Autore: Amedeo Falci
Titolo del film: “Povere Creature!”
Dati sul film: regia di Yorgos Lanthimos, USA, UK, Irlanda, 141′
Genere: commedia, grottesco
NON É UN PAESE PER BARBIE
Premiato con il Leone d’oro al miglior film all’80ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (2023), “Povere creature” si presenta con un impatto formale elegante, ricco, sontuoso, visionario, ma anche come produzione simil-blockbuster che va incontro ai gusti di un esteso pubblico mondiale. Lanthimos, autore rigoroso, severo, difficile, affermata personalità autoriale con soli otto lungometraggi al suo attivo, presenta un’opera con un linguaggio originale persino rispetto agli ultimi film della sua produzione artistica: “The Lobster” (2015),”Il sacrificio del cervo sacro” (2017), “La favorita” (2018).
Il soggetto riprende il genere cinematografico di The creature, su personaggi mostruosi riportati in vita a partire da cadaveri, ma, soprattutto, è il romanzo di formazione (Bildungsroman) di Bella, giovane suicida, che uno scienziato pazzo e mostruoso, GODwin (nomen omen), riporta in vita trapiantandole il cervello del feto di cui era incinta. La ragazza, riedizione femminile di Odisseo, intraprende un suo viaggio per i mari, sospinta da poderosissimi venti libidici, auto ed etero-erotici e, dopo molto peregrinare e vagare, attraverso “cento milia perigli”, si affranca dalle catene del possesso maschile, pervenendo infine alla “canoscenza” (Dante, XXVI, Inferno) e ricongiungendosi, finalmente, al luogo da cui era partita.
Qui ritroviamo alcuni dei nodi centrali delle precedenti opere di Lanthimos. In “Kynodontas” vi era “l’afflato di certo cinema europeo degli anni ’70, quel medesimo furore anti-borghese, il cui scopo non è dunque cogliere le contraddizioni che fondano una comunità, ma scagliarsi contro le ipocrisie dell’istituzione Famiglia” (Sangiorgio[i]). In “The lobster” attraverso il ritratto di una società disciplinare che obbliga alla convenzionalità della coppia, “il regista continua a riflettere, per dirla alla Foucault, in termini di ‘governamentalità’, concentrando il proprio discorso sul complesso di istituzioni, procedure e tattiche per mezzo delle quali regolamentare l’esistenza” (Marelli[ii]). Ne “Il Sacrificio del cervo sacro”, la non-vita di una famiglia borghese viene svelata e distrutta da un dio che agisce sotto mentite spoglie di un ragazzo vendicativo. Ne “La favorita”, vi è il tema della “sottomissione e abiura della propria libertà” (Marco Catenacci[iii]) nei confronti del potere regale.
Vi è continuità nel discorso di Lanthimos che non verte tanto sulla repressione sessuale esercitata dalle famiglie e dal potere, necessaria per garantire il patto sociale, né sull’esigenza della civiltà (die Kultur) garantita attraverso il prezzo da una sublimata o repressa rinunzia libidica, come la pensava Freud (1897, 1905, 1908, 1912, 1915-17;, 1927, 1929, 1932). Il punto di vista del regista è piuttosto che la repressione della sessualità sia il dispositivo per il controllo e la sottomissione delle esistenze,
La discontinuità è invece nel mutato sguardo di Lanthimos che non è più quello di un “entomologo imperturbabile che scruta glaciale individui obbedienti a regole esterne ottuse e con responsabilità e coscienza annullate” (Sangiorgio), bensì uno sguardo benevolo e divertito (e compiaciuto) di chi sta convertendo il suo spirito crudele e tagliente al piacere di fare un Grande Cinema visivamente appassionante, spettacolare e intelligente.
È cambiata, rispetto a prima, “la concezione del racconto come grande metafora, come film-simbolo in cui ogni elemento rimanda a/riflette su qualcosa d’altro, portando però con sé delle inevitabili conseguenze” (Marco Catenacci). Come dice, ad un certo punto, il dio/ragazzo ne “Il Sacrificio del cervo sacro”, dopo che si è staccato a morsi un brandello di carne dal braccio, e lo ha sputato a terra: “Capisci? È metaforico. Il mio esempio è una metafora. Voglio dire, è simbolico”.
Qui tutto è invece esplicito, manifesto e dichiarato. Potremmo dire, azzardando, un film senza inconscio. Dopo una rinascita resettata da ogni memoria, la libido in Bella infine esplode come il grande motore dell’emancipazione e dell’autoconsapevolezza. Non ci sono metafore, tutto è quello che si vede. Ecco il senso del film: non rimuovete la vostra sana ed insaziabile libido, sappiate rinascere con essa e attraverso di essa; essa è la forza della vostra libertà e della piena comprensione del mondo. La ragazza affronta un viaggio che parte dal doppio abbandono del familiare (come suicida e come Bella), che incontra l’ignota sessualità che pure è in lei (Unheimliche, Freud, 1919), attraversa sconosciuti mari, tocca paesi esotici e lontani, conosce pericoli ed abiezioni, per ritornare infine alla casa del Padre, l’Heimat originario.
Questione sessuale, qui, più che eversiva, già post-datata. È il déjà vu delle culture della sexual revolution, della woman liberation, dell’“io sono mia’“, dei gloriosi anni ’70 e oltre, con aggiornamenti alla polisessualità e alla famiglia allargata in finale (Danilo Amione[iv]), e persino con accenni al sol nascente del socialismo. Abbiamo visto film ben più forti e coraggiosi in questa direzione, molti decenni fa, quando era molto più impopolare farli.
Affascinante ed abile la mescolanza di suggestioni e ispirazioni. Dal punto di vista letterario, i riferimenti — certamente ascrivibili al romanzo da cui Lanthimos ha preso il soggetto, “Poor things” di Alasdair Gray, 1992 — sono al “Frankenstein“ di Mary Shelley (1818), ma anche al “Pinocchio” di Collodi (1881), e persino alla “Justine” e a “La nuova Justine” di De Sade (1791, 1799). Filmicamente sono riconoscibili, nella primissima pare del film in bianco e nero, “Il gabinetto del Dottor Caligari“ (1920) di Wiene, e tutti i film dell’espressionismo tedesco; poi gli effetti ad iride (il cerchio scuro che si apre o si chiude all’inizio o alla fine di una scena) dei film muti; il “Il Golem” (1915) di Galeen e Wegener; più modernamente, si riconoscono “Frankenstein junior“ (1974) di Brooks, la visionarietà distopica passato/futuristica di “Brazil” (1985) di Gilliam, “Edward mani di forbice (!990) di Burton, senza dimenticare “Il ragazzo selvaggio” (1970) di Truffaut, e infine il palese omaggio all’onirismo di Fellini.
Conclusivamente, un film visivamente straordinario, nell’invenzione scenografica e nella fotografia, qui con l’usuale predilezione di Lanthimos per il grandangolo e il fish eye. Un film con un intento narrativo ben chiaro nella testa e nella coda dell’opera, ma che si diluisce in tutta la parte centrale, come ipnotizzato narcisisticamente dal proprio fascino estetico ed incantato nell’iterazione del già detto. Le metafore, invece, sono più sintetiche e brevi.
Bibliografia
FREUD S. (1897), Minuta N. O.S.F., II., Torino, Bollati Boringhieri, 1968.
FREUD S. (1905), Tre saggi sulla teoria sessuale. O.S.F., IV. Torino, Boringhieri, 1970.
FREUD S. (1908), La morale sessuale ’civile’ e il nervosismo moderno. O.S.F., V. Torino, Boringhieri, 1972.
FREUD S. (1915-17), Introduzione alla psicoanalisi. O.S.F., VIII. Torino, Bollati Boringhieri, 1976.
FREUD S. (1919), Il perturbante. O.S.F., IX. Torino, Bollati Boringhieri.
FREUD S. (1927), L’avvenire di un’illusione. O.S.F., X. Torino, Bollati Boringhieri, 1977.
FREUD S. (1929), Il disagio della civiltà. O.S.F., X. Torino, Bollati Boringhieri, 1978.
FREUD S. (1932), Perché la guerra? O.S.F., XI. Torino, Bollati Boringhieri, 1979.
[i] Sangiorgio G. (2009), https://www.spietati.it/dogtooth/
[ii] Marelli M. (2015), https://www.spietati.it/the-lobster/
[iii] Catenacci M. (2018), https://www.spietati.it/la-favorita/
[iv] Amione D. (2023), https://www.facebook.com/share/p/sa5wb39PCPJwGKwc/?