Cultura e Società

“The Animal Kingdom”di T. Cailley. Recensione di R. Valdrè

24/06/24
"The Animal Kingdom". Recensione di R. Valdrè

Parole chiave: Affetto, Natura, Trasformazione, Adolescenza

Autore: Rossella Valdrè

Titolo: “The Animal Kingdom”

Dati sul film: Regia di Thomas Cailley,  Francia, Belgio 2023, 128’

Genere: drammatico, fantastico

Un padre e un figlio adolescente affrontano un viaggio che li cambierà, diretti ad un paesino boscoso nel sud della Francia, dopo essere stati a trovare la madre ricoverata. Ma la madre, Lana, non ha una comune malattia; come alcuni altri esseri umani, ha subito una mutazione misteriosa che la sta privando di umanità, la sta trasformando in ‘bestia’, o ‘creatura’. Così questi strani esseri vengono chiamati dalla collettività. Né più del tutto umani, a volte non ancora del tutto animali, essi vagano per i boschi come spiriti solitari e allucinati, capaci ancora di guardare il mondo ma senza comunicarvi, pure presenze inquietanti, a volte violente, a volte pacifiche, profondamente misteriose.

La scienza non sa nulla di questo strano morbo, si limita a ricoverare e dare la caccia a questi individui mostruosi da cui i ‘normali’ devono difendersi, continuando le loro vite come in un mondo parallelo.

Così tentano di fare François e il figlio Émile, ma le cose andranno diversamente, per loro che hanno già perso la madre.

Non si pensi a “The Animal Kingdom”come a un film di fantascienza, o puramente fantasy, anche se una certa critica superficiale può facilmente appiattirlo in un genere. Niente di tutto questo.

Favola distopica (e forse utopica) sulla condizione umana, la diversità e la libertà, il film di Thomas Cailley si rivela invece stupendamente poetico, superbamente interpretato dal giovane Emile (Paul Kircher) e accompagnato dall’eccellente colonna sonora del cantautore italiano Andrea Laszio De Simone.

Sarebbe stato facile scivolare nell’horror o abusare di effetti speciali, ma il film riesce invece a mantenere alta la tensione, come in un thriller, senza alcuna morbosa spettacolarità, senza polarizzazioni tra buoni e cattivi, senza colpevoli.

All’inizio lo spettatore è tentato di evocare la pandemia da Covid-19: coprifuoco, contagio, isolamento degli infetti, malattie misteriose. Ma, superata questa facile assonanza, la vicenda assume un tono altro, del tutto personale e libero da schemi, sempre più claustrofilica all’interno del bosco, dove le ‘creature’ vivono isolate, quasi una vita magica e insieme incantata, a cui solo il giovane Emile si avvicina. Tra le creature ibride del bosco cercherà la madre perduta, ed incontrerà un nuovo infelice amico trasformato in uccello.

“Gregorio Samsa, svegliatosi una mattina da sonni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo vedeva il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta del letto, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far pietà, rispetto alla sua corporatura normale, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio davanti ai suoi occhi”.

Il balzo è subitaneo, repentino, un bel mattino non ci si riconosce più in sé stessi; così recita l’incipit de “La metamorfosi” di Kafka, del 1915. Avviene che quando inizia un cambiamento così strutturale, così profondo, ci si sente ormai spinti, portati necessariamente ad assecondarlo; splendide le scene in cui le ‘creature’ via via perdono la voce umana, sempre più spinte ad essere ciò che ormai sono e niente di più; solo gli occhi restano umani.

Il bosco buio si popola così di corpi fiabeschi e mostruosi, ma dallo sguardo e dai sentimenti umani.

Cosa fare, quindi, dei ‘diversi’? Rinchiuderli in reparti speciali? Perseguitarli? Il diverso è pur sempre derivato da uno di noi, resta pur sempre, in qualche modo, un umano.

Sembra che, nella poetica del film, se esiste un modo di sintonizzarsi con chi non è come noi, questo modo sia l’affetto; intendo con questo termine l’affetto in psicoanalisi, l’affekt, ciò che rientra nel sentimento e non nella ragione, dalla scarica pulsionale alle passioni, tendenze ed emozioni, “che si propaga sulle tracce mnestiche delle rappresentazioni” (Freud, 1894). E’ così che Émile ‘sa’ riconoscere la madre, ‘sa’ trovare un amico. Col sentimento, nel senso più preciso ed elevato del termine.Accanto a questo più poetico, l’altro côté del film, potremmo dire, è quello di critica antisistema, evocato fin dalla scena iniziale. Il sistema ci vuole tutti uguali, tutti sani, uniformi, omologati.

François non ripeterà col figlio gli errori fatti in precedenza. Sarà capace del più grande atto di amore paterno: lasciarlo libero, lasciarlo diventare ciò che è, ciò che è diventato, anche se ciò significa perderlo; anche dell’adolescenza è una metamorfosi in sé. Amare qualcuno significa rispettarne a fondo l’alterità.

Anche le ‘creature’ hanno diritto a una vita libera, non umana, vita che, schopenaueriamente, non è che pura volontà, pura spinta ad esistere senza vincoli e senza pensiero.

Invito alla tolleranza data dall’affetto, all’accettazione della diversità per il puro rispetto di lasciare che chi non è come noi, sia semplicemente ciò che è. Pura essenza dell’essere.

Nessuno, in fondo, ha bene chiaro cosa sia l’uomo, quale sia l’essenza dell’umanità: la coscienza, certo, il pensiero, o forse lo sguardo. The Animal Kingdom sembra dire, senza enfasi o pedagogia, che possiamo essere soggetti a metamorfosi fuori dal nostro controllo, che la vita possiede una sua spinta ad esistere che condividiamo col regno animale (come nella prima scena del film, Émile che mangia col suo cane) e che si ha sempre diritto a essere liberi, ad essere ciò che si è. Che la vita esiste in sé.

A volte, si entra nei cinema, come mi è successo con questo film, senza sapere nulla, anzi diffidando di quello che sembra ‘un genere’; si entra per puro amore del cinema. E si hanno delle sorprese.

Bibliografia

Kafka F. (1915): La metamorfosi. Einaudi, Torino, 2014

Freud S. (1894): Le neuropsicosi da difesa. OSF, vol. 1, Boringhieri, Torino

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