Sofia Coppola, USA, 2010, 98 min
commento di Jones De Luca
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Il film di Sofia
Coppola torna in un luogo molte volte visitato: racconta la storia di
un adulto che, costretto da un momento
di inattività a vedere il proprio mondo dagli occhi di un bambino, ne scopre la vacuità.
Che cosa ha di particolare questo nuovo viaggio nel tema: -cosa
ci succede se guardiamo le cose come vengono guardate dal mondo dell’infanzia o
dell’adolescenza-?
Nel film veniamo portati nella vita di un attore di
successo che sta scivolando in un torpore crescente senza
emozioni da cui l’eccitamento, probabile
antidoto abituale alla noia, non riesce più a svegliarlo.
In questo mondo arriva la figlia di 11 anni ed è dai suoi occhi
che cominceremo a guardare le cose.
Fin qua niente di nuovo.
Nella prima parte, nella quale, inesorabilmente, non succede
nulla, ci troviamo a sentire la stessa
noia del protagonista e a chiederci cosa abbia spinto la giuria della Mostra
del Cinema di Venezia a regalare così il Leone d’oro.
Poi cominciano dei piccoli slittamenti, sale una tensione
sottile, e inavvertitamente siamo più
attenti: qualcosa comincia a cambiare,
come avviene ?
Questi slittamenti avvengono attraverso i corpi femminili.
Prima vediamo il protagonista addormentarsi davanti alle esibizioni erotico -ginniche di due
curiose gemelle (metafora per veicolare un "le donne sono tutte uguali") che
hanno, nel tocco leggero e femminile di
questa regista, qualcosa di ingenuo e infantile nei loro sorrisi, candidi anche
mentre fanno la lap-dance.
Nel film le donne sono di preferenza così: bionde,
volti rotondi, occhi chiari e
tratti infantili.
Poco dopo ci troviamo a guardare con gli occhi distratti del
protagonista la figlia di 11 anni che si esibisce in un difficile pezzo di
pattinaggio artistico, seria e concentrata.
E’ anche lei bionda, con gli occhi chiari e i capelli lunghi, il
suo corpo è una versione infantile dei corpi che ci vengono proposti in
continuazione nel film, è solo un poco
più piccola, ma non troppo.
I corpi sono diversi, ma non poi così tanto, dobbiamo fare uno
sforzo, distinguere, ci dobbiamo dire: questa è la figlia ed è una bambina.
Il confine è lì vicino, la tensione sale: non dovremo mica trovarci davanti
all’ennesimo film dove tutto viene confuso?
Lo sguardo della Coppola è sicuro e impone di scivolare su un altro piano.
La ragazzina, all’affacciarsi dell’adolescenza è una ragazzina
curata, nei suoi modi, nei suoi vestitini, e porta dentro il mondo trasandato
in cui il padre vive, un suo stile quotidiano: ad esempio cucina o dice "oggi è domenica".
Più precisamente, questo stile di cose fatte con cura, lei lo importa: da qualche parte è abituata a vivere
così, con impegno : "quando hai imparato a fare questo?" "sono tre anni che faccio pattinaggio".
La regista indaga il
conflitto tra la sessualità, o meglio l’eccitazione, e la tenerezza.
Si impone inavvertitamente
un piano che esclude l’eccitamento: "non è il momento" dice il padre
alle ginnaste del sesso .. e si apre uno spazio per il gioco tra padre e figlia.
Vediamo allora apparire
in lui il bambino, lo vediamo riprendere curiosità e vitalità mentre cerca di
sconfiggere la figlia in un videogioco.
Lo vediamo, nel letto che ha dominato fino a quel momento la scena del film durante la sua
ricerca di un eccitamento che lo tenesse sveglio, incontrare la tenerezza per
la bambina:
"dormi?" "no" "facciamo
uno spuntino?" "sì" "a me piace il gelato alla fragola" "a me alla cioccolata"
La soluzione il film ce la propone quando i due si devono
lasciare: arriva il pianto della bambina, non tanto o non solo, per dover
lasciare il padre, ma perché sente la mancanza della madre che non le ha detto
quando, e soprattutto se, torna.
E’ la madre che manca.
A quel punto il protagonista può avvicinare la sua solitudine e
il suo senso di mancanza.
La psicoanalisi infantile ci ha mostrato come bambini ricorrano
a uno stato mentale eccitato quando sono senza cure si sentono abbandonati a sé
stessi.
Quando manca la tenerezza e la cura l’eccitamento può farsi
strada come antidoto al dolore dell’assenza.
Più avanti, questo sarà una sessualità indifferenziata, senza
legami (si dirà -anche questo ci è stato mostrato varie volte-): è il prezzo
per non sentire (alessitimia?), è il prezzo per evitare il dolore per l’assenza
delle persone care.
Qui, il dolore è dato dall’assenza della madre, che nel film
appare solo un momento, ma che è presente in questa bambina allegra e curata,
così diversa dall’ambiente in cui vive il padre.
Così il protagonista può ritrovare la propria capacità di
sentire le emozioni.
E’ lì che ci porta la Coppola, certo come molti altri film, ma
in maniera puntuale e inesorabile, pur attraverso il suo tocco leggero.
Purtroppo per noi, il
luogo dell’eccitamento ad oltranza sarà rappresentato dalla Coppola con le
"scene italiane" del triste spettacolo della nostra TV.
Forse per questo, al Lido di
Venezia, l’ultima sera, nella grande sala dove si proiettava il film
vincitore, alla fine nessuno ha applaudito?
Da quel luogo la regista impone di fuggire, lo impone con lo
sguardo interrogativo e triste della bambina che chiede conto al padre, senza
parlare, della presenza, alla loro
colazione, di una sconosciuta che pretende da lei intimità e confidenza.
Consiglio la visione di questo film, così scontato, così nuovo.
Buona visione.