Autore: Silvia Mondini
Titolo: “Princess”, 79° Festival del Cinema di Venezia. In Concorso, Sezione “Orizzonti”
Regia: Roberto De Paolis, Italia, 110’, 2022.
Genere: biografico, drammatico.
Opera d’apertura della sezione Orizzonti, Princess di Roberto De Paolis, affronta il tema spinoso e delicato della prostituzione clandestina raccontandolo attraverso la quotidianità, i gesti e le parole di chi questa realtà la vive in prima persona. Una realtà che De Paolis, fotografo ancor prima che regista, avvicina con tatto e contatto, bypassando intenti ideologici o di denuncia e consentendo ad alcune giovani nigeriane l’esperienza, prima inimmaginabile, del passaggio dalla strada al set cinematografico. Il film, qualora fosse necessario esplicitarlo, ė stato scritto e girato con i reali protagonisti della storia. Un sogno, dunque, che per Glory Kevin/Princess é divenuto realtà grazie a questa straordinaria congiunzione tra “caso” (l’incontro con il regista), doti personali e autentico desiderio di tradurre la propria vita in una storia condivisibile.
“Princess sono io, questa è anche la mia storia – afferma Kevin in conferenza stampa – Sento di rappresentare i fratelli africani, quelli che hanno vissuto storie come la nostra”.
Nata in un villaggio della Nigeria ventisei anni fa, dopo le medie abbandona la famiglia con la speranza di continuare gli studi ma subito viene destinata alla strada. Scappa, viene imprigionata, scappa di nuovo e raggiunge l’Italia dove le viene rifiutata la domanda di protezione internazionale. Arriva alla periferia di Roma e qui, trovato rifugio con alcune connazionali, inizia a prostituirsi. Poi comincia il film.
Un film che nel suo realismo diviene involontaria metafora di questioni ben più intime.
Princess lavora in un bosco nei pressi di Ostia dove, al suo interno o al limitare della strada, incontra un ampia gamma di clienti. Tra questi si distingue il quarantenne Corrado che girovaga alla ricerca di funghi o a passeggio con il cane e, in ogni caso, senza soldi. Princess tenta di coinvolgerlo ma lui, che non sa quel che va cercando, riesce ogni volta a svincolarsi con garbo, senza nulla precludere. La giocosa ambiguità dei loro incontri genera così una parentesi di spensieratezza tale da far sì che Princess, appagata da una gita in macchina, due tramezzini e tre lecca-lecca, dimentichi sorprendentemente la questione denaro. Ma quando Corrado, intenerito dal suo modo di divertirsi e di essere bambina, le chiede di andare a casa sua, Princess, rientra subito nel ruolo e comincia a tradurre il tempo in denaro. Lui ascolta, accetta la sua richiesta economica (200 euro per trascorrere la notte) e l’accordo diviene lavorativo.
La realtà, però, riserva loro sorpresa di un desiderio nascente e lo scoglio della diversa possibilità di intendere il coinvolgimento; diversità che osserviamo prima quando Corrado le rivolge sguardi amorevoli e lei, troppo emozionata, lo sollecita gentilmente a consentirle di fare il suo lavoro “Non guardarmi così, mi vergogno, non so che fare, andiamo in camera”, dopoquando lui lainvita a trascorre qualche giorno insieme giusto per conoscersi un po’ e lei, impossibilitata a mettersi in gioco, gli propone di diventare allora il fidanzato che si prende cura dei suoi bisogni materiali e dei piccoli vezzi femminili. Princess non ha remore nel dichiarare candidamente che, per lei, tradurre ogni richiesta in termini economici equivale ad appellarsi all’unico strumento che possiede per far fronte all’abbandono, far valere se stessa e fronteggiare quel nulla che altrimenti le rimane.
Perché mai una giovane donna – sola, abituata a concedere le parti più intime a sconosciuti e difensivamente convinta che il tutto si consumi nel corpo di un’altra rimasta in Nigeria – dovrebbe abbandonare la “strada” vecchia (e i suoi ben noti pericoli) per lasciarsi coinvolgere nel rischio di una nuova relazione con l’altro e con se stessa? E come procedere se, al di là di ogni vergogna e paura, si impone un reciproco bisogno di tenerezza e contatto sensoriale che, quando soddisfatto, introduce una profonda disparità sino a rendere l’uno testimone, forse colpevole, della spaventosa regressione dell’altra.
Dinnanzi a queste domande il film, di cui ho svelato fin troppo e non rivelo altro, sembra suggerirci la necessità, purtroppo possibile solo in specifici contesti terapeutici, di accogliere il bisogno regressivo dell’altro nel modo in cui egli richiede o impone. Diversamente qualsiasi azione, qualsiasi condivisibile accortezza, può diventare sinonimo di rifiuto e giustificare così la fuga.
Settembre 2022