Cultura e Società

Per altri occhi

8/01/14

Dati sul film: regia di Silvio Soldini e Giorgio Garini, Italia, 2013, 95 min.

Trailer: 

Genere: docu-fiction

Trama. È possibile che un film nasca da un mal di schiena? Non parliamo di somatizzazioni, ma proprio delle origini e delle ragioni del film stesso! Sì, è proprio possibile…

Tutto inizia più o meno nel 2009, quando Silvio Soldini, sofferente alla schiena, si reca da un nuovo fisioterapista. “Ah, guarda che è cieco…”, gli dicono. “Non mi importa!”, risponde lui, che non aveva mai incontrato questa disabilità. Il curante è un uomo curioso, gli dice di aver “visto” Pane e tulipani, gli fa domande, altre sorgono nel regista. Ed ecco nascere il progetto di un docu-film che realizza con Giorgio Garini, suo aiuto regista storico e documentarista.

Il film narra le storie di una decina di “non vedenti”, ripresi e intervistati nella loro vita e nelle loro attività quotidiane (imprenditore, fisioterapista, musicista, centralinista, informatico, pensionato, studentessa, volontario) o di svago (vela, sci, baseball, tiro con l’arco, montagna, lago e mare). Tutto montato e “interpretato” dalla sensibilità e dalla capacità dei registi.

Andare o non andare a vedere il film? A mio avviso si tratta di un film straordinario. Durante la sua visione si ride, si pensa, ci si emoziona, ci si commuove, si piange, si guarda, si ascolta, si capisce. Credo che vada sostenuto, visto e diffuso come un bene prezioso.

La versione di uno psicoanalista. Sono innumerevoli gli spunti psicoanalitici. In primo luogo il film parla delle differenze e delle diversità. Era un tema molto difficile da trattare, a cavallo fra il semplice ritratto e l’alto rischio di cadere in un atteggiamento pietistico. Questo delicatissimo equilibrio è stato pienamente raggiunto in quello che io considero una fantastica e quasi miracolosa integrazione tra i registi e i protagonisti del film. È la dimostrazione che quando lo scambio intersoggettivo tra gli esseri umani si realizza pienamente, ambedue i poli della relazione ne traggono un beneficio. Credo che tutti i personaggi coinvolti nel film ne siano usciti cambiati e migliorati alla fine dell’esperienza relativa al loro incontro. Non è la prima volta che mi accade, ma rimango sempre molto colpito quando dei “non vedenti”, parlando della loro esperienza, usano la parola “vedere”. È davvero l’esempio di come sia possibile vedere “con” altri occhi, “per” altri occhi. Ho trovato estremamente vero e toccante il passaggio nel quale Luca, il musicista, parlando delle persone nella sua stessa condizione, non fa un elogio della loro sensibilità, ma con grande lucidità fa un elogio della sensibilità individuale. Di come chiunque, prima ancora di essere un “non vedente”, sia primo luogo una persona. La sua affermazione topica è la seguente: “Anche un non vedente può essere uno scarpone che cammina sulle uova”. Straordinario!

Mi è facile paragonare l’esperienza della visione del film, ma credo anche della realizzazione dello stesso, ad una condizione con delle caratteristiche terapeutiche, un vero incontro trasformativo.

Per questo motivo non svelo uno dei momenti più toccanti che come spettatore ho sperimentato durante la visione, quella che considera una delle intuizioni e delle capacità di immedesimazione che la sensibilità e la creatività dei registi ha saputo inserire nel film. Andatelo a vedere e sicuramente capirete di cosa sto parlando. Davvero buona visione!

Gennaio 2014

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

"The Substance" di C. Fargeat. Recensione di A. Buonanno

Leggi tutto

"Berlinguer. La grande ambizione" di A. Segre. Recensione di R. Valdrè

Leggi tutto