Cultura e Società

“The room next door” di P. Almodóvar. Recensione di E. Marchiori

12/09/24
"The room next door" di P. Almodóvar. Recensione di E. Marchiori

Parole chiave: Caducità, Eutanasia, Immortalità, Morte, Speranza

Autrice: Elisabetta Marchiori

Titolo del film: “The room next door”

Dati sul film: regia di Pedro Almodóvar, Spagna, 2024, 107′, Leone d’Oro 81esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia

Genere: drammatico

La morte non è niente, sono solo andato nella stanza accanto

(Henry Scott Holland, 1910)

Alla fine, il Leone d’Oro della 81esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia se l’è aggiudicato “The room next door” di Pedro Almodóvar. L’essenzialità e la raffinatezza hanno prevalso sulla magniloquenza e la grandiosità dell’altro film favorito, “The brutalist” di Brady Corbet, cui è andato il Leone d’Argento per la miglior regia.

Riproponendo la cifra stilistica del cortometraggio “The Human Voice”, presentato a Venezia nel 2020 e interpretato dalla sola Tilda Swinton, Almodóvar ingaggia la stessa magnifica attrice e la mette in coppia con l’altrettanto brava Julianne Moore, per mettere in scena “l’enigma doloroso della morte, contro la quale nessun farmaco è stato ancora trovato né probabilmente si troverà mai” (Freud, 1927, 446). Si trovano invece farmaci per procurarsela, la morte, quando non ci sono cure che consentano una vita dignitosa, quando la malattia prende il sopravvento. Swinton interpreta il personaggio di Martha, affetta da un cancro incurabile, che cerca una persona che le stia accanto, in una stanza della stessa casa, quando lei deciderà di assumere quella “la pillola” con cui praticherà l’eutanasia. Quella persona è Julianne Moore, nel ruolo di Ingrid, un’amica ritrovata dopo tanti anni, scrittrice di successo, nel cui ultimo libro affronta la propria incapacità a capire e accettare la morte, che ritiene “innaturale”. È la sola a non rifiutare con fermezza la proposta di Martha, che sembra inconsapevole della pesantezza del fardello che propone di condividere. Inizialmente riluttante e spaventata, ma anche incuriosita e sedotta —  Thanatos può essere incredibilmente attraente — alla fine si convince: forse per lei è un’occasione di capirla e accettarla, la morte, diventandone intima?

Martha quindi affitta per loro una stupenda villa immersa nel verde, con grandi vetrate e la piscina, nei pressi di Woodstock, che “è un po’ cara, ma l’occasione la merita”. Sceglie una stanza con una porta rossa, mentre Ingrid decide di sistemarsi al piano di sotto. Non sta dunque nella “stanza accanto”, espressione che forse rimanda non tanto a uno spazio concreto, ma a quella dimensione misteriosa in cui inevitabilmente andremo tutti, prima o poi, ad abitare. Ingrid non deve assistere alla morte dell’amica, sarebbe complice di un reato, ma quando vedrà quella porta rossa chiusa, capirà che il destino di Martha è compiuto: “E la sua anima gli svanì adagio adagio nel sonno mentre udiva lieve cadere la neve sull’universo, e cadere lieve come la discesa della loro estrema fine sui vivi e sui morti”. Un destino racchiuso in questa citazione, ripetuta più volte nel corso della narrazione, finale di The dead (I morti), l’ultimo racconto di The Dubliners (Gente di Dublino, 1914), trasposto nell’omonimo film del 1987 di John Huston, l’ultimo del grande regista. Martha la ricorda a memoria e la recita a Ingrid proprio mentre le due amiche stanno riguardando insieme quel film in televisione. Almodóvar non si risparmia su rimandi ad opere letterarie e cinematografiche in questo film dai dialoghi fitti, intensi e impegnativi tra le protagoniste, allontanandosi da tante sue opere precedenti eccessive, provocatorie, spesso caotiche e kitsch. Qui è tutto definito, nitido, inesorabile, saturo, con dettagli insistiti, che danno poco respiro ai flashback che dovrebbero creare un legame tra il passato e il presente. Sono estremamente ricercati gli arredi della casa e gli abiti d’alta moda indossati dalle due donne, che hanno personalità molto diverse e situazioni di vita completamente opposte e nel contempo complementari.

Martha, che con la sua decisione ha ripreso il controllo della sua vita, è determinata, composta e distaccata; sembra già un fantasma, pallida, diafana e scheletrica come è, lo sguardo opaco, nelle sue enormi camicie da notte; le sue emozioni sono rarefatte, quasi avesse ormai eretto uno schermo tra sé e gli altri. Il suo “cervello chemioterapico” non le permette più di né di gustare la lettura dei suoi scrittori preferiti né di ascoltare la musica, sopporta solo il canto degli uccelli. Eppure qualcosa di freddo e duro, egoista e narcisista sembra essere insito dentro di lei da prima della malattia: all’amica parla del suo irrimediabile distacco dalla figlia, che la odia per essere stata una madre assente, “tra guerre e adrenalina”, e per non averle fatto mai conoscere il padre. Ma non è in grado di contemplare un riavvicinamento nemmeno in quel momento. In lei sembra aver preso il sopravvento il vettore aggressivo della pulsione di morte, rafforzato dalle esperienze in guerra, che in qualche modo, pur inconsciamente, rivolge verso l’apparentemente inconsapevole amica.

Ingrid, colorata, vivace ed emotiva, ancora desiderosa di prendersi cura del suo corpo pulsionale e di vivere, mantiene, segretamente da Martha, i rapporti con il suo compagno (John Turturro), che in passato si era contesa proprio con Martha. A lui va il compito di pronunciare l’unica battuta del film di tipo politico, che rimanda anche alla situazione allarmante della realtà attuale e alla distruzione del mondo da parte degli uomini: “Niente accelererà la fine del pianeta come il perdurare del neoliberismo e l’ascesa dell’estrema destra”.

Almodóvar ha dunque in mente la caducità sia del singolo essere umano sia dell’intera umanità, tuttavia apre uno scorcio di speranza —- anche Eros è attraente — nella persistenza del flusso della morte e della vita, facendo apparire la figlia di Martha (interpretata dalla stessa Swinton), cui Ingrid offre la possibilità di riappropriarsi del suo ruolo di figlia, negatole dalla madre.

“The room next door” è quindi un film che affronta non solo l’enigma della morte e del diritto all’eutanasia, ma anche i temi dell’amicizia, della maternità, del rapporto tra madre e figlia, dell’importanza della parola e dell’ascolto profondo, mentre evoca i drammi che sconvolgono la nostra epoca, compresi i cambiamenti climatici. Infatti la neve che vediamo cadere lieve è rosa.

È un film che in un primo momento mi ha lasciato una sensazione claustrofobica e di pesantezza, mi è sembrato a tratti eccessivamente artefatto e auto-celebrativo, estetizzante; quasi troppo perfetto, anche nelle impeccabili prove attoriali delle   elegantissime protagoniste. Solo riflettendoci a posteriori ho colto la potenza della  “interferenza perturbatrice del pensiero della caducità” (Freud, 2015, 174) e ho capito che la mia è stata una reazione difensiva: “Non c’è nessuno che in fondo creda alla propria morte o, detto in altre parole, nel suo inconscio ognuno di noi è convinto della propria immortalità” (Freud, 2015a, 137).

È difficile accogliere quello che in effetti appare, da parte del regista, un “invito a superare l’idea dell’immortalità individuale e ad accogliere il pensiero più ardito e straziante dell’accettazione dell’ineluttabilità della propria fine” (Corsa, 2015, 43). Anche per Almodóvar deve essere stato difficile: si può ipotizzare che abbia scelto di girarlo non nella sua lingua madre, ma in inglese, che — per sua stessa ammissione — non padroneggia completamente, per creare una sorta di distanza affettiva. Ma certamente non poteva bastare: “A volte, durante le riprese, sia io che la troupe eravamo sull’orlo delle lacrime”, afferma lui stesso[1].

L’emozione della finitudine della vita, come scrive Pellizzari (2015, VII) “si affaccia alla nostra a partire dall’adolescenza come uno scomodo inquilino, che ci sforziamo di chiudere in una stanza a parte, per continuare ad andarcene ‘soddisfatti per via’”…nella stanza accanto, appunto.

Bibliografia

Corsa R. (2015). L’approdo inospitale: pensieri psicoanalitici sulla morte. In (a cura di R. Corsa e L. Monterossa) Limite è speranza. Lo psicoanalista ferito e i suoi orizzonti. Roma, Alpes, 27-44.

Freud F. (1927). L’avvenire di un’illusione. O.S.F., 10.

Freud F. (2015). Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte. O.S.F., 8.

Freud F. (2015a). Caducità. O.S.F., 8.

Joyce J. (1914). Gente di Dublino. Milano, Mondadori, 1987.

Pellizzari G. (2015). Prefazione. In (a cura di R. Corsa e L. Monterossa) Limite è speranza. Lo psicoanalista ferito e i suoi orizzonti. Roma, Alpes, VII-XI.

Settembre 2024


[1] https://www.labiennale.org/it/cinema/2024/venezia-81-concorso/room-next-door

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