Parole chiave: lutto, melancolia, perdita
Autore: Chiara Rosso
Titolo: “SUPER HAPPY FOREVER”
Dati sul film: regia di Kohei Igarashi, Giappone, 94’, 2024, Giornate degli Autori
Genere: drammatico
Un storia d’amore, di lutto e di perdita, ma anche di trasformazione e di speranza, è questa sostanzialmente la trama del film giapponese di Kohei Igarashi. Un film che si dipana in lentezza, dove la temporalità è sovvertita, e in cui a ritroso si ripercorrono le vicende di quattro interpreti. Innanzitutto mi colpisce la costruzione di quest’opera, che parte dalla fine di una vicenda per risalire ai suoi inizi durante l’arco di cinque anni. Ho fresco in mente un altro film giapponese attualmente sugli schermi, “L’innocenza di Hirokazu”di Hirokazu Kore’eda, in cui vi è uno stile costruttivo analogo, che accompagna lo sguardo dello spettatore sulla via di “false” piste per poi smontarle l’una dopo l’altra. È forse una modalità orientale per catturare (e forse inizialmente confondere) l’attenzione del pubblico? È un elemento da approfondire. Questo procedimento mette alla prova la nostra comprensione e ci invita alla pazienza. L’inizio di “Super Happy Forever” è enigmatico: due amici, Sano e Miyata, appaiono silenziosi nella camera di un hotel la cui vetrata sovrasta il mare. Sano sembra depresso, rinchiuso in sé stesso, mentre l’amico tenta con delicatezza di sostenerlo incoraggiandolo. Ben presto Sano si lascia andare a gesti di irritazione e nel prosieguo capiamo da una frase che ha appena perso la moglie Nagi ed è tornato nel luogo di vacanza in cui cinque anni prima l’aveva conosciuta assieme a Miyata. Potremmo dire che nella narrazione compaiano tre fasi dalle coloriture emotive differenti. La prima è cupa e silenziosa, poi vi è un salto temporale all’indietro e inizia la seconda, in cui i colori si fanno più accesi con la presenza di Nagi, una ragazza solare, mentre l’amicizia tra i tre evolve verso la storia d’amore tra Sano e Nagi. È una storia che riusciamo solo ad intuire, perché non viene rappresentata. Viene invece resa molto bene l’idea della perdita, di un impossibile ritrovamento e della trasformazione della carica emotiva di un oggetto che si fa cursore di una metafora riuscita in grado di legare insieme gli elementi di questo film e di illuminarlo. Si tratta di un berretto rosso, trovato casualmente per terra, che diventa un regalo d’amore di Sano a Nagi, che lei perde e per questo la coppia si dispera.
La terza e ultima fase del film è caratterizzata da un altro salto temporale e da un’altra coloritura emotiva. Nelle scene precedenti Sano rimane inconsolabile e ingestibile, a tal punto che l’amico lo lascia al suo destino, imbrigliato nella ricerca impossibile di un “oggetto così come era” (sullo sfondo il lutto per la moglie) che sostanzia il suo vissuto melanconico dai tratti paradossali. Infatti all’inizio del film Sano aveva chiesto al portiere dell’Hotel se per caso avesse trovato un berretto rosso e quando il portiere gli aveva chiesto quando l’avesse perso, Sano gli aveva risposto : “cinque anni fa”. In questo terzo tempo invece, Nagi abbozza il lutto del berretto rosso smarrito che viene regalato in absentia alla cameriera vietnamita dell’Hotel, il quarto personaggio, con cui Nagi aveva fatto amicizia: “Se lo trovi tienilo da parte…anzi indossalo tu, ti starebbe bene”, le aveva detto salutandola. È questa la trasformazione possibile del destino di un oggetto perduto: un passaggio di mano? Perché per evitare il collasso melanconico dell’Io bisogna aver superato il lutto originario, “Il paradosso dell’Io è che bisogna perdersi per potersi trovare”, sostiene Racamier (1992, 50) o ri-trovare, che si tratti di sé o degli oggetti. E dunque per Nagi il berretto rosso verrà ritrovato, anche se da qualcun altro, anche se lei è già morta. La scena finale del film infatti si chiude con la cameriera che cinque anni dopo, al termine del suo contratto, saluta i colleghi indossando proprio…il berretto rosso!
Bibliografia
Racamier P.C.(1992). Il genio delle origini. Milano: Cortina Raffaello,1993.