Cultura e Società

N-capace – (A.D.)

13/04/15

di Eleonora Danco, Italia, 2014



Commento di Adriana D’Arezzo

Con il suo primo film, docu-film, un pò documentario un po’ fiction, Eleonora Danco prosegue la sua ricerca sui temi centrali della vita: sull’amore, sulla crescita, sulla solitudine e la paura, la morte. Si sofferma, come in “Nessuno ci guarda”, uno dei precedenti lavori teatrali sui temi dell’educazione dei figli, sulle regole, talvolta incomprensibili agli occhi dei bambini, che si iscrivono nella mente e nel corpo e si trasmettono tra le generazioni. Interessata soprattutto a ciò che in ciascuno di noi e dentro le relazioni con gli altri, limita, impedisce il crescere e l’armonia del vivere.
La ricerca prende avvio dal vivo contatto con l’esperienza dei ricordi infantili, il dolore e la rabbia per qualcosa che tuttora resta oscuro del mondo adulto, da cui sembra sentirsi distante e che, tuttavia, non rinuncia ad indagare. Con lo sguardo ironico, capace di guizzi improvvisi che ricordano un po’ le interviste di Pasolini, utilizza registri narrativi differenti, salta dentro una se stessa bambina o fruga nella memoria degli altri. Le interviste sono condotte coll’intento di mostrare anche le resistenze, quanto deve forzare per entrare nello spazio che l’altro tenderebbe a tenere per sé, non condiviso, non consapevole o segreto. Nella fiction di sapore surreale sembra cercare, anche, il contatto col proprio mondo interno, con la moltitudine di relazioni che lo occupano, gli ideali e le delusioni, illusioni.
Spinta dal desiderio di comprendere forse proprio lo spazio di confine tra sé egli altri. ‘La fatica di vivere’ rappresentata nel film, dal suo a girare tra Roma e Terracina portandosi dietro il letto, con indosso il pigiama come simbolici compagni di viaggio pare accompagnarsi dalla ricerca del “senso” del vivere. Cerca dentro di sé tra le tracce di ricordi, cerca tra i ricordi di suo padre, degli anziani o tra quelli dei ragazzi, dove quel farsi è in corso d’opera. Come se attraverso il suo interrogare, si proponesse di carpire, finalmente, il segreto dell’esistere, della chiave che ciascuno ha saputo trovare, su quanto lo ha tenuto in vita e co-legato ad altri. Il suo sguardo talvolta impietoso, come quello infantile, mette in luce incongruenze e contraddizioni, tenerezza e desolante sofferenza del nostro mondo. Pone accanto ai giovani i vecchi, forse alla ricerca di difficili punti di contatto. Possiamo ipotizzare indaghi la complessità del legame, nelle pieghe delle voci quando chiede a ciascuno di chiamare la “mamma”? Quel sottile limite tra bisogno e rabbia. Pone domande che restano senza risposte definitive. Perché i genitori si separano? Perché ci si innamora? Come è stato il primo bacio? Perché i ragazzi perdono la speranza e la voglia di crescere? Come si supera il dolore dell’ingiustizia e della violenza subite? Come nascono i desideri? E le passioni perché a volte sono così distruttive? Come si fa a vivere senza? Anche i luoghi della città ci appartengono e come la famiglia, svolgono una funzione di rassicurante stabilità, costituiscono un legante e contribuiscono alla costruzione di un senso di continuità interiore. Gli interventi che ne stravolgono la bellezza sono avversati dalla guerriera Danco a colpi di piccone. Come a dire che la teca che contiene da qualche anno l’Ara Pacis o il nuovo mercato di Testaccio hanno violato qualcosa che ci unisce e ci appartiene, ci privano come le badanti che stanno coi nostri genitori di una contatto di pelle, di una contiguità nei rapporti tali da renderli distanti e irriconoscibili.
Eleonora Danco sembra attenta a non perdere, con le acquisizioni dell’età adulta, quanto prezioso dell’infanzia, la fresca capacità di avvicinare gli altri, quell’ingenuità vitale che le consente di porre candide domande e che mette gli altri nelle condizioni migliori di forzare ogni naturale riserbo e di continuare a scandalizzarsi e ad urlare. Sembra questo un suo grande timore ed anche ciò che forse pensa dell’esperienza psicoanalitica: “Chi ha fatto l’analisi pensa solo a sé” dice a un tratto, chissà come e perché si è fatta questa idea?

aprile 2015

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