Cultura e Società

Leoni per Agnelli

30/10/08

 

Non so se il film mi sia piaciuto: forse alla fine è troppo ragionato e studiato… i personaggi non sono persone, ma categorie: il politico rampante, la giornalista che fa autocritica, il soldato vittima che, eroico e solo, ha ideali per morire; il professore, lo studente… Ecco. Comincio a capire. Il film mi ha lasciato una sottile irritazione che uscendo dal cinema si accresceva per non aver trovato nulla di intimo, di appassionante…la storia di una persona… io che non amo i film di Michael Moore… Però, attraverso l’irritazione, trovavo che il film mi aveva riguardato e l’irritazione era qualcosa che aveva a che fare con il professor Malley e il dialogo col suo allievo. Ho scoperto che mi ero trovato nella parte del professore che fa la morale al giovane allievo. Che strano (anzi… non è strano affatto!…): qualche anno fa mi sarei trovato ad identificarmi con Todd, lo studente! Credo che sia proprio questo il punto. Malley e Todd sono la stessa persona, il leone il sogno dell’agnello, e Malley che non riesce ad accettare che Todd sia diverso da come lui lo vorrebbe! Il film è la rabbia di Malley. Tutti gli altri personaggi – e la stessa guerra – sono le impossibili giustificazioni di Malley. Il professore cerca il colloquio col suo studente perché vuole capire per quale motivo abbia mollato, mentre gli altri due, Ernest e Arian, il nero e il messicano, si sono mossi nella linea dei suoi ideali. Per questi due – quelli che non si fanno vincere dalle cose della terra e tirano dritto, eroicamente finché è da fuori, dalla realtà, che debbono accusare l’impossibilità di procedere perché qualcuno ammazza i loro ideali prima che le loro vite – il professore deve accorgersi che le sue idee sono state accettate senza alcuna critica, prese alla lettera, quindi fraintese, fino a diventare un ideale eroico che li porterà alla guerra e a morire (all’inizio non capivo bene: ma i due soldati che muoiono, soli, sulle montagne afgane erano proprio quei due studenti o erano altri poveracci?… in fondo il film dice che non fa differenza… sono della stessa categoria, quindi sono proprio loro!). Capisco meglio la mia irritazione: quel professore è la violenza allo stato puro: gli ideali che evitano e disprezzano la realtà comune e tu non hai il diritto di attaccarli e difenderti! Quella violenza è la violenza dei maestri, dei padri, e dei terapeuti, esattamente le tre categorie che per Freud descrivono i mestieri impossibili, ovvero la difficile posizione di chi deve accettare che l’altro ha una sua vita, che puoi accompagnare, ma che non conosci e che necessariamente ti escluderà .

 

 

Il film mi ha aiutato ad ascoltarmi come quando c’è l’eco, come quando uno ti fa il verso… A questo punto mi è sembrato evidente che il professore faccia un dialogo con se stesso e attaccare Todd è solo l’occasione per immaginarsi salvo dal lutto: “ora sei grande e la responsabilità di quello che fai è solo tua…; diventate adulti presto e quando ve ne accorgete è già tardi…!”. Il professore non può accettare Todd perché lo confronta con gli ideali di Ernest e Arian, quelli che sono stati i suoi.  Todd cerca di difendersi: “ho capito prof… lei vorrebbe che mi arruolassi! E’ riuscito a fare arruolare quei due ed ora vuole che lo faccia anch’io! E’ questo che vuole? Andare in guerra come ha fatto lei?”. Le giustificazioni del prof. suonano come una confessione “ho cercato in tutti i modi di impedire che partissero, ma condivido i loro principi!”. A poco serve la timida differenza che Malley cerca di ribadire tra sé e i due che, oramai nella sua linea,. hanno deciso della loro vita e, partiranno. “io non mi sono arruolato, io sono stato richiamato!”. Todd si difende con deboli scuse… quelle solite che ci sentiamo dire quando siamo insistenti, perché uno che ha mille vie davanti sente la violenza di chi sa già come andrà a finire: “ci sono le ragazze… gli amici.. la palestra, poi sono diventato il capo della mia confraternita… Lei sa bene, prof che cosa significa!”. Malley accusa che è cambiato: “un tempo questi colloqui erano il mio forte…”. “Cos’è cambiato, prof? è invecchiato?”. “Voi siete cambiati! C’è una maggiore distanza fra voi e quello che c’è fuori!” Malley consegna alla generazione di Todd l’impotenza ed esalta la propria generazione, ma è sempre un dialogo con se stesso e non tollera che ciò che lui è stato un tempo, ritorni incompiuto perché questo per lui significa il fallimento. Ho letto tutto il dialogo con Todd come un inevitabile esame di uno che ha fatto la sua vita e non può tollerare che tante cose che avrebbe voluto fare non sono state fatte. Il film si occupa di quelle condizioni in cui non è possibile accettare che le cose andranno diversamente di quello che pensi; perché le trasformazioni, nel loro processo autentico, sono difficili da sostenere: “lo stato emotivo che accompagna la trasformazione in O è prossimo al terrore” (Bion, 1970, 66).

 

 

Io appartengo a quelli “democratici e aperti”, quelli che sono ben felici di riconoscere che nella vita si debba essere anche agnelli…. che è giusto che Todd diventi Malley: che male c’è? Il film mi ha aiutato a capire che questo, ad un certo livello è in parte impossibile e le buone ragioni sono false!: “gli uomini si servono delle parole per celare i loro pensieri” (Voltaire). Il film attraverso Malley dimostra che non è umano e naturale affatto accettare le trasformazioni e che è umano e naturale che ogni trasformazione sia letta come la condanna inestinguibile a non poter più essere leoni! E’ il dialogo fra il corpo che procede e la mente che insegue. Malley attacca il corpo! Il film mi ha fatto pensare a quelle situazioni in cui, di fronte al (anzi: dentro, immersi nel) transito delle trasformazioni, proviamo a difenderci proponendo le soluzioni che già conosciamo, quelle che ci rassicurano. Soprattutto i pazienti e i figli ci chiedono la sofferenza di procedere ciechi e impauriti, perché tutto, momento per momento può essere minacciato! Il film mi ha aiutato a pensare che una cosa è dire, altra cosa è stare esattamente lì, in quella condizione di cui gli analisti parlano spesso e che sembra una delle tante categorie del processo analitico: non è una delle categorie, è il fine, il senso ultimo e primo del processo analitico, ovvero che le cose non esistano più per come le abbiamo appena realizzate, perché accomodarsi nel già conosciuto può essere la risposta, ma, immediatamente dopo, bisogna diventi la nuova domanda. A questo punto mettiamo in atto le nostre, umane e naturali difese. La sottile astuzia è nel giocare col tempo: quello che potrebbe accadere, tu già lo conosci; non accadrà mai nulla di nuovo! L’incontro con Todd ti ripropone la sfida, ed ora si parla di te (come sempre, del resto…). La sfida è se puoi lasciare spazio a qualcosa che non conosci e che non sarai mai ed è la sfida che ti permette di seguire la seduzione della tua vita, passo passo…. Il film è violento per questo, perché non accetta di consegnare alcuno spazio a nessuno: il professor Malley sa tutto, ha già vissuto tutto quello che c’era da vivere. E’ quello che avrò fatto mille volte anch’io, quando non ho avuto coraggio e sentivo grave la paura…. E’ come se Malley si trovasse in una zona del tempo in cui puoi vedere già realizzato tutto quello che, visto da un’altra zona – quella di Todd – è ancora da venire. In questo spazio – che poi è la distanza che nei processi corre fra la fine e l’inizio – sapere già quello che accadrà è rassicurante, ma è doloroso e grave; una specie di terribile annuncio di morte attraverso l’impossibile confronto con chi – per fortuna e per statuto – non sa come andrà a finire il processo e, per questo, può sognare. Mi sono chiesto perché il prof. si accanisce così tanto contro Todd? Lo accusa di non avere più ideali, di non avere più impegni, di non essere più al comando della propria vita e del mondo: ma lui che ne sa? Come fa a saperlo? Semplice: lui lo sa perché è stato Todd ed ora è il professor Malley! La differenza fra le due posizioni è un processo, una parabola che si è compiuta secondo uno solo dei percorsi possibili lasciandone per via mille altri. La dimensione innaturale dei processi vitali è la difficoltà a separarti continuamente da ciò che hai appena conquistato. “La risposta è la malattia della domanda” (M. Blanchot.). Malley dalla sua comoda, ma sterile posizione contempla i tanti percorsi non fatti e che non potranno mai più essere compiuti, mentre Todd ha il diritto di non saperlo ancora perché davanti a lui si aprono i mille possibili percorsi della sua vita. E’ per questo che le terapie sono difficili: i pazienti, i figli, e gli allievi sono faticosi e – durante il percorso – per forza frustranti; perché nel percorso è indispensabile essere ciechi (Freud) e spaventati (Bion). Quando non ce la facciamo più, interviene la risposta che interrompe mille altre possibili risposte e da quel momento le altre mille possibili risposte saranno definitivamente perse. “l’interpretazione viene quando sono stanco…” (Winnicott).

 

 

Malley non tollera che i cambiamenti portati da Todd non lo riguardino più e si affanna ad attaccarli piuttosto che incuriosirsi di quello che – non si vede ancora, ma è vivo – Todd potrà fare. Come Malley ubbidiamo alla paura di trovarci in percorsi che non conosciamo e per questo possiamo trovare soluzioni violente. Ripenso ora benevolmente ad una serie di frasi che, dai miei pazienti, non ho mai capito. Pino che mi dice: “io sono stato un capo metaforico!” Gli chiesi: “che significa?” e lui non si curò affatto della mia irritazione: “mi sembra chiaro, dottore!” Non insistetti. In modo simmetrico e violento ricordo di aver pensato che lui era un grave paziente schizofrenico e forse mi segnalava il suo difetto perché proprio la metafora e il simbolo gli mancavano!. Forse ci sono dei momenti in cui i pazienti non vogliono dirci nulla (pensiamoci un attimo: è terribile ammettere questa possibilità!…), mentre noi non possiamo non applicare i nostri codici ed essere certi di aver capito! Malley fa qualcosa di peggio: lui la soluzione che conosce – perché l’ha già sperimentata nella propria vita – non la tollera non per il suo contenuto, ma perché è passata e, attraverso Todd gli dice che lui è vecchio. Mi ritorna, infatti la prima sensazione che il film forse conteneva e custodiva e che è stata la prima sensazione che mi si è presentata come pensiero mentre ero al cinema. Quando sullo schermo è comparso Robert Redford, ho subito pensato: “com’è invecchiato… però è sempre bello e bravo!”. Penso dovesse essere un contenuto del film visto che è esattamente quello che, uscendo, mi ha confessato di aver pensato anche Annamaria e poi ho scoperto hanno pensato esattamente anche altri che avevano visto il film: la distanza che corre fra Todd e Robert Redford, un cambiamento di prospettiva che passa attraverso il tempo che ora è tuo e poi è di un altro e che mille percorsi che all’inizio erano potenzialmente tuoi, non li hai percorsi e non lo farai più! : “… dall’età dell’adolescenza quel concetto quasi impersonale degli anni non gli era mai apparso come una realtà per sé stante, né mai ancora gli era sorto in mente il pensiero: c’è qualcosa che tu non puoi più fare” (Musil, 697). Inutile guardarsi dietro perché dietro ci sono soprattutto i percorsi non fatti. Sono gli elementi più urgenti che ci ricontattano con la loro eccitante e antica tensione… i percorsi sospesi. Il professor Malley parla di percorsi persi, non sospesi, ed è per questo che attacca Todd! Il fatto è che non puoi essere nel cambiamento e sapere già del cambiamento: non è possibile. La violenza è di non saper consegnare la vita a quelli che stanno arrivando sapendo che hai giocato quelle carte rimanendo sempre curiosi per la vita che scorre. Gli allievi, i figli, che si entusiasmano, i pazienti che ti dicono che quello che loro faranno lo faranno col tuo aiuto, ma diversamente da quello che tu pensi e che tu sai, sono quello che manca al film. Ma per fortuna io so che nessun regista potrà mai sapere qual’è il film che mi ha consegnato. In questo io sono Todd..(*)

 

 

 

 

 

“…vi è nell’instabile una maggior porzione d’avvenire che nello stabile”

 

 

(Musil, 241)

 

 

 

 

(*) pubblicato anche su www.istitutoricci.it

 

 

 

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

"Berlinguer. La grande ambizione" di A. Segre. Recensione di R. Valdrè

Leggi tutto

"il cielo brucia" di C. Petzold. Recensione di S. Monetti

Leggi tutto