("Nothing is private")
Alan Ball, Usa, 2007
Commento di Rossella Valdre’
Chi ha avuto modo di apprezzare l’originale sceneggiatura di Alan Ball in "American beauty" (1999), ne ritrovera’ lo stile e l’intelligenza in questo film del 2007, fortuitamente ritrovato nelle sale estive, scritto e questa volta anche diretto, appunto, da Alan Ball.
"Il fidanzato di mia madre si e’ preso una cotta per me e lei mi ha mandato a vivere con papa’."
Cosi’ inizia il romanzo "Beduina" (Adelphi, 2005), opera prima della giovane Alicia Erian (forse alter-ego di Jazira) da cui il film e’ tratto, ma che la traduzione poetica di Alan Ball rende, per qualche verso, psicologicamente piu’ complesso e dolente.
Jazira ha tredici anni. E’ bella, ansiosa di esplorare il suo corpo e carpirne i segreti, giovane corpo in trasformazione che non ha piu’ i rassicuranti tratti tondeggianti dell’infanzia e non ha ancora la definitezza dell’adultita’, e che proprio in virtu’ di questo suo divenire, della promessa ancora ambigua del suo incipiente sbocciare, risulta potentemente seduttivo agli occhi degli uomini che via via la circondano, uomini fragili, adulti-bambini in cerca affannosa di riconoscimento e piacere.
Dapprima il fidanzato della madre che, colludendo alle richieste di Jazira di divenire un corpo sessuato adulto, la aiuta a depilarsi; poi il vicino di casa del padre, il sig. Vuoso, marito frustrato e solitario; il giovane compagno di scuola Thomas……… e’ facile essere attirati e sedotti nell’esplorazione che Jazira fa del suo corpo come mezzo per entrare nel mondo, e confondere questa ricerca con provocazioni sessuali.
Quando la madre si accorge che il fidanzato ‘gioca’ con la figlia tredicienne, la manda a vivere dal padre libanese a Houston, in Texas, dove questi lavora come ingegnere spaziale a Cape Canaveral. Rigido e un po’ paranoide, il padre le vieta di indossare minigonne cosi’ come di frequentare il compagno di scuola negro, vivendo lui stesso una confusa situazione esistenziale in cui da un lato resta ancorato alle radici mediorientali, dall’altro sembra ansioso di venire accettato nella middle class delle villette a schiera, comportandosi di fatto con la figlia in modo discontinuo, violento e fragile ad un tempo.
Sullo sfondo della Guerra del Golfo di Bush padre, in un’America anni ’90 che ancora sembra divisa sull’uccidere o no Saddam Hussein e sul senso della guerra, in un universo di bandiere americane che sventolano da giardini di case tutte uguali, di vicini apparentemente tutti uguali, in lunghi pomeriggi assolati e vuoti, si svolge la vicenda di Jazira a fianco di un padre che non conosce, ma al quale rapidamente si abitua.
In questo piccolo universo composto dai vicini di casa, Jazira intreccia alcuni rapporti paralleli. Il piu’ significativo quello col sig. Vuoso, riservista dell’esercito americano che attende di essere chiamato, infelicemente intrappolato in un matrimonio poco voluto, che si consola con riviste porno (siamo in epoca pre internet) che finiscono facilmente nelle mani del figlioletto e di Jazira, un bambino e un’adolescente annoiati, dove la sessualita’ sembra rappresentare l’unico elemento di curiosita’, l’unico dato da esplorare. Teen-agers di un mondo relativamente deculturato, edonistico e piatto.
Jazira adora le riviste del sig. Vuoso. Si immedesima nelle modelle e scopre il piacere della masturbazione, questa magia solitaria che puo’ riprodurre quando vuole, nel banco di scuola come nella poltrona di casa, che le fa dimenticare ogni dispiacere e le fa sentire che lei esiste, e’ li’, e’ nelle sensazioni che prova, e’ in quel pulsare fuori dal suo controllo ma esercitato dalla sua volonta’. E’ la scoperta di Se’, questa esaltazione.
Ma il sig Vuoso confonde, come era successo al fidanzato della madre, l’autoesplorazione di Jazira con la ricerca di un partner sessuale: le si avvicina abbagliato da questa ‘bellezza’, un adulto infelice che si sente di nuovo forte e amato, forse, nel possedere una quasi-bambina. Jazira non si sottrae, ne e’ anzi attirata a sua volta. Il sig. Vuoso paghera’ cara questa sua debolezza, questo fraintendimento.
"L’adulto scambia gli scherzi del bambino per i desideri di una persona sessualmente sviluppata", scriveva Ferenczi nel 1932, nel famoso Confusione delle lingue tra adulti e bambini. L’adolescente non e’ un bambino, ma tuttavia non e’ un adulto. E’ proprio l’ambiguita’ che emana da Jazira – piccola Lolita desiderante ma certo anche vittima di adulti inconsapevoli – il nodo delicato della storia. Chi seduce chi? E’ Jazira la giovane vittima di adulti che non sanno fare gli adulti, di genitori che non sanno fare i genitori e usano i figli come oggetti-Se’ consolatori con cui sentirsi meno soli (la madre che tenta di riprenderla con se’ perche’ si sente sola), meno abbandonati?
E’ il sig Vuoso la vittima? Come in uno dei personaggi di American beauty, un uomo dolente che cade nella trappola della seduzione di una ninfetta, confondendo i bisogni, i linguaggi e le necessita’, e "non valutando le conseguenze" come scrisse Ferenczi?
Sono gli stessi genitori, le vittime? Un arabo trapiantato in Texas, perduta la sua lingua (che gli verra’ pronunciata solo dal vicino di casa ‘buono’ che, insieme alla moglie, si accorgera’ finalmente del malessere di Jazira), schiacciato tra la modernita’ e la tradizione, razzista perche’ spaventato da quell’odio razziale per cui sua figlia viene chiamata dai compagni beduina, negra del deserto? Chi e’ la vittima, la vittima vera?
Non mi piace tirare in ballo la pedofilia, e nemmeno la sommersa pedagogia che sfiora tanti film americani, persino i piu’ riusciti. Anche Niente velo per Jazira non e’ immune a questa ricaduta, ma certamente un regista come Alan Ball (gay dichiarato e portavoce di diverse battaglie civili negli Usa, tra l’altro) sfugge alla banalizzazione e al facile registro dei buoni e dei cattivi, dei seduttori e delle vittime senza conflitto. C’e’ conflitto ovunque, in tutti noi, in ognuno dei personaggi.
Il percorso adolescenziale ha il primato nel film, rispetto alla morale. Percorso identitario attraverso la scoperta del corpo sessuato, per cui niente e’ piu’ come prima per l’adolescente. Da bambino poteva fantasticare di sedurre il papa’, se era una bambina, o di possedere la mamma se era un maschietto: ora puo’ farlo. Come sappiamo bene dalle nostre conoscenze teoriche e cliniche, in questa sorta di riedizione del complesso edipico che e’ l’adolescenza, e’ come se i giochi si potessero tumultuosamente riaprire: quello che il bambino non poteva oggettivamente fare, ora l’adolescente puo’, puo’ davvero, il suo corpo glielo consente.
Se gli adulti sono inconsistenti, ambigui, deprivati a loro volta o manipolatori, ecco nascere le Lolite: la ragazzina non aspetta di meglio che mettersi fra la madre e il nuovo fidanzato, l’ennesimo magari, per rimettere in scena l’antica rivalita’ e forse, questa volta, vincerla. Illusione d’onnipotenza, magia del padre che diventa partner.
Se gli adulti sono adulti, invece, se sanno mettersi nei panni della ragazza (almeno un po’, quel tanto che basta) e starsene al loro posto senza giocare nelle confusioni, questo non accade. I ruoli, le posizioni, sono distinte: l’adolescente puo’ allora chiedere aiuto.
E’ il caso dell’ultima coppia del film. Tra le villette del padre di Jazira e del sig Vuoso, c’e’ quella di una giovane coppia che torna dalla luna di miele, e che sapra’ accorgersi e accogliere il complesso vissuto di Jazira, e aprire anche le porte al suo vero fidanzatino, quel compagno di classe negro che il padre vorrebbe eliminare.
Se personalmente avevo preferito il finale drammatico di American beauty, in questo Niente velo per Jazira la speranza del lieto fine e’ una speranza comunque problematizzata e piena di incognite. Che sara’ di Jazira, che sara’ del futuro dell’America, soprattutto?
Un grande Paese sapra’ integrare questi beduini, cosi’ come ha saputo fare con i messicani e i negri (tutti presenti nella scuola del film) o dovra’ fare le guerre per eliminare il nemico?
Le vicende pesonali dei personaggi sono intrecciate inevitabilmente con la Storia, sebbene questa non sia la parte piu’ riuscita del film.
L’occhio piu’ acuto del regista e’ quello che si posa nelle scene tra Jazira e il sig Vuoso. Il loro guardarsi dalle tapparelle di sfuggita, la loro eccitazione soffocata, reciproca anche se diversa, l’ansia mal trattenuta di lui, il rapido senso di colpa, lo sguardo estasiato sul giovane corpo denudato, il desiderio di lei, prepotente anche se e’ desidero di conoscere Se’, e non di un vero scambio con lui. La confusione eccitata, colpevole ma impudica, che avvolge un adulto triste e un’adolescente alla sua iniziazione, e’ il cuore poetico del film.
Prima che le cronache si mettessero a definire pedofilia ogni rapporto asimmetrico, e a lato della categorizzazione psicoanalitica, la letteratura ha da sempre saputo leggere in queste pieghe dell’umano.
"…Quello che mi fa impazzire e’ la natura doppia di questa ninfetta (..)..questo miscuglio, nella mia Lolita, di un’infantilita’ tenera e sognante e di una sorta di raccapricciante volgarita’ che discende dalle stucchevoli fotomodelle della pubblicita’ e delle riviste, coi loro nasetti sbarazzini; dal coloirto roseo e vago delle servette adolescenti della vecchia Europa; e delle giovanissime sgualdrine travestite da bambine nei bordelli di provincia; e ancora, tutto questo si confonde con la squisita, immacolata tenerezza che filtra attraverso il muschio e la mota, la sozzura e la morte, oh dio, oh dio! (……….) Nell’arco di eta’ tra i nove e i quattordici anni esiste un certo genere di fanciulle: esse ammaliano il viandante due volte piu vecchio di loro e gli rivelano la loro natura non umana, ma ninfesca, in altre parole demoniaca………"
(Lolita, di V. Nabokov)
(Pubblicato anche in http://www.psychiatryonline.it)