Cultura e Società

Lunchbox

4/02/14

Ritesh Batra, 2013, India-F-D-USA, 105 min

Commento di Adriana d’Arezzo

Nella caotica Mumbai dei nostri giorni  vivono IIa, giovane moglie e madre di una bambina con   matrimonio in crisi,  e Saajan, un impiegato vedovo alla vigilia del pensionamento. La giovane Ila, supportata dai consigli dell’anziana zia, vicina di casa, decide di ritrovare le attenzioni del marito cucinando per lui in modo sempre più accurato e seducente.  “L’infallibile” sistema indiano di consegna dei pasti agli impiegati per qualche ragione, però, si inceppa ed il portapranzo destinato al marito di Ila finisce a Saajan. La “tradizionale” strategia di riconquista che Ila aveva messo in opera  non dà, quindi, i frutti sperati. Nasce invece una crescente, reciproca curiosità tra sconosciuti;  Saajan  sembra apprezzare quanto Ila cucina, Ila (ri)scopre che qualcuno la guarda. Ai cibi inviati si aggiungono via via  bigliettini  attraverso i quali si fa strada in entrambi l’idea di  un possibile cambiamento della propria esistenza. Ricca di sfumature l’interpretazione di Irrfan Khan; brava e bella Nimrat Kaur.

Opera prima garbata e sensibile dell’indiano Ritesh Batra. Una storia semplice. Il tema del cibo,  proposto dal cinema di tutti i tempi innumerevoli volte con altrettanto innumerevoli  intenti metaforici. Il pranzo di Babette, La grande bouffe o Chocolat per dire solo i primi titoli che vengono in mente.  Cibo buono, cattivo, che cura, che uccide, l’arte di cucinare come  arte di trasformare la materia e diventare dono.  Questa volta il cibo cerca di aprire un varco nel frenetico mondo che sembra non aver tempo per avvicinarsi davvero e semplifica. Lunchbox, un film dal ritmo calmo ma non noioso, capace  di proporre riflessioni di  attualità su intramontabili aspetti della vita. Una commedia dal retrogusto un pò amaro, per restare in tema di sapori, che con l’analisi del particolare,  invita a pensare alla speranza nel futuro e al suo necessario alimentarsi di fantasie, di  mondo ideale,  all’indispensabile, quanto imprevedibile, incontro con la realtà. Interessanti spunti sulle comunicazioni nel web dei giorni nostri sul contrasto tra dimensioni temporali del mondo interno ed esterno.

Il rapporto fra due solitudini, di cui sappiamo poco, inizia per errore; le attenzioni  per il marito che Ila affida a piatti sapientemente preparati e inviati in ufficio, arrivano invece a Saajan, triste e solitario vedovo alle soglie del pensionamento. Nuovi e antichi sapori irrompono in una  stagione della vita  in cui nulla di nuovo sembra  poter più toccare la vita di un uomo  già così segnata dalle ombre del tramonto, non il giovane collega che desidera apprendere il lavoro, non i ragazzini vicini di casa la cui vitalità  arreca   solo disturbo al riposo. D’altro canto, Ila è una giovane donna, bella,  desiderosa di vitalizzare il rapporto con suo marito,  piena di paure che invadono la sua vita e  il rapporto con la figlia che  costantemente mette  in guardia dai pericoli del mondo. Nonostante la giovane età, pare non riuscire a sottrarsi al destino doloroso che fa da sfondo alla vicenda in primo piano e che accomuna le altre donne della sua vita, la madre e la zia, sofferenti ancelle di uomini cui sembrano appartenere senza più esistere. Anche Ila ripete il suo mettersi a “disposizione” dell’altro, schemi relazionali abituali si ripropongono,  è ineluttabile.   Il nuovo contatto emotivo getta luce sulla mancanza di vitalità della relazione matrimoniale e dei desideri sopiti in ciascuno.   Solo ora, col procedere della nuova, platonica relazione,  Ila “si accorge”  del tradimento del suo uomo. Il cibo inviato apre Saajan a sapori emotivi dimenticati, prima impensabili, gli accade così di condividerlo con il giovane collega e avviare la conoscenza di lui e della sua compagna.  L’assenza di vitalità diviene ora palpabile, prima dell’intervento del “fato”, ciascuno sembrava incapace di gettare lo sguardo sulla propria condizione, reso cieco, forse, dalla paura di vedere. Come nel rapporto analitico il contatto con uno sguardo intimo del tutto inusuale su di sé apre nuovi scenari interiori.

La “mancanza di immagine” se da un canto riporta, appunto,   al setting analitico dall’altro  fa da contraltare, nel film, alla  centralità che  nel nostro mondo viene attribuita alla visibilità e alla cura della  immagine. Per gran parte del film, l’uno non conosce il volto dell’altra, la sua età, a reale condizione e collocazione.  In questa ricerca la costruzione della relazione è affidata ai sapori, agli odori che il cibo porta con sé,  a fantasie legate ai brevi scambi  scritti su bigliettini che accompagnano i pasti, alle attese, così inusuali al tempo degli sms e di WhatsApp. Piccoli scorci di vita, pensieri segreti, giungono così veicolati  in contrasto con la rumorosità delle strade che i lunch box attraversano prima di approdare all’altro. Anche la zia di Ila che dal piano di sopra partecipa con i suoi consigli alla preparazione dei piatti e alle vicende matrimoniali, non ha volto è solo una voce.  Quasi una voce interiore che sostiene e guida, ma che sembra attenersi e orientare a schemi ripetitivi e rassicuranti di cui solo col tempo Ila diviene capace di intuire i limiti,  chissà se  potrà autorizzarsi a  percorrere sentieri meno battuti che aprono  ad una soggettività più piena. La spinta ad uscire dal mondo ipotetico del fantastico  diviene gradualmente  prioritaria, Ila  e Saajan fissano  un incontro, ma sembra  la fine,  Ora fa davvero paura lo spazio che potrebbe aprirsi. Immagini, odori del passato diventano  ombre minacciose.  Il peso della vita vissuta grava  d’improvviso, la forma delle proprie mani, l’odore della propria pelle, la distanza dai giovani che cedono (qualche volta) il posto a sedere,  i limiti dell’orizzonte temporale acquistano contorni non più trascurabili. 

A prescindere  dalle scelte concrete che i personaggi di questa storia potranno compiere, il film non avalla facili e edulcorate  semplificazioni,  piuttosto, sembra suggerire che, comunque vada, conviene farsi trovar vivi dalla morte (Winnicott), e che nulla è assolutamente certo come continua a sostenere il personaggio che consegna i pasti: “questo sistema è perfetto, non ci si sbaglia mai!” .

Febbraio 2014

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