La straordinaria abilità dell’esordiente Michel Gondry, regista dalla estrosa genialità visiva, traspare fin dalle prime scene; sfumate incertezze, sottili incongruenze, discontinuità logiche conducono fin dai primi fotogrammi, in una sorta di fremito sensoriale crescente come una incalzante ouverture, lo spettatore al centro della storia. In continue dissolvenze, scomposizioni atemporali e scarti di campo, con il pretesto di una trama estremamente articolata che non perde mai una serrata convincibilità pur mixando commedia, nonsense, fantascienza e dramma, forte della magistrale sceneggiatura dell’inventifico Charlie Kaufmann, autore di “To be John Malkovich”, il regista, attingendo con sorprendente abilità e pregnanza poetica alle più recenti concezioni filosofiche e delle neuro-scienze, si addentra nell’ordito delle più intime costruzioni della memoria, delle funzioni organizzatrici degli affetti, del destino della sofferenza.
Nell’artificio del percorso narratologico artatamente labirintico, in una frattura lancinante delle dimensioni lineari del tempo e della ragione, dal film emerge, come opera d’arte, il senso dell’esistenza nella complessità e nel dis-continuum dell’universo dei legami e dei sogni attraverso un viaggio emotivo alla riscoperta del passato e del dolore. Il ritmo caleidoscopico mai stancante consente di “vedere le cose, rappresentate nel loro stato di moto” in un continuo “trasfigurare” fra sogno e realtà. Ne risulta un interessante discorso cinematografico sulla natura dell’amore dal più profondo dei suoi significati di apertura virtuale a tutte le forme dell’essere, al più semplice dei quesiti.
Ameremmo ancora, ameremmo comunque, se prevedessimo che le stesse cose che oggi ci incantano e ci appassionano dell’amato, potranno apparire un giorno irritanti ed insopportabili difetti? E il segreto della persistenza e della costanza dell’amore non è forse insito nella capacità di uno sguardo tollerante sempre innovativo e d’attesa? Ci piace poter pensare che il film sia dedicato alle coppie in fuga, alle coppie che non hanno resistito, ispirato a quelle verità che avrebbero potuto essere comprese e che si compendiano nella illuminante e reciproca fallacia dei due titoli, “Se mi lasci ti cancello” da commedia italiana e “ L’eterno splendore di un’anima senza macchia” della versione inglese, tratto dai bellissimi versi di Pope. Ambedue mendaci. Nessun abbandono potrà mai cancellare o essere cancellato del tutto così come lo splendore dell’anima non potrà mai evitare le ombre dei ricordi, per quanto dolenti, dimenticati o reietti, del desiderio e dell’amore.
“…all’inizio comincia a rotare attorno alla luce di un punto e poi per un raggio più grande e lontano nel futuro, in uno spazio sempre più immenso… E ciò che è distrutto dagli ultimi sfaceli, di nuovo emerga come uno splendido scintillare del “nostro vecchio cielo”.
Anassagora