Autore: Elisabetta Marchiori
Titolo: La famosa invasione degli orsi in Sicilia
Dati sul film: regia di Lorenzo Mattotti, Francia, Italia, 82’
Genere: Animazione
Presentato al Festival di Cannes 2019 in concorso a Un Certain Regard, miglior regia alla Festa del Cinema di Roma 2019 nella sezione Alice nella città, “La famosa invasione degli Orsi in Sicilia” di Lorenzo Mattotti ha fatto e farà molto pensare, scrivere, discutere un pubblico ampio ed appassionato.
Lorenzo Mattotti, ricordiamolo, è un illustratore e fumettista italiano, uno dei pochi artisti in questo campo conosciuto fuori dal ristretto pubblico di appassionati del settore, autore, tra l’altro, dei manifesti delle ultime edizioni della Mostra del Cinema di Venezia e della sigla di apertura del 2019, e aveva già collaborato al “Pinocchio” di Enzo d’Alò (2012).
Sono tanti i critici, letterati, esperti di cinema d’animazione, di fumetti e di illustrazione che hanno già espresso i loro pareri su quest’opera. Basta “googlare” il titolo del film – cosa che consiglio caldamente di fare – e si apre un mondo. Anzi, si aprono più mondi, tutti affascinanti, tutti da esplorare – come l’illuminante scritto di Marco Belpoliti su www.doppiozero.com – magari guidati dalle interviste che Mattotti e il suo cast hanno rilasciato. E, magari, come me, il lettore ha avuto la fortuna di vedere il film in anteprima e ascoltare l’artista in sala, che ne ha raccontato al pubblico la genesi, la realizzazione, il legame con l’omonimo romanzo scritto e illustrato da Dino Buzzati (1945) da cui è tratto, e molto altro ancora.
La storia è quella del Re degli Orsi Leonzio (Toni Servillo) che, deciso a ritrovare il figlio scomparso Tonio (Alberto Boubakar Malanchino), scende con il suo popolo dalle montagne alla pianura, per cercarlo tra gli uomini. L’enorme branco di orsi, benché affamati, non ha intenzioni bellicose, tuttavia non è bene accolto dal malvagio Granduca (Corrado Invernizzi) che scatena contro a più riprese l’esercito e i poteri magici del suo Mago De Ambrosiis (Maurizio Lombardi).
Leonzio tuttavia è determinato nel portare a termine la sua impresa e …
Ma … cosa sto facendo? È compito dei cantastorie Gedeone (Antonio Albanese), della sua giovane figlia e assistente Almerina (Linda Caridi) del Vecchio Orso (Andrea Camilleri) quello di condurre lo spettatore nelle trame della narrazione, incuriosirlo e incantarlo, sedurlo e spaventarlo. Sono loro a rapportarsi direttamente con lo spettatore, a sostenere il ruolo che aveva Buzzati stesso nel romanzo rispetto al lettore, sollecitandolo e richiamando la sua attenzione, a non distogliere lo sguardo.
Il mio compito sarebbe quello di offrire una “versione” psicoanalitica alla visione di questo film e mi risulta davvero difficile questa volta, tanto ci sarebbe da dire e non sarebbe forse mai abbastanza perché, come scriveva Gianni Rodari in “Grammatica della fantasia” (1973), ci sono cose che si possono dire con le parole, e altre che con le parole, non si possono proprio dire.
È un film che ha la sostanza e la forma di un sogno, che rimanda a contenuti manifesti condivisibili e contenuti latenti che toccano l’inconscio del singolo spettatore, che fa pensare per immagini.
Si possono facilmente riconoscere richiami di grande attualità: l’importanza della parola e della narrazione per tramandare la memoria e la storia, in tempi di negazionismo; la paura dell’altro, in tempi di migrazioni di massa e respingimenti; l’incapacità a comunicare e ad ascoltare, in tempi di fake news; la difficoltà di integrazione, in tempi di disintegrazione.
Poi c’è la parabola dell’orso, che è anche quella dell’uomo, che vive il passaggio inevitabile delle fasi della vita, la disillusione e il disincanto.
I contenuti si amalgamano alle immagini, ai suoni e ai colori in modo straordinario e magico, in un gioco di contrasti tra ombre e luci, esseri viventi e fantasmi, buoni e cattivi, umani e non -umani (con umani più disumani delle bestie).
Mattotti e i due co-sceneggiatori, Thomas Bidegain (“Il profeta”, 2009; “Un sapore di ruggine e ossa”, 2012; “I fratelli Sisters”, 2018) e Jean-Luc Fromental, autore di libri e film per bambini (“Trecentosessantacinque pinguini”, “Tenebrossa”, “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene”), insieme al team di artisti che creato disegni animazione, (ventiquattro fotogrammi per un secondo di animazione!) hanno immaginato e realizzato un film che, come il romanzo, diventerà un classico. Infatti, grazie a un sapiente equilibrio tra 2D e3D, è stata creata un’opera “fuori dal tempo” che non rischia di “essere imprigionata in una attualità che l’avrebbe fatta invecchiare”, come ha dichiarato lo stesso regista. Le musiche di René Aubry con le percussioni che danno un ritmo incalzante al susseguirsi delle immagini, le sospingono inesorabilmente nell’anima e nel cervello dello spettatore rendendole indimenticabili. Le voci straordinarie degli interpreti, in particolare quella del Vecchio Orso – Camilleri “che pare una grotta”, incantano. Me lo ha spiegato Mattotti, poi, che si registrano prima le voci e sono queste a “guidare” il disegno della storia.
La parola d’ordine, ha ribadito l’artista, è stata per tutto il gruppo di lavoro quello di “dare profondità” alle immagini, offrire uno sguardo lucido, una luce limpida e colori caldi, vivi, che trasmettano energia, alla ricerca della poesia.
L’ha trovata, è indubbio, e l’ha offerta allo sguardo dello spettatore in forma di immagini in movimento. Ora non c’è che andare al cinema, e viverla.
Novembre 2016