di Stephen Chbosky, USA, 2012, 102 min.
Commento di Pietro Roberto Goisis
Noi siamo loro
Per iniziare a parlare di questo film devo raccontare le ragioni che mi hanno permesso di conoscerlo. Senza l’invito dei colleghi del Centro Psicoanalitico di Firenze alla loro rassegna “Buio in Sala”, prestigiosa iniziativa ormai giunta al decimo anno di vita che ha coinvolto migliaia di spettatori e decine di colleghi che hanno commentato i vari film, “Noi siamo infinito” sarebbe rimasto per me sconosciuto. In primo luogo devo quindi esprimere una profonda gratitudine verso chi mi ha permesso, onorandomi con l’invito a parlare alla rassegna, di conoscere, vedere, riflettere e commentare il film.
Riprendo in questo momento il consiglio che mi è sembrato opportuno dare agli spettatori prima dell’inizio della proiezione: “Fate finta di essere i tempi del primo Freud, il Freud dell’ipnosi: chiudete gli occhi e lasciatevi ipnotizzare, fatevi prendere internamente dal film. Alla fine vi prometto che vi risveglierete, ma ne sarà valsa la pena”.
Quando ho visto il film per la prima volta, infatti, ho pensato che fosse necessario reinterpretarne il titolo e quello che mi è venuto da dare è stato: “Noi siamo Charlie! Noi siamo loro!”.
Iniziamo dalla storia. Nel 1999 Stephen Chbosky, nato nel 1970, americano, scrittore, regista, sceneggiatore e produttore, scrive un romanzo epistolare il cui titolo italiano è “Ragazzo da parete”, ma che in originale suonerebbe “Il vantaggio di essere una tappezzeria”. Sappiamo tutti cosa voglia dire “fare tappezzeria”. È il modo con il quale si descrive una persona che nelle situazioni sociali, in particolare nelle feste, non riesce a coinvolgersi nelle attività del gruppo, ma rimane appoggiato alla parete, diventando parte stessa della tappezzeria. È un tema questo che riprenderò successivamente.
Il libro ha avuto un grande successo, tuttora è letto e commentato in numerose parti del mondo. Ha venduto un milione di copie, è stato tradotto in sette lingue e stampato in venti differenti edizioni. In realtà è stato anche il terzo libro maggiormente contestato del 1999, è stato proibito in alcune scuole americane, ma è diventato un libro cult per adolescenti, intorno al quale si sono aperti numerosi blog e momenti di riflessione da parte dei ragazzi.
La storia è ambientata all’incirca nel 1991. In realtà è una storia senza tempo.
Ci vogliono poi dodici anni circa perché il libro diventi un film. Nel 2011, infatti, lo scrittore, assumendosi il compito di regista, soggettista, sceneggiatore e produttore del film, in poco più di venti giorni lo gira. Sappiamo benissimo come il passaggio da un libro a un film sia un’operazione molto delicata e molto difficile. Il confronto, infatti, diventa faticoso, e spesso i commenti risultano essere più favorevoli all’opera letteraria rispetto a quella cinematografica.
In questo caso credo che sia avvenuto un piccolo miracolo, perché sembra quasi di avere a che fare con due diverse opere. Questo è un grande merito sia per il libro sia per il film, dovuto, aldilà delle capacità individuali, anche agli anni trascorsi tra la scrittura del libro e la sua realizzazione cinematografica. Il regista ha detto che aveva sempre voluto fare un film dal suo libro, ma che voleva farlo in modo giusto. Si è dovuto quindi “perfezionare” per farlo, ha dovuto aspettare un tempo necessario e utile per lui. Ha ricevuto negli anni centinaia di lettere da adolescenti che scrivevano raccontandogli di quanto si sentissero coinvolti e identificati nel libro. Molti gli hanno parlato delle esperienze terribili che avevano vissuto nella vita, ma di come una sorta di famiglia di amici li avesse aiutati a venirne fuori. La stessa famiglia di amici che troviamo nella storia (perché è indubbio che quello che Charlie trova in Sam e Patrick è una sorta di coppia/famiglia adottiva sul piano delle emozioni). Ha anche aggiunto che ci sono stati dei motivi personali per scrivere il libro, ideato in un momento difficile della sua vita. Anche per questo credo che il libro e, di conseguenza, il film, abbiano funzionato e abbiano determinato il successo.
Esiste un momento nel quale è giusto fare le cose. Uno dei momenti giusti, forse una delle coincidenze fortunate del film, è stato anche il trovare l’attimo nel quale fosse possibile costruire il cast giusto. A mio avviso gli attori, i tre attori protagonisti, i tre ragazzi, sono la ragione e l’essenza stessa del film. Come ha detto il regista, se avesse girato il film qualche anno prima, gli attori sarebbero stati troppo giovani; se l’avesse girato qualche anno dopo, sarebbero stati troppo grandi. Tutti e tre sono bravissimi, ognuno capace di rendere con estrema capacità e sensibilità le sfumature e le caratteristiche dei tre personaggi. Un rilievo particolare va fatto a Emma Watson, che tutti abbiamo conosciuto come Ermione nella saga di Harry Potter. Non era facile uscire da quel personaggio, anche se già allora era evidente la sua capacità e la sua maestria come attrice. Credo che con questo film Emma sia definitivamente uscita dal personaggio della saga e abbia raggiunto la sua maturità professionale.
Veniamo ora al film.
Stefania Nicasi, nella sua presentazione della serata, l’ha definito un film sull’amore. In un primo momento sono stato sorpreso da questa definizione, poi l’ho recuperata all’interno del sentimento che io provo nei confronti dell’adolescenza, di questa meravigliosa, ma al contempo estremamente difficile e complessa, fase della vita.
Si può dire di amare l’adolescenza? Sì, io amo l’adolescenza. Questo è un film sull’amore per l’adolescenza, l’amore per i ragazzi, per le passioni, per i sentimenti, per le emozioni, per gli entusiasmi, per la musica, per i film, per l’amicizia, per la vita, per tutto quello di meraviglioso e anche di straordinariamente faticoso può capitare in adolescenza. Perché sappiamo anche che questa fase può essere dolorosa
Allora, che film è “Noi siamo infinito”?
A mio avviso è l’adolescenza stessa. Raccontata attraverso la malattia, la droga, l’omosessualità, la pedofilia (c’è anche l’aborto nel libro), ma nulla sembra fuori posto perché racconta con estrema naturalezza e armonia la storia di ragazzi e di ragazze senza forzare, lasciando che gli eventi accadano come nella vita reale.
È così bello lasciarsi cullare da questo film, lasciarsi portare dentro questa fase della vita che noi ormai da tempo abbiamo abbandonato. Io lavoro con gli adolescenti, molta parte del lavoro clinico è svolto con loro. E sono proprio loro, i ragazzi che vedo ogni giorno in studio, che mi permettono di rimanere in contatto con questa fase della vita, con le musiche, con i libri, con i video, con l’abbigliamento, con i negozi e gli interessi che loro conoscono e frequentano quotidianamente. E così mi illudo un po’ di rimanere ancora giovane…
Viene facile, commentando questo film, pensare a un altro, “Bling Ring”, uscito recentemente, con la stessa attrice protagonista, Emma Watson e la regia di Sofia Coppola: racconta una storia vera, un episodio che ha coinvolto quattro o cindue adolescenti nella Los Angeles di pochi anni fa. Eppure “Noi siamo infinito”, pur non ispirato a un fatto reale, riesce a essere più autentico e toccante. Questa è anche una delle magie del cinema!
Ovviamente, non potendo trasformare questo commento in un trattato sull’adolescenza, devo limitarmi a qualche pennellata che in qualche modo possa permettere di tracciare ed evidenziare alcune delle tematiche più importanti che a mio avviso vengono mostrate.
Iniziamo quindi dal Professore, quello che può essere considerato tranquillamente come un mentore. Quanto è importante la fiducia che questo adulto trasmette a Charlie, insegnandogli il coraggio di pensare, di esprimere il proprio pensiero, di alzare una mano per dire quello che pensa, invece che scriverlo di nascosto in un angolo di un quaderno. Questo passaggio mi ha fatto venire in mente quante volte nel lavoro clinico mi capita di chiedere ai ragazzi se nella loro esistenza hanno avuto degli incontri significativi, oltre che con i loro genitori (con i quali spesso sono in crisi…), con altre figure adulte di riferimento. Con adulti che siano stati capaci di trasmetter loro qualcosa. Non importa che sia stato un professore, un allenatore in qualche attività sportiva, un sacerdote in un oratorio, qualsiasi altra persona. E quanto li abbia aiutati. Se la risposta dei ragazzi è positiva, ho una speranza e una possibilità in più per aiutarli.
Un altro tema fondamentale è il riconoscimento. Per Charlie l’essere finalmente visto, staccarsi dalla parete, è la svolta evolutiva. Patrick, chiamato “niente” da compagni e professore, riesce a diventare amico di Charlie perché quest’ultimo lo chiama con il suo nome e non come fanno tutti gli altri.
Un’altra pennellata…
È molto toccante quando Charlie, con la macchina da scrivere appena ricevuto in regalo da Sam, trova il modo di dirle quello che pensa e quello che vorrebbe trasmetterle, scrivendo i propri pensieri battendo sulla tastiera, come fanno i ragazzi al giorno d’oggi, che spesso si comunicano le cose più importanti attraverso gli SMS. In questo senso è affascinante del film la sensazione di un’ambientazione senza tempo, come se parlasse un linguaggio universale davvero fuori dal tempo e dagli spazi. In questo modo ognuno può trovarci se stesso e il ragazzo che è stato o che sarà. Come ho già scritto precedentemente, la forma epistolare è anche la forza del libro. Al giorno d’oggi ormai più nessuno si scrive delle lettere. Le uniche lettere che sono scritte in una coppia sono quelle degli avvocati per le separazioni o divorzi. Le coppie si comunicano gli affetti attraverso gli SMS o WhatsApp.
Ci sono a mio avviso altri due temi molto forti nel film.
Uno è quello del trauma, un trauma duplice e ripetuto. Il primo è quello del lutto, le perdite che Charlie subisce, la morte dell’amata e idealizzata zia e, successivamente, dell’amico che si suicida senza lasciargli una spiegazione. Amico che lo lascia nella totale solitudine e isolamento (“avrei voluto una lettera…”), impedendogli o rendendogli difficile così anche una possibile e fisiologica elaborazione della perdita. Anche con la zia avviene qualcosa di analogo. È proprio su questa mancanza che Charlie costruisce una sua personale rielaborazione, attraverso i sensi di colpa: “è morta perché è andata a comprarmi di nascosto un regalo di compleanno”. L’altro senso di colpa compare quando Charlie, nei primi contatti con una sessualità annullata e inibita, sperimenta dei flashback che gli permettono di recuperare ciò che è depositato nella memoria implicita o rimossa. Possiamo pensare che a questo punto sia per lui impossibile tenere dentro nella mente e nel cuore degli eventi così forti e così dolorosamente traumatici. Una miscela di sensi di colpa, lutti e traumi che non riescono a trovare uno spazio e un contenitore adeguato. Così viene semplicemente spiegato il breakdown psicotico. Semplice, ma verosimile.
L’altro tema è quello dell’oscillazione tra verità e autenticità. Tematica molto importante per tutti, ma soprattutto per i ragazzi. Charlie a un certo punto diventa estremamente sincero, inizia a dire le cose che lui pensa per davvero. Purtroppo combina, con questo atteggiamento, dei disastri inenarrabili. Perché un conto é essere sinceri, dire la verità e tutto quello che ci passa per la mente, un altro conto è essere autentici. E lui purtroppo non è autentico, ma è omologato, adattato e compiacente. È davvero un ragazzo da parete, una tappezzeria, come mostra in maniera molto efficace una scena nella quale è ripreso appoggiato a un muro distaccato e lontano da ciò che sta accadendo gli altri ragazzi. Credo che la ricerca dell’autenticità, e il raggiungimento della stessa, sia uno dei compiti più difficili e complessi che un ragazzo ma, forse, un individuo, deve compiere nella sua esistenza. Ogni psicoanalista sa che la frase che pronuncia Sam “essere vero me” ci rimanda a un lavoro fondamentale di un grande autore come Donald Winnicott. Egli diceva che ogni bambino, per essere sicuro dell’amore della propria madre, deve sviluppare nelle prime fasi dell’esistenza un periodo di adattamento che lui chiama “falso sé”, tale da permettergli di proteggere gli aspetti più autentici di se stesso, ma di garantirgli al contempo l’amore materno. Superare tale fase, diventare sicuri di sè stessi e dell’amore che si può ricevere dagli altri, rappresenta un lungo processo evolutivo che può portarci realmente a raggiungere l’autenticità. La sincerità, il dire tutta la verità come Charlie nel film, è una scorciatoia e un’illusione nei confronti del raggiungimento dell’autenticità. Cosa che accade al protagonista verso la fine del film quando, magari in una visione un po’ ottimistica da parte mia, durante il ricovero in ospedale, riesce a parlare con la psicoterapeuta degli avvenimenti traumatici della sua esistenza. Diventa davvero un eroe, ‘Heroes’, come dice la canzone di David Bowie che accompagna la parte finale del film.
Così il tunnel, che è presente anche all’inizio del film, ricompare alla fine ed è nuovamente attraversato dai tre protagonisti. Questa volta è Charlie che può salire sul cassone, staccare le braccia, urlare verso il cielo. In questo modo il romanzo e il film assumono anche le caratteristiche di un percorso di formazione, di un passaggio da una fase all’altra dell’esistenza. Spesso per chiudere l’adolescenza ed entrare in età adulta bisogna attraversare un passaggio chiuso, oscuro e minaccioso. L’importante alla fine è vedere la luce e, come dice l’insegna stradale che compare all’uscita da quel tunnel, imboccare Liberty Avenue.
Penso che un adolescente non possa sperare in nulla di meglio e di più bello se non di essere libero.
PS. Vi lascio con la segnalazione di una piccola mania presente in misura maggiore nel libro, ma accennata anche nel film. Quella delle compilation. Ce ne sono di musicali (quelle preparate da Charlie per i suoi amici), ce ne sono di libri, ce ne sono di film. Sono elenchi bellissimi e toccanti, anche utili. Sembrano davvero dei doni di parti di sé.
Quella che io voglio fare è la compilation delle frasi celebri del film. C’è addirittura una sezione di mymovies.it che le raccoglie. Sono tantissime. Eccone alcune, tra le più significative.
“In questo momento, siamo vivi. E, ve lo giuro, in questo momento siamo infinito”
“Ma se anche non abbiamo il potere di scegliere da dove veniamo, possiamo sempre scegliere dove andiamo”
“Hai dei bellissimi occhi marroni, lo sai? Di quella bellezza che va trattata come una questione importante…”
Ottobre 2013