di Luc e Jean-Pierre Dardenne, Belgio, 2007
Incantevole, poetico film.
Lorna, giovane immigrata albanese a Liegi, e’ braccata. Per ottenere in fretta la cittadinanza belga ha accettato, forse senza comprenderne a fondo il senso e le conseguenze, le regole e i patti di un’organizzazione criminosa di mafiosi russi e italiani, in accordo con i quali ha sposato Claudy, un ragazzo belga tossicomane (‘il drogato’), col progetto di ucciderlo tramite overdose e ottenere soldi e cittadinanza. Claudy e’ stato scelto proprio in quanto povero relitto umano, della cui morte per overdose nessuno si sarebbe accorto. Intanto, Lorna e’ invece innamorata del connazionale Sokol, che incontra solo fugacemente, anch’egli membro della banda, e con il quale condivide il sogno di aprire un bar, per loro due, una volta ottenuto il denaro.
Inizialmente, Lorna e’ calata nel proprio ruolo, porta avanti cio’ che la banda si aspetta da lei, senza porsi domande. Ad un tratto, pero’, qualcosa cambia in lei, l’ingranaggio si rompe.
Claudy, che pur aveva accettato per denaro e per disperazione questo finto matrimonio, decide di smettere di drogarsi, dopo tanti tentativi falliti questa volta, inaspettatamente, decide seriamente di smettere e si fa ricoverare in ospedale, chiedendo disperatamente aiuto a Lorna. Cosa sara’ accaduto in Claudy? Forse questa pur misera relazione fittizia con Lorna e’ gia qualcosa per lui, forse non e’ piu’ solo, ha "un motivo per la giornata", come dice quasi assillantemente. L’ancoraggio disperato all’aiuto di Lorna, una quasi estranea che pero’ e’ li’, vive con lui, gli consente di accedere alle cure e ad un iniziale progetto su di se’, quello di mantenersi vivo, cose che prima parevano impossibili. Dapprima restia, in seguito la richiesta di aiuto di Claudy, il suo estremo bisogno di lei per sopravvivere, forse la sua natura buona, dolce, che l’assenza della tossicodipendenza ha rivelato (non riesce mai a farle del male), muovono in Lorna un irreversibile, sebbene quasi impercettibile, cambiamento. Una sorta di silenziosa presa di coscienza, che segnera’ pero’ anche la sua condanna a morte.
Lorna prega i complici mafiosi perche’ le consentano di divorziare da Claudy senza ucciderlo, ma questi hanno in mente un preciso piano, e dopo la morte del ‘il drogato’, come lo definiscono, Lorna dovra’ ripetere finte nozze con un russo, in cambio di denaro, il quale deve a sua volta ottenere la cittadinanza belga.
Lorna e’ dunque braccata, non puo’ piu’ tornare indietro.
Ma dentro di lei il cambiamento segna un passaggio irreversibile: ‘il drogato’ Claudy diventa un uomo bisognoso del suo amore, capace di dedizione e tenerezza, forse la pieta’ travalica in un sentimento amoroso, caldo, cosi’ che Lorna e Claudy non sono piu’ le pedine disumanizzate di un progetto criminoso, ma acquistano qualita’ umana, sentimenti che immettono in loro il germe della consapevolezza e del cambiamento. Claudy verra’ lo stesso ucciso dalla banda e Lorna, che di nuovo inizialmente sembra dimenticare in fretta per rivolgersi alla sua nuova futura vita, proprio mentre ha portato a termine il suo sogno di acquistare il bar con Sokol, scopre di essere incinta di Claudy. Poco importa, ormai, al bisogno di Lorna di riparare la sua colpa, se i medici sconfermano questa sua gravidanza, se la banda prende assai male questa notizia e le impone di non parlarne al russo: il Claudy assassinato vive ormai dentro di lei.
Gravidanza immaginaria, si potrebbe dire (isterica?), bisogno di ricreare internamente l’oggetto perduto, di riparare ad una colpa; o anche, su un piano piu’ sociologico, bisogno di sfuggire alla logica del clan, al suo destino di corpo femminile gestiito da altri…..
Quale ne sia il senso, e’ questo frutto interno, tutto suo, finalmente privato e posseduto, a darle la forza di fuggire quando comprende che la uccideranno, diventata ormai pericolosa e disubbediente. Bambino immaginario che e’ la sua salvezza (Lorna diventa un soggetto e smette di essere un oggetto), e la sua rovina (la uccideranno, lei lo sa). Non sappiamo se la sua fuga, struggente fuga finale in un bosco, la portera’ ad una improbabile salvezza o se sara’ anche lei, col suo bambino interno, assassinata.
Come in altri film dei fratelli Dardenne, una fioca luce di speranza si concede alla fine, assai incerta, in queste vite predestinate, prive di riscatto. Come ne L’enfant (2005), anche qui e’ affidato simbolicamente ad una vita futura il possibile risarcimento, l’uscita da un destino segnato.
Riusciamo ad immergerci perfettamente nello stato d’animo di Lorna; poche parole, pochi gesti essenziali e quotidiani ci guidano intensamente nei dilemmi del suo mondo interno, che cozza inevitabilmente con un mondo sociale degradato, dominato dal bisogno e dall’avidita’ che fa lucrare sugli immigrati (il denaro e’ presente in tutto il film, denaro contante della clandestinita’).
Lorna (la brava esordiente kosovara Arta Dobroshi) e’ uno di quei personaggi neorealistici femminili che ha in se’ l’essenza stessa della vita, la forza di condurre in silenzio una quotidianita’ faticosa (lavora ad una lavanderia), di non lamentarsi, di non chiedere, di lottare a suo modo per migliorare le condizioni di partenza, emanciparsi dalla sua Albania. La avviciniamo a certi personaggi di Ken Loach, alla Mamma Roma di Pasolini, alla stessa Rosetta dei Dardenne (il film che ce li ha resi noti), ai due ragazzi de L’enfant, moderni emarginati che in qualche modo lottano, tentano di cambiare il proprio destino, e lo fanno sempre a partire da un movimento affettivo, da una presa di coscienza silenziosa, mai urlata, che tacitamente li modifica da dentro (significativamente, il titolo originale e’ ‘Le silence del Lorna’).
Il cinema de Il matrimonio di Lorna e’ poesia.
Non c’e’ bisogno di dire molto di piu’. Tutto e’ racchiuso nel gesto, nella parola scarna, nell’immagine.
Quando cantava l’amore (mai vissuto nell’atto, ma sempre nella rappresentazione), Emily Dickinson scriveva:
L’anima sceglie il proprio compagno –
Poi – chiude la porta