John Carney,
Irlanda, 2006,
91 min.
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Commento di Pietro Roberto Goisis
Di cosa parliamo, quando parliamo d’amore?
Cinema, amore e psicoanalisi…ma perché mai uno
psicoanalista sceglie di parlare proprio di un film "musicale" in un’occasione
nella quale ci si occupa di questo tema?
Prendiamo un passpartout, fa
sempre comodo…Se in un ambito di cinema "colto" si dice Francois Truffaut,
tutti stanno zitti, non parla più nessuno! Proprio lui, in un film sull’amore, "La
signora della porta accanto", faceva dire a Matilde, interpretata non a caso da
Fanny Ardant, la sua compagna in quel momento, queste parole: "Le canzonette sono quelle dicono la verità,
e più sono stupide più dicono la verità".
Per maggiore sicurezza, sono
andato a frugare in un sito che si chiama Mymovies
che raccoglie tutte le recensioni che sono state pubblicate su un certo
film oltre ad uno spazio dove mettere il proprio commento. Sono andato a leggere
tutte le recensioni su questo film e ho scoperto che su 15 recensioni
pubblicate, 13 erano assolutamente entusiastiche. Ho pensato che se dei critici
cinematografici, gente di un certo spessore abituata a vedere ore e ore di
film, hanno apprezzato il film così tanto da lasciarsene prendere (parlavano
tutti di emozioni) ho detto: "via, possiamo, forse sono autorizzato a
parlarne". Inoltre, mi è capitato frequentemente di commentare film
impegnativi…e quindi…
Due parole sul film, quindi.
Sulla trama, giusto per iniziare,
molto semplice, in realtà.
Lui
è un cantautore di Dublino che di giorno lavora aggiustando aspirapolvere e di
sera suona per le strade della città. Lei una ragazza ceca che suona il piano
ogniqualvolta ne ha la possibilità, alternando strani lavori per prendersi cura
della madre e della figlia. I due si incontrano, e lavoreranno assieme per
scrivere e registrare un disco: ed attraverso le canzoni, si confesseranno
l’amore nato tra di loro. Si potrebbe parlare di un film musicale, dato che le
canzoni ci accompagnano per tutto il tempo della visione.
È un film irlandese, costato
180.000 euro (quasi nulla se si pensa ai budget medi dei film) e girato in soli
17 giorni. Negli USA al box office del 2008 aveva già incassato 10 milioni di
dollari, senza parlare degli incassi in Europa. Perché gli Stati Uniti? Perché
è stato presentato al Sundance Film
Festival dove ha vinto un premio dal pubblico e poi l’Indipendent Spirit
Award in un altro festival; ha vinto l’Oscar 2008 per la miglior canzone (che
poi è quella finale, Falling down), e
quindi è una specie di piccolo miracolo. Per essere onesti, non è un
capolavoro, ha tanti limiti, è po’ lentino, un filo melenso, però a me è
piaciuto e mi ha aperto dei files di collegamento interno. Da tempo, poi, mi
piace andare a conoscere cosa sta dietro a queste piccole realtà
cinematografiche. Ho scoperto che è un progetto del 2005, girato nel 2006, nel
quale non c’è nessun attore professionista. Il protagonista è un vero
musicista, la voce solista di un gruppo irlandese che si chiama The Frames che è stato attore in un
altro film musicale sulle band irlandesi che si chiama The Commitments; è un grande amante di cinema e ha un rapporto
molto stretto con il regista che è stato per un breve periodo di tempo il
bassista dei The Frames. La
protagonista è una vera musicista, una ragazza ceca che all’epoca delle riprese
aveva 17 anni e che nella realtà ha una collaborazione col musicista nella sua
band.
Nei titoli di coda si può fare
attenzione a due cose molto carine: una è che le canzoni sono state scritte e
cantate dai due protagonisti, quindi che la colonna sonora è cantata veramente
da loro e credo che questo sia uno dei punti di forza. È un film che ha fortemente
voluto il regista e che ha voluto girare insieme al musicista, il quale ha
scritto appositamente le canzoni per il film, incastrandole nella storia. Credo
che questo sia un primo tema che possiamo trattare a proposito di amore; penso
che si senta l’identificazione profonda del regista nella storia e nel
personaggio e penso che questo dia una dimensione molto vera e autentica al
film che alla fine lascia un senso di piacere, di contentezza di serenità e di
condivisione. Non è un film facile, perché i film musicali spesso fanno
scappare molte persone, ma questo è un musical molto atipico in quanto le
parola delle canzoni sono portanti all’interno della storia e i testi possono
essere considerati come dialoghi.
L’altra cosa molto particolare
dei titoli di coda è che i protagonisti non hanno un nome. Di fianco al nome
dell’attore c’è scritto "guy" e a quello dell’attrice "girl": c’è qualcosa
nell’indefinitezza del senza-nome che mi fa pensare a un messaggio di
universalità che può valere un po’ per tutti.
Altro piccolo particolare della
storia e che è girata con un cast tutto di amici, "di cui fidarsi" come diceva
il regista e la fiducia è già qualcosa che ha a che fare con l’amore, in quanto
presupposto indispensabile perché si possa sviluppare un sentimento amoroso.
Infine, ultimo particolare sul
film, è stato distribuito in Italia dalla Sacher, la casa di distribuzione di
Nanni Moretti, che non ha distribuito tantissimi film, ma li sceglie sempre di
qualità, in genere di qualche film italiano da sostenere, o di registi iraniani,
per capire… La scelta di un "duro" come Moretti di distribuire questo film mi è
sembrata un’altra cosa significativa! È sicuramente un film, secondo me,
coraggioso e il coraggio mi ha fatto pensare allo spirito adolescenziale che mi
sembra lo attraversi ampiamente. Sappiamo tutti che l’adolescenza, oltre a
essere il tempo delle mele, è anche il tempo dell’amore. Ecco un altro dei
motivi che mi porta a parlarne.
Qualche pensiero ora sui temi di
cui parla il film e di cosa mi ha suscitato…
Il film mi ha fatto sentire tanti
pensieri attorno all’amore, attorno a quella forma di amore che sono le
passioni. Mi sembra, infatti, permeato di passione! C’è la passione di chi l’ha
voluto realizzare, la passione per la musica, per l’amicizia, per i rapporti
interpersonali, per il proprio lavoro, per le proprie idee. È un amore molto semplice,
naturale, spontaneo. È forse l’amore per il lasciarsi andare, per la
naturalezza, per il vivere le cose come capitano senza progetti, anche se poi
c’è una determinazione molto forte nella storia del musicista. È sicuramente un
film sulle emozioni e anche chi non ama tantissimo il genere musical non può
non essersi emozionato in certi passaggi, brani o momenti del film. Anche le
emozioni sono un requisito indispensabile per l’amore: senza la capacità di
provare emozioni non possiamo assolutamente conoscere i sentimenti che ruotano
attorno all’amore.
Sicuramente, ed è un’altra delle
mie piccole passioni oltre al cinema, è un film che risveglia in tutti noi
qualcosa che ha a che fare col nostro passato adolescenziale o magari di quel
passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta dove succede che noi abbandoniamo un
po’ le nostre emozioni e dove il "lasciarsi andare" tende un po’ a spegnersi e
la dura realtà della vita ci fa un po’ perdere questi aspetti della nostra
persona. Mi pare davvero che questo film, come diceva Lodoli, sia "un tuffo nel batticuore della giovinezza"
e lo faccia sentire a tutti. Ha scritto un critico che solamente chi non ha un
cuore potrebbe non aver amato questo film e non esserne stato preso. Mi è
sembrato un film con dei rimandi certamente chapliniani: la venditrice di rose ci
fa sicuramente pensare alla fioraia cieca di Chaplin. Tutti i personaggi,
forse, sono piccoli personaggi chapliniani per la mitezza, l’umiltà e la
serenità con la quale gestiscono la loro esistenza.
Un’altra cosa che mi è sembrata
piena di amore in questo film è la tolleranza: ci sono gli immigrati, i
diversi, il tossicomane all’inizio (abilissimo e canaglia) che però mi pare
venga trattato con accondiscendenza e tenerezza, tanto è vero che suscita
ilarità, che in questo caso è un sentimento di vicinanza. Anche la tolleranza e
la solidarietà tra le persone è un’altra forma di amore, una declinazione sotto
cui l’amore può presentarsi.
C’è un altro tema che mi è
sembrato forte. Il protagonista ha bisogno di ispirazioni, qualcuno che lo deve
ispirare nello scrivere le canzoni e mi pare che quello che la ragazza gli dice
nei primi momenti del loro incontro è che ci vuole l’amore impossibile, il muro
contro cui confrontarsi per poter avere ispirazione, oppure ci sono quelle
scene molto belle anche dal punto di vista cinematografico quando lui compone
la canzone guardando i video dell’incontro e dei momenti belli vissuti insieme
alla compagna che poi l’ha tradito e
lasciato. In quelle immagini non poteva mancare Venezia, in questo senso il
film ha degli aspetti sicuramente scontati, però penso faccia parte un po’
dell’immaginario di tutti noi. Uno pensa a un momento romantico…ecco si pensa
al Ponte dei Sospiri!
Un altro aspetto piacevole è che
le canzoni non sono mai tagliate, vengono cantate tutte, magari in certi punti
si sovrappongono alle immagini, ma è come se davvero le passioni dovessero
essere vissute fino in fondo.
Ora, siccome scrivo qui anche
perché faccio lo psicoanalista, devo dire qualcosa anche da questo punto di
vista. Non voglio passare per una sorta di personaggio "polyannesco" che vede
tutto il mondo bello, felice e allegro. L’amore, lo sappiamo bene, non è
solamente rose e fiori, non è solamente dolcezza e cortesia; nell’amore, o
nella cattiva interpretazione dell’amore, si compiono efferatezze tremende e ci
sono situazioni molto drammatiche; così come sappiamo bene che l’uomo non è
fatto solamente di sentimenti belli ,puliti e piacevoli: l’uomo sa anche essere
profondamente cattivo.
Sicuramente per me averlo visto per
la prima volta verso l’inizio dell’estate, stanco dopo una giornata di lavoro e
desideroso di vacanze, mi è servito anche per staccare un po’, per poter avere
una visione un pochino più serena e ottimista delle cose che succedono.
L’amore, per come l’ho sentito io in questo film, è declinato soprattutto sul
versante delle relazioni. Noi psicoanalisti conosciamo delle relazioni amorose
soprattutto le difficoltà e le fatiche. Sentiamo parlare della crisi nelle
relazioni ogni giorno, per molte ore al giorno. Per fare un esempio, in questi
ultimi due anni noi psicoterapeuti abbiamo avuto una sorta di riscatto
narcisistico televisivo/cinematografico grazie ad una fiction
israeliana/americana, si chiama "In treatment", nella quale il protagonista è
uno psicoterapeuta al lavoro che incontra un paziente differente per i primi
quattro giorni della settimana e poi va anche lui a occuparsi dei fatti suoi
l’ultimo giorno. È un prodotto veramente piacevole, e mi sono reso conto
guardandolo un po’ per piacere, un po’ per curiosità professionale, che il
terapeuta incontra quattro situazioni cliniche dal lunedì al giovedì, e che in
ognuna c’è qualcosa che ha a che fare con difficoltà nelle relazioni affettive.
Nella prima serie, la paziente del lunedì ha un transfert erotico nei confronti
del suo terapeuta, il paziente del martedì ha una crisi coniugale, la ragazzina
che viene il mercoledì ha una situazione affettiva con suo allenatore, il
giovedì arriva una coppia che è in crisi e il venerdì il terapeuta va a parlare
dei propri problemi con la sua compagna alla supervisore o terapeuta che
l’aiuta. Si parla sempre di questo insomma, siamo sempre in ballo con questioni
amorose o di difficoltà nell’amore.
L’ultima cosa che voglio
raccontare è nata dal fatto che quando è finito il film, la prima volta che
l’ho visto, devo confessare che a me è dispiaciuto come è finito. Ho pensato
che mi sarebbe piaciuta l’idea che nascesse una bella storia tra i due
musicisti: avevano fatto musica assieme, prodotto un disco, tutto andava a
posto, lui era anche pronto a fare da papà alla bambina di lei, e invece tutto finiva
diversamente.
In realtà, quando poi ho
ripensato al film e l’ho rivisto ho avuto un’idea che mi ha fatto sentire
questo finale molto più piacevole.
Perché?
Io ho un po’ questa fissazione,
di cercare di trovare qualcosa che riguarda il mio mestiere in tutte le cose
che vedo, quando queste mi toccano. Provo quindi a raccontare, dal mio punto di
vista, in che cosa questo film, secondo me, parla anche di noi, del nostro
lavoro, del lavoro degli psicoanalisti. Intanto c’è una scena iniziale nella
quale lui fa il riparatore di aspirapolvere e lei ha un aspirapolvere rotto che
gli porta affinchè lo ripari. Mi sembra che questa sia, tra le tante metafore
dello psicoanalista, una metafora originale, perché se si incontrano una che ha
un aspirapolvere rotto e uno che gli aspirapolvere li ripara, mi pare che sia
già una buona ragione di trovarsi. Poi c’è un’altra metafora, quella del
traghetto, che a noi psicoanalisti piace molto. La ragazza è quella che ha
maggiormente una funzione da traghettatrice nei confronti dell’altro; è lei
che, anche mettendo una barriera nei confronti di un coinvolgimento tra i due
che vada oltre l’amore platonico, permette che lui traghetti verso Londra, per
tornare ai suoi progetti, al contatto con una donna che gli è rimasta nella
mente. Questo reincontro, in qualche modo, riattiva in lui il desiderio, che è
qualcosa di profondamente differente dalla rabbia, di cui lui precedentemente
era pervaso. Infatti, le canzoni all’inizio sono molto rabbiose, mentre,
progressivamente, diventano sempre più dolci, man mano che lui sembra ritrovare
un contatto col proprio mondo interno e con i propri sentimenti.
Lo stesso svolgersi della storia
è una metafora, per me, della relazione psicoanalitica.
Spero di non dire cose scandalose
se dico anche una cosa mia personale: in amore io sono e mi considero monogamo,
però è possibile che abbia tradito innumerevoli volte. Senza entrare nel
surreale o nel piano delirante, cosa può sostenere questa ipotesi? Il fatto che
io faccio questo mestiere e in questo mestiere io incontro degli esseri umani,
uomini e donne, con i quali instauro una relazione. Io penso che la
relazione terapeutica, oltre alla nostra
capacità tecnica, a delle regole che ci siamo dati, a delle capacità di
comprendere, sia, stringi stringi, un rapporto d’amore.
Di questo fatto io sono
profondamente convinto!
Talvolta i pazienti mi chiedono:
"ma lei mi vuole bene?". Capita con gli adolescenti, soprattutto, e io
rispondo, in genere, che se non gli volessi bene non potrei aiutarli. Credo
quindi che la relazione terapeutica anche da parte dello psicanalista implichi
un coinvolgimento. Sapete bene che è una delle emozioni più importanti in
gioco: i pazienti spesso hanno dei trasporti emotivi molto intensi, si
innamorano dei propri analisti e così via, ma anche gli analisti provano dei
sentimenti e la relazione terapeutica è in qualche modo, non voglio essere
frainteso, una "relazione amorosa", nella quale i sentimenti sono molto intensi
e passano con grande potenza tra l’uno e l’altro.
Quindi, nella relazione
terapeutica, c’è qualcosa di molto simile a quello che accade nel film, nel
senso che l’amore c’è e i sentimenti sono veri e forti, ma non vengono agiti.
Ciò che quindi differenzia una relazione terapeutica condotta da un buon
terapeuta che fa un buon lavoro insieme al suo paziente, è appunto quello di
essere capaci di stare molto vicini sul piano affettivo ed emotivo, ma
ovviamente avendo la capacità di mantenere la neutralità, l’asetticità e di non
avere coinvolgimenti di ordine sessuale e anche affettivi che facciano perdere
quelle che sono le necessità di una distanza, di una differenza, di una
separazione.
Ecco perché, piano piano, mi è
piaciuto come il film è finito. Tanto è vero che quando i due si salutano e di
fatto si vedono per l’ultima volta, e lui le propone di nuovo un mezzo
approccio e parlano anche esplicitamente del fatto che sarebbe molto bello fare
l’amore, alla fine lei dice: "torniamo al lavoro", che è un modo che riguarda
anche l’incontro con i nostri pazienti.
Questo è ciò che il film "Once" ha
suscitato in me, che mi ha toccato e per cui mi è sembrato che valesse la pena
di parlare di un film leggero, ma non superficiale e su cui penso si possa
anche riflettere insieme.
18
giugno 2010
Rielaborazione
di un intervento presso l’Istituto Stensen di Firenze, nella rassegna "Buio in
sala", organizzata con il Centro Psicoanalitico di Firenze sul tema "L’amore
nonostante" – 2008
Gia’
pubblicato sulla Rivista Frenis – giugno 2010