
Parole chiave: dipendenze, lutto, dolore
Autore: Mirella Montemurro
Titolo: “La casa degli sguardi”
Dati sul film: regia di Luca Zingaretti, Italia, 2024,durata 109’, attualmente in Sala
Genere: Drammatico
“La casa degli sguardi” segna il debutto dietro la macchina da presa di Luca Zingaretti, che si cimenta nell’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli, opera che ha segnato l’esordio letterario dello scrittore nel 2018.
Al centro della narrazione troviamo Marco Tramonti, interpretato da Gianmarco Franchini, giovane poeta dalla sensibilità esacerbata che porta sulle spalle il peso lacerante della perdita della madre. Incapace di elaborare il lutto e di fronteggiare un’esistenza che lo ferisce ad ogni contatto, Marco cerca rifugio nell’alcol e negli psicofarmaci, precipitando in una spirale autodistruttiva scandita da incidenti e comportamenti sempre più rischiosi. È proprio dopo l’ennesimo schianto automobilistico che il padre, interpretato con misurata intensità dallo stesso Zingaretti, interviene trovandogli un impiego presso una cooperativa di pulizie all’Ospedale Bambino Gesù di Roma.
Questo nuovo contesto lavorativo si rivela uno spartiacque esistenziale per il protagonista. Tra i corridoi dell’ospedale pediatrico, Marco stringe legami con i colleghi e si trova costretto a confrontarsi con il dolore altrui, in particolare quello innocente dei piccoli pazienti. Di profonda delicatezza risulta il rapporto che instaura con un bambino ricoverato, soprannominato affettuosamente “Toctoc”, con cui comunica attraverso il vetro della finestra della sua stanza d’ospedale. Questa relazione, fatta di gesti semplici e sguardi carichi di significato, diventa emblematica di un percorso interiore che condurrà Marco verso una possibile rinascita.
La trasposizione cinematografica opera scelte significative rispetto al testo originale. Zingaretti, insieme agli sceneggiatori Gloria Malatesta e Stefano Rulli, modifica il nome del protagonista (Daniele nel romanzo, evidente alter ego dell’autore), introduce la scomparsa della madre come evento traumatico scatenante (nel libro è invece un personaggio presente), elimina diversi personaggi dell’ambito familiare e concepisce un finale inedito. Queste scelte sembrano orientate verso una ricerca di essenzialità narrativa che, tuttavia, finisce per attenuare la dirompente carica emotiva e l’asprezza esistenziale che permeano la prosa febbricitante e viscerale di Mencarelli.
La regia di Zingaretti si caratterizza per un approccio improntato al pudore e alla misura. Con consapevole ritegno, il regista sceglie deliberatamente di non indulgere in facili effetti emotivi: evita scene di intimità, non approfondisce eccessivamente la dinamica relazionale tra i colleghi e, con scelta ancor più sorprendente, limita la rappresentazione del rapporto tra Marco e i piccoli degenti, rinunciando così a un evidente potenziale melodrammatico.
Di straordinaria efficacia risulta invece l’interpretazione di Gianmarco Franchini, alla sua seconda prova cinematografica dopo “Adagio” di Stefano Sollima. La sua presenza scenica non si limita alla recitazione ma si esprime attraverso una sorta di vibrazione emotiva palpabile che rende autenticamente “empatizzabile” un personaggio altrimenti potenzialmente respingente nella sua disperazione. Ogni minima emozione, ogni sussulto dell’anima, ogni paura trovano spazio sul volto di Franchini, che incarna con impressionante verità la condizione dell’essere “senza pelle”. Questa metafora ci riconduce al concetto di “Io-pelle” elaborato dallo psicoanalista Didier Anzieu nel 1984, secondo cui l’Io psichico avvolge l’apparato mentale proprio come l’epidermide protegge il corpo, fungendo da confine, filtro comunicativo e barriera protettiva dagli stimoli esterni. Marco appare privo di questo fondamentale involucro psichico, esposto senza mediazioni al mondo circostante, incapace di contenere il flusso delle proprie emozioni di fronte alle sollecitazioni esterne.
Di particolare intensità emotiva è la sequenza in cui Marco rievoca un momento d’intimità con la madre mentre recitano insieme una poesia di Gianni Rodari. La scena svela il contrasto straziante tra il bambino sognatore di un tempo e l’uomo tormentato del presente, evidenziando la frattura esistenziale provocata dalla perdita materna. Non è un caso che il percorso di guarigione di Marco prenda avvio proprio in un luogo popolato da bambini sofferenti. Confrontandosi con le sofferenze dei bambini ricoverati, Marco inizia gradualmente ad attraversare il proprio dolore, ristabilendo un contatto con la propria vitalità sopita e riscoprendo un rinnovato desiderio di salvezza.
Bibliografia
Anzieu, D. (1984). L’Io-pelle. Milano, Raffaello Cortina Editore.