“Madres paralelas” di P. Almodovar.
Autore: Amedeo Falci
Titolo: “Madres paralelas”
Dati sul film: regia di Pedro Almodovar, Spagna, 2021, 120’
Genere: drammatico
“Almododramma in crisi”
Nel linguaggio cinematografico il genere melodrammatico è caratterizzato soprattutto da un riutilizzo di prevedibili luoghi comuni della narrativa popolare che danno garanzia di una forte presa sentimentalistica sul pubblico, quindi da una semplificazione estrema dei caratteri dei personaggi, tagliati in modo netto e senza ombre, da un’accentuazione drammatica della trama, con snodi di intrigo e mistero, e da una conclusione, infine, che deve chiudere tutti gli elementi in gioco in una cornice che confermi le attese emotive e culturali degli spettatori.
Questa è, come noto, è la cifra che ha saputo ben reinventare Almodovar, declinandola in uno stile espressivo che è diventato il suo marchio distintivo nella cinematografia mondiale, e che ha sovvertito – è qui la sua genialità artistica – il conservatorismo implicito del genere per rileggerlo in chiave anticonformista, anticonvenzionale, creativa, ipercromatica – vedere le scenografie dei suoi film – e soprattutto all’insegna di una celebrazione della fluidità delle relazioni sessuali e delle appartenenze di genere.
È uno stile espressivo che, dopo le giocose opere iniziali, ha spesso saputo tradurre il melò in opere di intensa drammaticità. Ricorderei almeno “Amor y gloria” (2019), il film appena precedente, per i suoi straordinari punti di forza: i dialoghi semplici e intensi con la madre anziana che rendevano quell’amore senza tempo di Banderas/Almodovar per lei, il primer deseo del bambino attraverso lo sguardo perturbativo sul sesso dell’altro, e quello straordinario esempio di meta-cinematografia alla fine del film, quando scoprivamo che, oltre che spettatori, eravamo già partecipi del ‘compiersi’ del suo film.
Purtroppo nessuna magia in quest’ultimo Madres Paralelas – e per potere argomentare non potrò evitare passaggi importanti del racconto, mi dispiace e ne avviso i lettori – dove Almodovar non riesce ad imprimere un guizzo originale ad un melò costruito sui più abusati dispositivi del genere – i bambini scambiati alla nascita, le mamme sole e abbandonate, i figli morti, gli uomini vigliacchi, le mamme delle mamme fredde e distanti – guarniti dai soliti ammiccamenti alle trasgressioni, anch’esse ormai obsolete e divenute strumenti di distrazione di massa. Il tutto senza quella rutilante capacità di messa in scena di molti film precedenti che riusciva a far esplodere eversivamente anche le topiche più prevedibili. Pedro Almodovar aveva già detto molto e di più sulle madri e sul senso di essere madri in tanti altri suoi film.
Riciclo iper-modermo quindi del vecchio tema ‘sedotte e abbandonate’ con figli, con, in aggiunta, l’intreccio del melò con i temi politici (attuali in Spagna) delle fosse comuni dei desaparesidos della guerra civile spagnola del 1936-39. Certo a vedere in filigrana, qualcosa si può leggere: le ricerche sul DNA, la ricerca sulle origini, di chi siamo figli, la nascita cruenta di una nazione, i figli vivi e i figli morti, il valore delle memorie, il riconoscimento delle colpe. Ma appaiono correlazioni simboliche troppo stiracchiate, immesse a freddo, senza una vera integrazione con l’asse centrale del racconto.
A denunciare la fragilità di concezione e di tenuta del film, si prestano poi alcune implausibilità nella scrittura psicologica dei personaggi. Il reciproco coinvolgimento erotico delle due madri, sarà pur sempre un endorsment alla libera e plurimorfa declinazione dei nostri desideri amorosi, ma è una vistosa forzatura filmica rispetto al fatto che in un processo di costruzione della propria identità materna, in identificazioni crociate con altre madri, e per giunta in una condizione di lutto (una bambina che è morta per entrambe!) certamente vi è un disinnesco delle pulsioni erotiche materne verso i partner adulti, anche dello stesso sesso. Come sappiamo, l’attivazione di relazioni di accudimento tenero, continuo e responsabile, senza parlar del lutto, disattivano temporaneamente l’interesse strettamente sessuale sia per l’oggetto di cura che per altri compresenti. Inverosimile poi la bassa qualità affettiva con cui entrambe le madri parlano della perdita della ‘loro’ bambina. E infine la superficialità narrativa con cui il legame amoroso tra le due madri – una vera coppia, con possessività e gelosia sessuale – viene subito abbandonato senza sviluppo nello scenario finale in cui tutti i pezzi si ricollocano infine nella normatività tradizionale. Se vi era un fil rouge che percorreva la cinematografia almodovariana era giusto quella straordinaria capacità di identificazione con le psicologie femminili, che qui tuttavia, in questo “Madres Paralelas”, è solo un faticoso riciclo di invenzioni precedenti.
Last but not… Non passa infine inosservata, in questo film, l’invadente esibizione di marketing, mai presente in nessun’altra opera del nostro. Ci passano dinnanzi prestigiosi marchi di macchine fotografiche, di aziende produttrici di pellicole cinematografiche, di prodotti di cosmetica e di articoli di lusso. D’accordo, siamo tutti avidi di consumo, ma questo smaccato vendersi alla pubblicità commerciale, in un film d’autore, non ne intacca in parte la qualità estetica?