reporter di viaggio Alexandre Lemaitre, che vuole raccontare l’Africa attraversandola con una grossa auto, aiutato da ricchi sponsor e ospitato in comodissime e lussuose location.
“Tolo Tolo” è stato definito una “commedia/road-movie schizzata”, ha dei voli improvvisi, è meno controllata rispetto ai precedenti film, realizzati con la regia di Nunziante.
La canzone di Nicola Di Bari “Vagabondo” rimarca il tema del film sulla “fuga” in Africa del protagonista. Zalone che non si ferma davanti a nulla, ci propone tantissimi filoni, non ultimo quello della nascita di “nuovi mostri”, seguendo qui la tradizione della commedia all’italiana, per esempio nel passaggio del compaesano di Spinazzola che, da disoccupato in cerca di occupazione, diventa Premier.
Zalone trasmette anche l’incanto infantile delle scoperte, come il vecchino che si mette a seguire il sushi che gira sul nastro.
I collegamenti visionari sono un vero e proprio punto di forza; l’Italia tra Firenze, Venezia e Roma con, sullo sfondo, le note di una canzone di Mino Reitano, i numeri musicali ed i momenti più intimi, nei quali Checco insegna al piccolo Doudou a nuotare.
Infine Checco ritorna in Italia insieme ai nuovi amici africani che si aggiungono lungo la storia, seguendo la speranza di trovare una nuova identità: fiscale! “Il Grande Viaggio per estinguere il debito”.
Compaiono le tragedie dei nostri tempi: le traversate del deserto, le detenzioni in Libia e le relative violenze, i barconi, i naufragi e i porti chiusi..
Lo spirito critico che anima il film, oltre che verso intolleranze e razzismi, è diretto anche verso i buonismi e le retoriche di una sinistra confusa, frammentata, supponente: al giornalista francese Bo-Bo, narcisista e superficiale, che incontra lungo il cammino, che racconta di aver visto le povertà di tutto il mondo ma mai nessuno così povero come quelli che “hanno solo i soldi”, Checco risponde con un chiaro “vaffa … ”.
La camicia di Armani, i pinocchietti Ralph Lauren, il borsello Louis Vuitton e i mocassini Prada vengono sostituiti con gli abiti da beduino, ma Checco rimane sempre quell’italiano che non vuole pagare le tasse, che ritiene un F24 più spaventoso di un F-16, e che implora e fa giurare al bambino Doudou di non pagare mai un acconto Iva. Che preferirebbe sbarcare a Portofino o a Capri, invece che a Vibo Valentia e che, perfino dei momenti più critici, non rinuncerebbe mai all’acido ialuronico della sua crema antirughe: “ABC di ogni società civile”.
Zalone declina il film anche seconda una modalità meta-cinematografica. Sono infatti presenti spunti a tratti onirici, aggiunge inoltre il musical, il modello della commedia con mattatori-mostri, ed infine l’effetto-animazione: il finale è sorprendente per l’inserimento ludico del cinema d’animazione classico. Un’inaspettata cartoon, che conduce ad un finale sarcastico e non assolutorio come forse ci si sarebbe aspettati, e che ha per di più l’effetto di riportare «indietro» la vicenda da dov’era partita.
Questo è un film che fa ridere ma fa anche soffrire perché racconta la politica e i fatti di cronaca attuali, spinosi e caldi, per esempio la tragedia dei barconi e le inutili “soluzioni”.
L’immigrazione, il razzismo, la fatica/impossibilità di essere in regola: Zalone immette nel circuito vorticoso del film, ancora una volta secondo i registri del paradossale e del Perturbante, anche la parola “fascismo”, inteso come “lato oscuro” che potrebbe essere in ognuno di noi e che diventa nel film una vera e propria ossessione mussoliniana: il fascismo viene argutamente e sarcasticamente paragonato ad una infezione, che attacca quando siamo sotto stress.
Si tratta di una nuova ma nello stesso tempo antica fotografia degli italiani, un film meno ingenuo dei precedenti, mai moralista o aggressivo o troppo volgare, ma molto più salace, che raccoglie l’eredità della commedia all’italiana e di Alberto Sordi, citato a più riprese come modello. Ritrae gli italiani senza lisciarli, ma insinuando messaggi che possano portare a pensare, ritraendoli nei loro aspetti peggiori, aiutandoli a riflettere su sé stessi. A meno che non si limitino a rispecchiarsi, e a trovare nel personaggio una conferma che così si può essere. Il rischio c’è.
Gennaio 2020