Cultura e Società

“Il sacrificio del cervo sacro” di Yorgos Lanthimos. Commento di Angelo Moroni

2/07/18
"Il sacrificio del cervo sacro" di Yorgos Lanthimos. Commento di Angelo Moroni

Autore: Angelo Moroni

Titolo: Il sacrificio del cervo sacro

Dati sul film: regia di Yorgos Lanthimos, Usa, Gran Bretagna, Irlanda, 2017, 121′

 

Trama

Protagonista del film è Steven, famoso cardiochirurgo che insieme alla moglie Anna, alla figlia Kim e al figlio Bob vive una vita appagante nella sua lussuosa casa situata in un quartiere residenziale di Cincinnati, Ohio. Un giorno il medico stringe amicizia con il sedicenne Martin, che ha da poco perso il padre, e decide di prenderlo sotto la sua ala protettiva. Ma quando il ragazzo viene presentato a tutta la famiglia, cominciano a verificarsi eventi incomprensibili, che velocemente mettono in pericolo assetti familiari fino a quel momento stabili e rassicuranti, obbligando Steven a compiere un tragico sacrificio per non peggiorare radicalmente la situazione.

 

Andare o non andare a vedere il film

Miglior sceneggiatura a Cannes 2017, dopo il Premio della Giuria ricevuto da Lanthimos sempre al Festival di Cannes nel 2015 con “The Lobster”, “The Killing of a Sacred Deer” non è collocabile all’interno di un genere cinematografico definito: lo si può pensare solo al confine tra thriller e horror sovrannaturale, ma secondo una declinazione decisamente autoriale e profondamente pensata. Drammatico nello sviluppo a climax lento ma inesorabilmente ultimativo, il film fa riflettere su situazioni estreme in cui il dilemma conflittuale di un uomo può sfociare in decisione radicale tra vita e morte. Film asciutto, altamente evocativo, ci parla di una delle molte possibili declinazioni del dolore umano laddove non siano possibili cornici adeguate per una sua possibile elaborazione/metabolizzazione. L’interpretazione degli attori è intensamente eseguita, con un Colin Farrell (Steven) completamente calato nella parte di un padre che vuole a tutti i costi proteggere i propri figli ma non ne ha la possibilità, reso impotente da qualcosa di molto superiore alle sue forze; e una Nicole Kidman (Anna, la moglie, letteralmente travolta e annichilita da un destino cieco e tragico, causato dal marito) bellissima quanto sgomenta di fronte a ciò che sta accadendo alla sua famiglia e che sta trasformando la sua vita in un incubo.

 

La versione di una psicoanalista

Lanthimos ci mostra magistralmente una sorta di geometria escheriana generata dal contatto tra famiglia e lato oscuro, ambiguo dell’adolescenza. Il “personaggio” (lo intendo qui in senso kleiniano) di Martin “personifica” infatti tutto il versante eversivo della potenza  pulsionale distruttiva adolescenziale, quando essa è identificata con una “missione” vendicativa radicale, che non fa sconti al mondo adulto. Il tema del “sacrificio” si lega qui, strettamente, a quello di un risentimento inespresso, inelaborato, che parmane in modo muto ma operante nella mente di un ragazzo che non è mai stato aiutato (per motivi che Lanthimos lascia saggiamente nell’ombra) a superare un grave lutto. Il sordo rancore  di Martin, come un fiume carsico, torna così a riaffiorare, rendendo concreti i suoi effetti e traducendosi in una vendicatività che lo fa diventare un vero e proprio “Angelo della morte”. Lanthimos spinge sottilmente lo spettatore a prendere una posizione etica difficile da assumere, perché l’agire di Martin è comunque giustificata dalla potenza del legame affettivo col padre, da una deprivazione paterna causata dall’inadeguatezza di un curante che diventa, proprio per la sua noncuranza, un assassino. E nessuna corazza ossessiva, scientifica o medico-chirurgica sarà in grado di tenere a bada le forza tellurica inconscia delle emozioni. La maestria narrativa di Lanthimos sta infatti, soprattutto, nel calare all’interno di un contesto contemporaneo (una modernissima clinica di una Cincinnati dei giorni nostri),  tematiche primitive, tribali, come quella del “sacrificio umano” richiesto da forze sovrannaturali (da un vertice psicoanalitico: le forze senza tempo dell’inconscio).  Film cupo e inquietante, che fa dell’angoscia e della colpa persecutoria la sue cifre stilistiche preminenti (e proprio per questo molto vicino alle atmosfere drammatiche e ai comportamenti primitivi che si consumano non lontano dai nostri confini nazionali: vedi i campi di tortura dei profughi africani, in suolo libico), “Il sacrificio del cervo sacro” intesse una trama profonda e tragica che mescola con sapienza sogno e realtà attraverso la mediazione di un sonoro altamente evocativo e toccante, e di una sceneggiatura che si è ben meritata il premio ricevuto a Cannes nel 2017.

 

Giugno 2018

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

"The Substance" di C. Fargeat. Recensione di A. Buonanno

Leggi tutto

"Berlinguer. La grande ambizione" di A. Segre. Recensione di R. Valdrè

Leggi tutto